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domenica 3 giugno 2018

“Vuoi essere Eucaristia con me? "

 S.S. Corpo e Sangue di Gesù
 Meditiamo con p. Giorgio Rossi, ocd
Domenica scorsa, nella Solennità della Trinità Santissima, l’evangelo si concludeva con quella promessa straordinaria di Gesù: “Ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dei secoli” (cfr Mt 28, 20). Quella promessa che, se presa davvero sul serio, può cambiare le vite dei credenti e può fare della storia della Chiesa una via di salvezza per il mondo…oggi la liturgia ci invita a contemplare una via eccellente, precipua, direi “tangibile”, di questa presenza promessa: l’Eucaristia. Il Corpo ed il Sangue di Cristo dati una volta per sempre per amore del mondo e dati per sempre ai credenti, giorno dopo giorno, nello scorrere dei secoli, fino a giungere all’eterno…Gesù stesso, infatti, nel passo di Marco dell’istituzione dell’Eucaristia che abbiamo ascoltato, ci mostra questa meta nell’eterno: Non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel Regno di Dio … Così per noi: quel Pane e quel Calice , il suo Corpo e il suo Sangue , ci spingono verso l’eterno, ci conducono al Regno realizzandolo qui nella storia e giungendovi oltre la storia.
L’Eucaristia, mistero “concretissimo” e palpabile eppure così oltre ogni umana comprensibilità, mistero di una tale semplicità che solo Dio poteva “inventare”, l’Eucaristia è il luogo del semplice-sublime per eccellenza.
Mistero sì di presenza ma non di una presenza statica: l’Eucaristia non è una luce splendida da guardare (nonostante le nostre “splendenti” processioni di questo giorno in cui pare importante il “mostrare” l’Eucaristia!!), l’Eucaristia è cibo da mangiare! E da mangiare con responsabilità: Gesù ha detto che dobbiamo “prendere” quel Corpo e quel Sangue; “prendere”, un atto dunque libero, responsabile! Un cibo da mangiare e non solo da guardare; se guardiamo il Pane Eucaristico è solo perché ci attragga a farne nostro cibo, a farne la forza della nostra vita.
Il Corpo e il Sangue di Cristo ci sono dati perché le energie della sua Pasqua si trasfondano in noi, ci plasmino, ci rendano simili a Lui nell’essere dono per il mondo. Il cibarsi di quel cibo è finalizzato ad obbedire a quel suo comando: “Fate questo in memoria di me” che Luca e Paolo ci trasmettono nei loro scritti (cfr Lc 22, 19; 1Cor 11, 24-25); ciò che bisogna fare non è la reiterazione di un rito, ma il cuore di quel gesto: essere dono, essere vita data, essere disposti ogni giorno a deporre la vita per amore.
Capiamo che l’Eucaristia è certo il dono più “impegnativo” e “compromettente” che Dio ci ha fatto perchè lo impegna a venire nelle nostre mani e sui nostri altari spesso freddi, formali e senza amore, spesso meramente rituali e precettistici (nelle migliori delle ipotesi!) quando non segnati da mercimonio e da convenienza…ma è dono impegnativo e compromettente anche per il credente che ne abbia piena consapevolezza. E circa la consapevolezza dovremmo fare un serio discorso ecclesiale circa la trasmissione del dato di fede circa l’Eucaristia che si pratica; diciamocelo: nella maggioranza dei casi l’unica trasmissione di questo dato di fede avviene per la “Prima Comunione” con un linguaggio giustamente per bambini ma condito da tante svenevolezze e diminuzioni…
L’Eucaristia ci trascina nel mondo di Dio, nel cuore stesso della Pasqua di Gesù che è fuoco divorante perché “luogo” dell’Amore trinitario. Chi si ciba di quel Pane non può rimanere come prima, è uno che si deve far trasformare da Dio, è uno che entra in una lotta “violenta” con le logiche del mondo che lo abitano e che lo aggrediscono dall’esterno con le loro mille “buone ragioni”. Chi si accosta a quel banchetto riceve un dono carico di tenerezza ma che gli sussurra una domanda pressante: “Vuoi essere Eucaristia con me? Lottiamo assieme per salvare questo mondo con il mio amore?”
L’Eucaristia è l’Amore di Cristo che viene a noi per farcene portatori, testimoni per la storia!
L’Eucaristia ogni giorno ricorda alla Chiesa che si è compiuta in Gesù la Prima Alleanza e quel Sangue di Alleanza ormai le scorre nelle vene, il Sangue dell’Agnello non solo le è asperso sul capo (come al Sinai, nel tratto del Libro dell’Esodo che è oggi la prima lettura) ma le scorre dentro; da quell’Alleanza ormai scritta nel solo cuore la Chiesa deve lasciarsi muovere ed in quell’Alleanza deve vivere e camminare.
Il Corpo di Cristo così ci riporta subito al Corpo di Cristo che è la Chiesa: senza Chiesa non c’è Eucaristia e senza Eucaristia non c’è Chiesa; più c’è disaffezione all’Eucaristia e più la Chiesa langue e si diluisce nel mondo, più c’è consapevolezza eucaristica e più la Chiesa brilla della luce della Pasqua di Gesù suo Signore e pone in atto gesti, parole, scelte, compromissioni che mostrano il Volto di Cristo, che mostrano la bellezza dell’essere uomini secondo il “sogno” di Dio.
Celebrare l’Eucaristia è mettersi con coraggio nelle mani di Cristo perché plasmi la nostra argilla con la forza e la tenerezza del vasaio (cfr Ger 18, 1-6) e faccia di noi ciò che dobbiamo essere.
La Pasqua di Gesù vive in noi grazie a quel Pane spezzato e a quel Calice versato: il suo Corpo e il suo Sangue che ci appartengono e a cui apparteniamo!


