sabato 30 giugno 2018

Il potere della fede





             Meditiamo con p. Arnaldo Pigna ocd

 Il Vangelo di oggi ci presenta due episodi che confermano quanto nella prima lettura abbiamo ascoltato, cioè che “Dio è amante della vita” (Sap 1,13) e “ha creato l’uomo per la immortalità” (Sap 2,23). I miracoli che Gesù compie sanando l’emorroissa e risuscitando il figlio di Giairo, mostra plasticamente questa verità. Ridonando la salute e la vita Gesù vince  la morte  che era “entrata nel mondo per invidia del diavolo”  (Sap 2,24) il quale  “per paura della morte teneva gli uomini schiavi per tutta la vita” (Eb 2, 14-15).
            La risurrezione della figlia di Giairo, come le altre due risurrezioni che leggiamo nel vangelo (quella di Lazzaro e quella del figlio della vedova di Naim) sono un segno. Esse manifestano la venuta del regno di Dio presente nella persona di Gesù, ne rivelano il potere  sulla morte e, soprattutto, ne preannunciano la risurrezione. Con ciò Gesù mostra concretamente che la promessa della Genesi si sta attuando (Gen 3,15) e il regno del diavolo sta crollando: “la sua stirpe ti schiaccerà il capo”.
  Ma l’uomo, che ha peccato fidandosi più del diavolo che di Dio, deve offrire la sua collaborazione mediante un atto di fede e una rinnovata fiducia in Dio. E’ l’umile fede che supplica per bocca del padre della bambina e il gesto della donna che tocca il mantello di Gesù che Gli permettono di compiere il miracolo.
 Qui, come in molte altre occasioni, Gesù insiste sulla importanza della fede. Alla donna, intimidita per essere stata scoperta, dice: «La tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male» (Mc 5, 34); e a Giairo, nel momento difficile in cui gli comunicano la triste notizia della morte della figlia, chiede ancora fede: «Non temere, continua solo ad aver fede!» (Mc 5,36).
    Anche l’evangelista sembra impostare la narrazione per mettere particolarmente in luce la virtù della fede, più che la potenza del Signore. In effetti, il racconto dell’evangelista non attira tanto l’attenzione sul miracolo stesso, quanto piuttosto sulla fede di chi lo domanda.
      E’ la fede al centro della guarigione della donna; ed è ancora la fede al centro della guarigione della figlia di Giairo. Gesù, da parte sua, chiede la fede per compiere il miracolo e afferma che è proprio le fede che lo rende possibile. Ma quando, nonostante la fede, il miracolo non avviene?
     Qui siamo invitati a riflettere sul rapporto che esiste tra fede e intervento di Dio. E anche ad approfondire il concetto stesso che noi abbiamo di fede.
   E’ un fatto che il miracolo è pur sempre una cosa straordinaria e che non sempre la fede ottiene il miracolo. Del resto Gesù stesso, di risurrezioni ne ha compiute tre soltanto e, pur operando tante guarigioni, certamente ha sanato solo una piccola parte dei malati che erano allora nella Palestina. Questo ci invita a superare l’idea che la fede sia solo credere nella potenza di Gesù, una potenza capace di raggiungerti qui, nella tua propria situazione, potenza che vince tutto, persino la morte. Questo è un aspetto importante, necessario; ma bisogna andare oltre. Se è vero che la fede ottiene miracoli è ancor più vero che il miracolo è da Gesù fatto per ottenere la fede. Esso è sempre un “segno” per suscitare la fede in Lui, nella sua persona, nella sua missione di portatore dell’amore di Dio per gli uomini. E’ a questa fede che il miracolo vuole portare. Non si tratta solo, dunque, di credere nella forza taumaturgica del Signore, ma di credere nell’amore del Signore. Un amore che è puro, pieno, irrevocabile e  irremovibile anche se non sempre si traduce e si manifesta nel modo che noi vorremmo. La fede evangelica non sta tanto nel credere che Gesù possa compiere il  miracolo, ma nel credere che Gesù è l’amore di Dio per me, un amore assoluto ed eterno che niente può mettere in discussione.
    Il miracolo della tempesta sedata ci può aiutare a capire quale è la vera fede che noi dobbiamo raggiungere e nutrire, e che Gesù vuole da noi. I discepoli sollecitano il Signore: “Maestro, non ti importa che siamo perduti?” (Mc 4,38) e con ciò mostrano di “credere”  che lui possa intervenire; eppure Gesù li rimprovera per la mancanza di fede: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?” (Mc 4, 37-40). Evidentemente qui Gesù si riferisce ad una fede diversa che dice adesione alla sua persona e fiducia incondizionata nel suo amore per loro. E’ questa fede che loro manca, tanto è vero che arrivano a pensare che Egli si disinteressi della loro sorte: “Non ti importa che siamo perduti?” (Mc 4,38). Gesù li rimprovera non perché mettevano in dubbio la sua capacità di compiere prodigi, ma perché pensavano che Egli si disinteressasse della loro sorte, in fondo perché non credevano nel suo amore per loro?” Avevano ancora bisogno che Egli che continuasse a dimostrarlo con miracoli. E’ quello che pretendiamo anche noi: crediamo nell’amore di Gesù, nella Provvidenza del Padre, se interviene quando lo chiediamo e come lo vogliamo. Ma questa fede, condizionata, non è la fede che Gesù vuole da noi.
     Quando Egli raccomanda la fede alle persone che si rivolgono a lui, non intende solo la fede che egli può operare il miracolo richiesto, ma la fede nella sua persona, nel suo amore, nella sua fedeltà, ci sia o meno il miracolo atteso. Il Vangelo distingue nettamente due tipi di fede: credere qualcosa e credere «in» qualcuno. Quando si tratta di Dio, la seconda è molto più importante della prima.
   Gesù oggi ci dà un anticipo del suo trionfo sulla sofferenza e sulla morte che attuerà in pienezza con la sua risurrezione. Sconfiggendo le malattie e risuscitando i morti ci garantisce la vittoria finale e ci infonde il coraggio di affrontare ogni tribolazione con serenità e fiducia. Eppure, lo dobbiamo riconoscere, di fronte alle difficoltà noi siamo spesso paralizzati dalla paura, e di fronte all’insuccesso spinti alla rassegnazione.
    Purtroppo la nostra fede è ancora troppo legata se non proprio circoscritta al “segno”. I “segni” che ci ha dato dell’amore che ci porta non ci bastano, noi vogliamo un “segno” (un miracolo) tutto per noi. Non ci fidiamo totalmente di Lui e non ci affidiamo totalmente a Lui. E questo è il motivo per cui nelle difficoltà abbiamo, come gli apostoli, paura.
     Allora, forse, è utile farci una domanda la cui risposta potrebbe apparire scontata: Noi abbiamo fede? crediamo davvero in Dio e in Gesù?
     Prima di rispondere facciamoci un’altra domanda… strana: “Il diavolo crede in Dio?” e, poi, un’altra ancora: “Io credo nel diavolo?” Nel rispondere a queste domande ci rendiamo immediatamente conto di una cosa a cui, invece, si pensa poco, e cioè che credere nell’esistenza di qualcuno non significa ancora credergli. Io credo davvero in qualcuno quando accetto la sua parola e mi affido a Lui. Ora questo certamente non lo fa il diavolo nei riguardi di Dio, e nemmeno io intendo farlo nei riguardi del diavolo. Il diavolo, dunque, non crede in Dio; né io credo nel diavolo. Ma né il diavolo mette in discussione l’esistenza di Dio, né io quella del diavolo. Avere fede vuol dire affidarsi a Dio e continuare a fidarsi di Lui qualunque cosa succeda. Vuol dire credere che Dio ci ama e mantiene la sua parola, vuol dire abbandonarsi a Lui e mettergli in mano la vita.
    Se ci penso bene i miei atteggiamenti fondamentali nei riguardi di Dio e di Gesù sono spesso molto vaghi e evanescenti; nella concretezza della vita essi sono fatti più di scetticismo che di fiducia, più di resistenza che di abbandono. Devo riconoscere che faccio più affidamento sulle raccomandazioni di un politico che sulla provvidenza del Padre. Mi affido più ai piani elaborati dagli uomini che al misterioso disegno i Dio; più alla nostra organizzazione che alla grazia divina che, unica, ci salva.

                                                                                  P. Arnaldo Pigna OCD



martedì 26 giugno 2018

Due ammissioni all'ocds di Torre del Greco

Il 30 maggio scorso, la comunità secolare di TORRE DEL GRECO con la Presidente Anna Maria Incaldi,ha accolto con immensa gioia un nuovo fratello,Raffaele Cirillo, e la sorella Anna Picardi,i quali dopo un'assidua presenza agli incontri di Comunità hanno chiesto di essere ammessi all'Ocds. La cerimonia si è svolta nella nostra bella Chiesa dedicata a S.Teresa e a S. Gennaro,mentre nel Presbiterio troneggiava la bellissima statua della Madonna del Carmelo,recentemente restaurata. 
La cerimonia religiosa è stata presieduta dal P. Provinciale Luigi Borriello,nostro concittadino e dal P. Superiore Andrea Magliocca.

La sequela: mettere amore dove amore non c'è

In un clima sereno ed estremamente familiare nel fine settimana 21-24 giugno si sono tenuti nella bellissima struttura "Gesù Divin Maestro" di Ariccia, gli Esercizi Spirituali dell’Ordine Secolare della Provincia dell’Italia Centrale S. Giuseppe tenuti dal P. Commissario Gabriele Morra e terminati con il nostro Delegato Generale OCDS P. Alzinir Debastiani. 
Un buon numero di secolari si sono radunati, partendo da tutte le comunità del territorio, nell’ unico intento di approfondire i legami fraterni e la sequela di Gesù nello specifico dell’art. 2 della Regola: Vivere in Ossequio di Gesù Cristo.
Sono state distribuite delle schede per la meditazione personale. Vedi qui
l.s.

domenica 24 giugno 2018

Alla scoperta della vocazione con il Battista

NATIVITÀ DI SAN GIOVANNI BATTISTA.
Domenica 24 Giugno: Solennità.
(Isaia 49, 1-6; Sal 138/139; Atti 13, 22-26;  Lc 1, 57-66.80).
Meditiamo con p. Faustino Macchiella ocd

Con stupore e con gioia, oggi viene nuovamente rotto il ciclo ordinario delle Domeniche dal deciso irrompere della solennità della Nascita di S. Giovanni Battista. Nella Chiesa, e nella impressionabilità artistica, la figura del Precursore di Gesù ha un grandissimo valore: basta ricordare che oltre al giorno della morte (= dies natalis, 29 agosto) come per tutti gli altri Santi, di S. Giovanni Battista si celebra anche il giorno della nascita (come si fa solo con quella di Gesù e di Maria santissima) e ci viene pure offerta una liturgia vigiliare propria (come è solo per il Natale, la Pentecoste, i Santi Pietro e Paolo, e l’Assunzione di Maria al cielo).
Del resto, non per niente la gente che accorreva al suo battesimo sulle rive del Giordano dubitava che fosse lui il Messia atteso; e Gesù stesso ha proclamato: «In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista» (Mt 11,11).
Oggi, quindi, siamo invitati a lasciarci stupire e affascinare da questo grande profeta e testimone che ha e vive la chiara coscienza del suo essere per il Signore, l’unico salvatore; del suo desiderio di diminuire per lasciare che cresca Lui, la verità e la vita; della sua prontezza nell’indicarlo presente: “Ecco l’agnello di Dio, Colui che toglie il peccato del mondo!” (Gv 1,29).
Nell’antifona d’ingresso della Messa del giorno ci viene regalato uno schema semplice e completo per poter inquadrare la figura e la missione di S. Giovanni Battista: “Venne un uomo mandato da Dio, e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce e preparare al Signore un popolo ben disposto” (Gv 1,6-7; Lc 1,17): è Dio che organizza e mostra chiaramente la sua irrevocabile decisione di dare pieno compimento al piano della Salvezza già promesso subito dopo il primo peccato; ma è Giovanni che, come vero testimone, dovrà guardare e indicare ormai presente la luce del mondo e preparare il duro cuore di un popolo ad accogliere la vita vera che si è resa visibile.

1) Il figlio dell’impossibile. La vecchiaia dei due sposi, la sterilità di Elisabetta e l’incredulità di Zaccaria ci dicono chiaramente che Giovanni non è il frutto di attese e di programmazione umana. C’è semmai proprio tutto l’occorrente per affermare che umanamente da Zaccaria ed Elisabetta non ci si poteva aspettare niente. Solo delusione, rassegnazione e vergogna. Ma tutto questo invece serve per affermare categoricamente che Giovanni è pensato da Dio; è voluto da Dio; è mandato da Dio. Perché dove non c’è più possibilità o speranza umana rimane sempre l’impensabile e l’imprevedibile di Dio. Infatti, solo Dio è la misura di tutto, non l’uomo! E quello che Dio si aspetta dall’uomo è solo  un po’ di fiducia; un po’ di gioiosa collaborazione; un po’ di vera e pronta obbedienza.
Il rimprovero e la punizione di Zaccaria, che per non aver creduto alla parola di Dio resterà muto fino alla nascita di Giovanni, ci mettono con le spalle al muro: noi (salvo le poche eccezioni dei santi!) resteremo sempre dei piccoli poveri increduli e disobbedienti; e ci dovrebbe essere un gran silenzio sulla terra; ma Dio non si lascia irretire dalla delusione; Dio preferisce lasciarsi guidare dal suo incredibile amore. Colui che vince la sterilità, vince anche l’incredulità! Il suo Amore è più grande del nostro peccato.
Ce lo ricorda anche Santa Teresa di Gesù nel racconto della sua vita: “L’amore di Dio è più  grande di tutto il male che possiamo fare… Mi sono stancata prima io a offenderlo che non Lui a perdonarmi. Egli non si stanca mai di donare, né le sue misericordie si possono esaurire: non stanchiamoci noi di riceverle!” (V XIX,15).

2) Giovanni è il suo nome. Volevano chiamarlo Zaccaria, come suo padre, come avevano sempre fatto, come tutti si aspettavano. Ma Elisabetta dice di no; e suo padre Zaccaria, finalmente obbediente, scrive speditamente
che si chiamerà Giovanni.
Povero Zaccaria; nove mesi di assoluto e costretto silenzio; nove mesi di pesante ricordo della sua troppo facile e spontanea incredulità; nove mesi di crescente e sicuro desiderio di fidarsi un po’ più di Dio. E finalmente arriva anche l’occasione di poter dire a tutti che ora crede a Dio; che ora vuole solo obbedire a Dio; e quindi ora scrive che il vero nome di quel suo figlio è già stato dato da Dio: “Giovanni è il suo nome!”.
Troppo spesso noi dimentichiamo che l’autore della nostra storia è Dio. Soprattutto della storia della salvezza; di quella storia cioè che fa vedere il vero volto di Dio: Misericordia, Perdono, Grazia.
È appunto questo ciò che Dio vuole dire al suo popolo: siccome Giovanni significa “Dio fa grazia”, Io ve lo mando solo perché tutti possiate ascoltare – accogliere – e far risuonare nel vostro cuore questa buona notizia: questo tempo è tempo di grazia; questo tempo è tempo di perdono e di misericordia; questo tempo è tempo di presenza di Dio con voi. Convertitevi. E Giovanni sarà appunto colui che nel deserto dovrà gridare, dovrà attirare l’attenzione di tutti e dovrà anche indicare, già presente, “l’Atteso di tutti i popoli”.
Proprio come farà anche S. Teresa che, dopo aver visto la pazienza e l’amore di Dio per lei, vive e scrive solo per proclamare le Misericordie del Signore; solo per ingolosire qualcuno; solo per far desiderare e attendere l’Unico necessario. Il resto è compito del Signore; perché quando noi lo desideriamo, Lui ci ha già trovato!

3) Egli, Giovanni, venne come testimone. Colui che deve o vuole testimoniare per qualcuno o per qualcosa, deve avere ben chiaro nella testa e nel cuore cosa significa e cosa comporta la sua testimonianza. Non potrà mai rifugiarsi dietro l’io non sapevo, o l’io non pensavo!
E Giovanni sa. Era stato pensato e progettato (da Dio) per essere precursore e testimone del Suo Figlio fattosi uomo fra gli uomini; si era preparato (nel deserto) a vedere l’essenziale e il necessario; aveva avuto (da parte di Dio) l’assicurazione che, Colui sul quale si sarebbe posato lo Spirito, era il Messia tanto atteso. Quindi Giovanni farà tutto e sempre ciò che sarà richiesto dalla vita, dalle persone, dagli eventi per essere quello che Dio vuole che sia. Non sarà mai uno che si lascia condizionare da qualcosa che non sia Dio e la sua vocazione. Farà, come dice Santa Teresa di se stessa, tutto quel poco (ma sufficiente, se è Dio che lo vuole) che dipende da lui. Ma, e soprattutto, sarà uno che non si lascia manipolare né dalle lodi né dalla paura; perché totalmente ancorato alla verità. E, come dice Gesù, “la verità vi farà liberi!” (Gv 8,32).
Infatti, il 29 agosto, festa liturgica del martirio di S. Giovanni Battista, ci verrà appunto mostrata la verità e la portata di questa testimonianza! 

4) Venne a preparare un popolo ben disposto. Giovanni Battista è mandato da Dio con una missione ben chiara: rimettere (o almeno ridestare) nel cuore del popolo di Dio la speranza più significativa della sua storia e della sua vocazione: quella di desiderare e di attendere il Messia; quella di tenere vivo nel mondo questo desiderio e questa attesa del Salvatore; quella di non permettere che la sofferenza e il tempo stemperino desiderio e attesa, tanto da rendere incapaci di vedere e accogliere la salvezza, quando fosse concretamente donata dalla fedeltà di Dio. La missione, cioè, dei profeti e dei testimoni.

E quello che Giovanni farà è appunto questo: annunciare che non c’è più tempo da perdere (se la scure è già posta alla radice dell’alberoMt 3,10); invitare a lavarsi, a purificarsi, a liberare il cuore dal male, per renderlo capace di accogliere la salvezza (Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire l’ira futura? Fate dunque frutti degni del ravvedimentoMt 3,7); individuare e segnalare il Salvatore che è già presente (Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!Gv1,29); accettare con gioia che i suoi discepoli lo lascino per seguire Gesù (Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere, io, invece, diminuire. – Gv 3,30).   

Per concludere potremmo dire (e questo è il vero senso del celebrare liturgico) che Giovanni Battista ha vissuto e ci presenta la vocazione di ogni cristiano; e tanto più di ogni carmelitano che come carisma e come impegno nel mondo e nella Chiesa ha il dono e il dovere di vivere e testimoniare la presenza di Dio: Rendere visibile l’Invisibile. Teresa sintetizzerebbe: che i pochi amici che il Signore ha, siano almeno desiderosi e affascinanti!




mercoledì 20 giugno 2018

I consigli evangelici nella vita del carmelitano scalzo secolare

Gli Esercizi spirituali delle comunità ocds della Provincia lombarda cominceranno il 25 luglio prossimo a Cassano Valcuvia (Varese) guidati da p. Attilio Viganò. Tema: "I consigli evangelici nella vita del carmelitano scalzo secolare".
Per scaricare la brochure con tutte le indicazioni CLICCA QUI

martedì 19 giugno 2018

Il video dell'evento

Ammissioni e Promesse nella Provincia Ocds lombarda

Sabato 9 e domenica 10 giugno la splendida cornice di Cassano Valcuvia (Varese), presso l’eremo dei Padri Carmelitani Scalzi della Provincia Lombarda, ha ospitato per la prima volta un evento molto particolare vissuto insieme da tutta la Provincia Lombarda: si sono tenute le Ammissioni, la Promessa Temporanea e Definitiva dei membri delle comunità OCDS  di Bologna, Concesa, Lodi, Monza e Parma. Una festa per tutta la Provincia che si è ritrovata con p. Giorgio Rossi a riflettere sul senso ed il valore di una vita secolare vissuta nel Carmelo e nella Chiesa.

 P. Giorgio Rossi ha ricordato che Il carmelitano secolare si impegna a cercare i tratti del volto di Cristo negli uomini del suo tempo, la presenza del Suo Mistero nel mondo. In questa ricerca egli esprime l’ossequio di Gesù Cristo nei confronti dell’umanità, che si esprime nella misericordia, quel Suo chinarsi col cuore 8 Costituzioni OCDS 11. 9 Elementi per il discernimento della vocazione all’OCDS. 6 sulle miserie degli uomini. Vivere l’ossequio nei confronti di Cristo infatti significa allo stesso tempo imitare l’ossequio di Gesù: «gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù» (Fil 2, 5). Vedi qui il testo integrale

 

domenica 17 giugno 2018

La debolezza e la forza del seme


Meditiamo con p. Claudio Truzzi ocd


«Succede del Regno di Dio come di un uomo che abbia gettato la semente nella terra; e poi, dorma o stia in piedi, a seconda che sia notte o giorno, il seme germoglia e cresce: come, egli stesso non lo sa. Da se stesso, la terra produce prima l'erba, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. Allorché il frutto lo consente, subito si mette la falce, poiché è tempo della mietitura …». Marco 4, 26, 34

Gesù vuole farci capire, nella parabola, qualcosa del mistero del Regno. Alcuni sostengono che nella parabola si sottolinea il processo di crescita. Altri la mietitura.
Ma non potrebbe, invece, essere il protagonista il seme? Il seme, e la sua principale caratteristica: la sua forza intrinseca, le sue potenzialità.
Non è che si neghi o si minimizzi l'azione del contadino. Come non si nega l'importanza del terreno. Di ciò Gesù parla in altre parabole. Ma qui non interessa. Ci si deve occupare della forza insita nel seme, che è indipendente dall'azione dell'uomo e dal suo sapere («come, egli stesso non lo sa», v. 27). Il contadino può andare a dormire ed alzarsi, non perché il suo lavoro sia irrilevante; ma perché si parla d'altro, e lui a questo punto non interessa.
La parabola rappresenta un preciso invito a scoprire l'azione del seme e la sua potenza.
La Parola di Dio è viva ed efficace, ha la sua forza interna, irresistibile.
Fa succedere qualcosa.
Il Regno di Dio è presente, avviene, ora, ed è essenzialmente potenza di Dio, non azione dell'uomo. E si manifesta nell'assenza di segni esteriori.
Cresce e lavora anche se pare non succeda niente

Quest'ultimo aspetto (potenza del seme che cresce da sé) – pur non escludendo il seminatore e il lavoro del contadino nel terreno – tuttavia si sgancia da essi. Ossia la forza vitale non è stata data al seme dall'attività del contadino. La possiede da sé.
Il credente, come il contadino, è uno che sa tutto questo. Non dobbiamo equivocare a questo riguardo. La parabola non dice che l'uomo non sa. Dice che non sa come (v. 27). Che è ben diverso.
Il credente è uno che sa del Regno. Ne è informato; è a conoscenza della sua presenza; avverte la sua azione.
Non sa “come”! Ma il “come” non aggiungerebbe niente. Anzi toglierebbe qualcosa, tatno alla sua fede, quanto alla potenzialità del seme.

Il cristiano non è il costruttore del Regno, né tnto meno un programmatore o un direttore dei lavori.
È più modestamente, ma più utilmente, uno che offre delle possibilità al Regno. E, qualche volta, la possibilità più apprezzata può essere quella di non intralciare .

Nella parabola c'è un seme che sa fare il proprio mestiere, e arriva dove vuole e quando e come vuole. E non ha bisogno che qualcuno gli suggerisca le modalità di crescita.
È c'è un contadino che dorme e sta in piedi, a seconda che sia notte e giorno. È una persona seria, che diamine!

sabato 16 giugno 2018

A proposito di Beatitudini

Il Convegno Provinciale OCDS del Commissariato di Sicilia si svolgerà il prossimo  il 23 settembre 2018 a Monte Carmelo. Tema del convegno, “Le Beatitudini: Santità quotidiana”.  Relatore: padre Agustì Borrell, Definitore Generale OCD. 

Teresa di Gesù. Un film su Tv2000

Stasera, 16 giugno ore 21.15 Tv 2000 propone un film Su Teresa di Gesù realizzato in Spagna nel 2015. Il film è il racconto della vita di Santa Teresa viene ripercorso da una giovane di oggi che legge Il libro della vita, una delle principali opere scritte sulla figura della religiosa. Emerge così come Teresa de Cepeda y Ahumada sia ritenuta fondamentale anche a 500 anni dalla sua nascita e come conservi ancora il suo significato storico anche per una donna nata nel 2015. Diretto da Jorge Dorado è interpretato da  Marian Álvarez, Antonio de la Torre, Aitana Sánchez-Gijón, David Luque, Carla Díaz, Yara Capa, Belén López-Valcárcel.

Esercizi Spirituali per "Vivere in ossequio di Gesù"

Quest'anno gli Esercizi Spirituali per la Provincia OCDS di San Giuseppe si svolgeranno dal 21 al 24 giugno Nella Casa del diivin maestro ( Ariccia) Il tema scelto è  "Vivere in ossequio di Gesù Cristo". Relatore: P.Gabriele Morra Superiore Provinciale. Clicca qui per il programma

martedì 12 giugno 2018

Nella Comunità, per educare e per conoscere meglio se stessi.

Dal 27 al 29 aprile presso la casa di spiritualità “Monte Carmelo” dei Carmelitani Scalzi a Locomonaco, si è svolto un seminario di studi per tutte le comunità OCDS di Sicilia tenuto da p. Alzinir Francisco Debastiani ocd, Delegato Generale per l’OCDS. Hanno partecipato rappresentanti delle varie comunità del Commissariato che hanno seguito con interesse e attenzione le varie conferenze. Partendo dalla formazione come dinamismo della persona nel suo impegno con Cristo, p. Alzinir è passato a considerare alcuni elementi del cammino vocazionale nel Carmelo Teresiano: la chiamata universale alla santità, la preghiera personale e comunitaria, i collaboratori all’azione di Dio, primo e grande educatore. Tra questi ultimi abbiamo i nostri Santi Fondatori, Teresa di Gesù e Giovanni della Croce, dei quali il relatore ha tracciato in modo schematico ma efficace le linee pedagogiche, la Comunità, come ambito educativo e della scoperta di sé, come luogo di incontro e di rafforzamento dell’identità personale, nel carisma del Carmelo Teresiano, ed infine la persona stessa che si assume la responsabilità della propria formazione.
Tutte le attività delle comunità ocds siciliane sono sintetizzate nel giornalino "Briciole di fraternità". vedi qui

lunedì 11 giugno 2018

Il notiziario ocds sarà scaricabile da chi lo desidera

Il notiziario dell'Ocds della Provincia Napoletana sarà consultabile dal blog "Scalzi sui passi di Teresa" dal numero di luglio e non sarà più inviato per newsletter. Chiunque lo desidera potrà scaricarlo, cliccando qui - Tuttavia per utilizzarlo anche solo parzialmente in altre sedi, si dovrà menzionare l'autore dell'articolo e la testata e inserire un link che riconduca alla fonte.

Paladini di un fede viva

Domenica 8 aprile 2018 a Monte Carmelo (Locomonaco) si è riunito il Consiglio Plenario dell’OCDS del Commissariato di Sicilia sulla situazione della famiglia carmelitana ed in particolare del Carmelo Secolare siciliano. Erano presenti i Presidenti e i Responsabili della formazione delle comunità dell’isola. Come ha sottolineato la Presidente del Consiglio Provinciale Lucia Tuccitto Murè questo è stato un evento di grazia, un evento storico per il nostro Commissariato, perché è la prima volta che Presidenti e Formatori si sono incontrati insieme per fare il punto sull’OCDS di Sicilia.
Tanti gli spunti su cui riflettere. Ma ciò che preme è essere vigili: “Il mondo è in fiamme. Vogliono nuovamente condannare Cristo” (Camm. 1,15). Il grido accorato della S. Madre Teresa è quanto mai attuale. Siamo chiamati a vivere con coerenza questa vita che il Signore ci ha donato tendendo alla perfezione evangelica, tendendo con coraggio e parresìa all’unione con Dio. Siamo chiamati a testimoniare nel mondo la gioia del Vangelo, a cominciare dalle nostre comunità perché siano vere comunità oranti, capaci di uscire dall’apatia e dai mali psichici che derivano da devozionalismo e non da fede autentica.

domenica 10 giugno 2018

Il Signore dona la forza di rialzarsi


meditiamo con p. Roberto ocd

Le letture di questa X domenica del Tempo Ordinario ci richiamano al mistero del nostro peccato, della caduta dei primi uomini, ma anche al mistero ancora più grande della nostra redenzione. Questo ci rivela come il cammino dell’uomo è stato, fin dall’inizio, segnato dalla lotta tra il bene e il male. L’uomo è stato spesso affascinato dalle tentazioni del Maligno, dalle sue seduzioni e dai suoi inganni. Ma il Signore è stato sempre accanto a lui e gli ha donato subito un messaggio di speranza. Al peccato si è contrapposta così l’offerta di Dio di una rinascita spirituale, di una vita nuova. Perché Dio non abbandona l’uomo, ma lo risolleva, lo rialza, lo invita a camminare ancora con fiducia.
Già nella prima lettura, tratta dal libro della Genesi, si parla della speranza che nasce dalla misericordia di Dio. Il peccato porta nel cuore di Adamo ed Eva amarezza e vergogna. L’uomo, fatto ad immagine e somiglianza del suo Creatore, sente subito dentro di sé di aver compiuto qualcosa che l’ha allontanato da Dio. L’uomo sente per questo rompersi la gioia nel suo cuore. Ma il Signore non lo umilia, non lo disprezza, non lo allontana da Lui. Lo ama sempre, lo sostiene e gli fa sentire la sua vicinanza. Per questo fa udire ancora la sua voce: “Dove sei?”. E’ una voce che esprime attenzione, premura.  E’ una voce però che interroga: “Che hai fatto?”. La domanda del Signore ci pone sempre di fronte alle nostre responsabilità, ai nostri doveri, alla nostra coscienza. Questa voce del Signore è una voce che ridona fiducia perché promette già, in quello che viene chiamato il Protovangelo, una donna e una stirpe, che schiacceranno la testa al Maligno e ridoneranno la salvezza all’uomo. Non c’è peccato da cui il Signore non possa risollevarci. “Anche il peggiore dei crimini – diceva S. Teresa di Gesù Bambino – (di fronte a Dio) non è che una goccia d’acqua in un braciere ardente d’amore”. La misericordia di Dio è infinitamente più grande di qualsiasi peccato dell’uomo.
San Paolo, nella seconda lettura, ci invita proprio a non scoraggiarci. “Il Signore – dice infatti l’Apostolo – risusciterà anche noi con Gesù”, nonostante le nostre mancanze. E in questo pellegrinaggio terreno S. Paolo ci sprona a distaccarci dalle cose vuote di questo mondo, frutto di vanità e invidia, e a rivolgere tutto il nostro cuore alle cose eterne, che rinnovano il nostro uomo interiore: “Anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova ogni giorno”. Per questo “fissiamo lo sguardo non sulle cose visibili ma su quelle invisibili”. San Paolo ci ricorda che il nostro corpo terreno è un’abitazione passeggera, ma Dio ci donerà un’abitazione eterna. Se viviamo nella speranza e nell’amore di Dio, anche questo nostro corpo mortale potrà diventare, già da adesso, Cielo su questa terra.
Il Vangelo di oggi ci ricorda che lo Spirito Santo vive dentro di noi, e ci invita a coltivare la Sua presenza. Noi siamo suo tempio, sua dimora, e così non possiamo dividere la casa dello Spirito con ospiti non graditi al Signore. Gesù ci rassicura che “tutti i peccati saranno perdonati”. Ciò che non potrà essere perdonato è solo il peccato contro lo Spirito Santo, che vuol dire non solo rifiutare il perdono di Dio e la sua misericordia, ma anche disperare nella salvezza, non avere fiducia che il Signore possa veramente salvarci. Questa è la bestemmia contro lo Spirito Santo. Lo Spirito infatti continua a rendere testimonianza che Gesù è il Signore, il Figlio di Dio, venuto a cancellare i peccati del mondo con la sua morte e risurrezione. Il credente non deve, quindi, disperare e vivere nella paura di non essere salvato. Ciò costituisce un affronto alla bontà di Dio, che è Padre di infinita misericordia. Non dobbiamo neppure dar credito alle tentazioni o agli scrupoli che possono tormentarci, e che ci fanno dubitare di essere salvati. Nulla ti turbi ci ripete la sapienza di tanti santi. Dio offre a tutti la salvezza e i mezzi per raggiungerla. Chi si dispera rischia di rompere il rapporto di fiducia verso Dio, fornace ardente d’amore e di misericordia.  
Permettiamo allora a Gesù di perdonarci e di inondarci del suo amore. Dio è un vero Padre. Se ci rivolgiamo a Lui, Egli verrà incontro a noi e ci renderà uomini nuovi. Il messaggio di oggi è allora quello della speranza: di fronte al peccato, non dobbiamo mai pensare di essere perduti, ma dobbiamo essere sempre testimoni di una nuova nascita nella grazia. Le letture di oggi ci ricordano che di fronte a Dio anche il peggior peccatore, anche colui che dovesse avere l’anima in uno stato di grande miseria spirituale, il Signore gli potrà ridonare la forza di rialzarsi. Se il peccatore ricorre a Dio con tutto il cuore, troverà sempre un Padre pronto ad accoglierlo.   
Scoraggiarsi e non avere speranza è purtroppo un atteggiamento oggi molto diffuso. Davanti ai molti e gravi peccati che si vedono intorno a noi e si sentono in televisione, sembra che la speranza debba essere svanita. Si trovano infatti tanti cristiani sconsolati. La violenza che si vede tra i giovani, quella presente a livello familiare, tra moglie e marito, tra i genitori e i figli, nella società, e poi le guerre, il continuo commercio delle armi e la corruzione, sembrano quasi far presagire che il male debba prevalere sul bene. Ma il cristiano è chiamato ad essere sempre testimone di una speranza che non muore, anche se naviga in acque tempestose e in mezzo a tante prove. E questa speranza nasce dal sapere che Dio è un Dio fedele. 
Papa Francesco, nella sua Esortazione Apostolica Gaudete et exsultate, ci dà questo suggerimento: non restate soli! “E’ tale il bombardamento che ci seduce che, se siamo soli, troppo soli, facilmente perdiamo il senso della realtà, la chiarezza interiore” (n. 140). “La santificazione è un cammino comunitario, da fare a due a due”. (n. 141). “Condividere la Parola, e celebrare insieme l’Eucaristia, ci rende più fratelli e ci trasforma, via via, in comunità santa e missionaria” (n. 142). Qualche esegeta ha fatto notare come Eva venne ingannata dal demonio proprio quando era sola. Dice ancora Papa Francesco: “Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire un popolo. Non esiste piena identità senza appartenenza a un popolo. Perciò nessuno si salva da solo” (6). “Contro la tendenza all’individualismo, che finisce per isolarci nella ricerca del benessere appartato dagli altri, il nostro cammino di santificazione non può cessare di identificarsi con quel desiderio di Gesù, che «tutti siano una cosa sola; come tu, Padre sei in me e io in te» (Gv 17,21)” (n. 146).
 fra Roberto ocd


martedì 5 giugno 2018

In cerca dell'Amato. Gli Esercizi spirituali a Nusco

Dal 28 giugno al primo luglio le comunità ocds della Provincia Napoletana si riurinanno a Nusco (AV) per gli Esercizi Spitituali "In cerca dell'Amato con San Giovanni della Croce", guidati dalle meditazioni di  p. Giorgio Rossi, ocd







































domenica 3 giugno 2018

“Vuoi essere Eucaristia con me? "

 S.S. Corpo e Sangue di Gesù
 Meditiamo con p. Giorgio Rossi, ocd
Domenica scorsa, nella Solennità della Trinità Santissima, l’evangelo si concludeva con quella promessa straordinaria di Gesù: “Ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dei secoli” (cfr Mt 28, 20). Quella promessa che, se presa davvero sul serio, può cambiare le vite dei credenti e può fare della storia della Chiesa una via di salvezza per il mondo…oggi la liturgia ci invita a contemplare una via eccellente, precipua, direi “tangibile”, di questa presenza promessa: l’Eucaristia. Il Corpo ed il Sangue di Cristo dati una volta per sempre per amore del mondo e dati per sempre ai credenti, giorno dopo giorno, nello scorrere dei secoli, fino a giungere all’eterno…Gesù stesso, infatti, nel passo di Marco dell’istituzione dell’Eucaristia che abbiamo ascoltato, ci mostra questa meta nell’eterno: Non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel Regno di Dio … Così per noi: quel Pane e quel Calice , il suo Corpo e il suo Sangue , ci spingono verso l’eterno, ci conducono al Regno realizzandolo qui nella storia e giungendovi oltre la storia.
L’Eucaristia, mistero “concretissimo” e palpabile eppure così oltre ogni umana comprensibilità, mistero di una tale semplicità che solo Dio poteva “inventare”, l’Eucaristia è il luogo del semplice-sublime per eccellenza.
Mistero sì di presenza ma non di una presenza statica: l’Eucaristia non è una luce splendida da guardare (nonostante le nostre “splendenti” processioni di questo giorno in cui pare importante il “mostrare” l’Eucaristia!!), l’Eucaristia è cibo da mangiare! E da mangiare con responsabilità: Gesù ha detto che dobbiamo “prendere” quel Corpo e quel Sangue; “prendere”, un atto dunque libero, responsabile! Un cibo da mangiare e non solo da guardare; se guardiamo il Pane Eucaristico è solo perché ci attragga a farne nostro cibo, a farne la forza della nostra vita.
Il Corpo e il Sangue di Cristo ci sono dati perché le energie della sua Pasqua si trasfondano in noi, ci plasmino, ci rendano simili a Lui nell’essere dono per il mondo. Il cibarsi di quel cibo è finalizzato ad obbedire a quel suo comando: “Fate questo in memoria di me” che Luca e Paolo ci trasmettono nei loro scritti (cfr Lc 22, 19; 1Cor 11, 24-25); ciò che bisogna fare non è la reiterazione di un rito, ma il cuore di quel gesto: essere dono, essere vita data, essere disposti ogni giorno a deporre la vita per amore.
Capiamo che l’Eucaristia è certo il dono più “impegnativo” e “compromettente” che Dio ci ha fatto perchè lo impegna a venire nelle nostre mani e sui nostri altari spesso freddi, formali e senza amore, spesso meramente rituali e precettistici (nelle migliori delle ipotesi!) quando non segnati da mercimonio e da convenienza…ma è dono impegnativo e compromettente anche per il credente che ne abbia piena consapevolezza. E circa la consapevolezza dovremmo fare un serio discorso ecclesiale circa la trasmissione del dato di fede circa l’Eucaristia che si pratica; diciamocelo: nella maggioranza dei casi l’unica trasmissione di questo dato di fede avviene per la “Prima Comunione” con un linguaggio giustamente per bambini ma condito da tante svenevolezze e diminuzioni…
L’Eucaristia ci trascina nel mondo di Dio, nel cuore stesso della Pasqua di Gesù che è fuoco divorante perché “luogo” dell’Amore trinitario. Chi si ciba di quel Pane non può rimanere come prima, è uno che si deve far trasformare da Dio, è uno che entra in una lotta “violenta” con le logiche del mondo che lo abitano e che lo aggrediscono dall’esterno con le loro mille “buone ragioni”. Chi si accosta a quel banchetto riceve un dono carico di tenerezza ma che gli sussurra una domanda pressante: “Vuoi essere Eucaristia con me? Lottiamo assieme per salvare questo mondo con il mio amore?”
L’Eucaristia è l’Amore di Cristo che viene a noi per farcene portatori, testimoni per la storia!
L’Eucaristia ogni giorno ricorda alla Chiesa che si è compiuta in Gesù la Prima Alleanza e quel Sangue di Alleanza ormai le scorre nelle vene, il Sangue dell’Agnello non solo le è asperso sul capo (come al Sinai, nel tratto del Libro dell’Esodo che è oggi la prima lettura) ma le scorre dentro; da quell’Alleanza ormai scritta nel solo cuore la Chiesa deve lasciarsi muovere ed in quell’Alleanza deve vivere e camminare.
Il Corpo di Cristo così ci riporta subito al Corpo di Cristo che è la Chiesa: senza Chiesa non c’è Eucaristia e senza Eucaristia non c’è Chiesa; più c’è disaffezione all’Eucaristia e più la Chiesa langue e si diluisce nel mondo, più c’è consapevolezza eucaristica e più la Chiesa brilla della luce della Pasqua di Gesù suo Signore e pone in atto gesti, parole, scelte, compromissioni che mostrano il Volto di Cristo, che mostrano la bellezza dell’essere uomini secondo il “sogno” di Dio.
Celebrare l’Eucaristia è mettersi con coraggio nelle mani di Cristo perché plasmi la nostra argilla con la forza e la tenerezza del vasaio (cfr Ger 18, 1-6) e faccia di noi ciò che dobbiamo essere.
La Pasqua di Gesù vive in noi grazie a quel Pane spezzato e a quel Calice versato: il suo Corpo e il suo Sangue che ci appartengono e a cui apparteniamo!