sabato 16 dicembre 2017

Gioite, un cristiano non può non gioire

III Domenica di Avvento – Gaudete!
Meditiamo con p. Giorgio Rossi ocd
Oggi la liturgia della Chiesa ci invita al gaudio, alla gioia … è la domenica detta “gaudete” (dall’“incipit” dell’antifona d’ingresso della Messa) perché è tutta pervasa da una certezza di compimento, da una certezza di vicinanza del Signore. Il rosa è il colore dell’aurora e per questo i paramenti liturgici hanno oggi questo colore; l’aurora della salvezza, del mondo nuovo, è alle porte perché il Signore bussa e desidera solo che noi gli apriamo le porte della nostra vita (cfr Ap 3, 20).
“Rallegratevi” ci ripete oggi la Chiesa … e dicendoci questa parola ci fa interrogare sullo stato della nostra gioia cristiana. L’apostolo Paolo nel passo della Prima lettera ai cristiani di Tessalonica che oggi si proclama, ci indica una via quotidiana da percorrere come credenti: Sempre gioite, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie. Insomma lo spazio della vita del cristiano è pervaso da una gioia radicale e da un profondo senso di stupita gratitudine e, poiché il credente riconosce che questa gioia, questi doni, questo stupore che fanno bella la sua vita vengono da Dio, ecco che non può essere altro che un uomo eucaristico , cioè, un uomo del ringraziamento; quando poi cerca la fonte di quella gioia e di quello stupore che rendono “altro” la sua vita, il credente non può che riconoscere che quella fonte è solo e sempre una persona: Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, Messia e Salvatore. E’ così: per il cristiano la fonte della gioia è Gesù che è presente anche se, nell’oggi, la sua è una presenza celata, una presenza che non si impone nell’evidenza. E’, infatti, sempre vero quello che il Battista, che oggi è ancora protagonista di questa terza tappa d’Avvento, dice con ferma certezza: In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete … Il Battista indica così una presenza celata ma non per questo meno vera.
La presenza di Cristo pervade la storia ma si coglie solo nella fede e per grazia; dare credito a questa presenza nascosta è aprire la vita alla causa più radicale di gioia: Dio è con noi! E, se questo è vero, anche nella tribolazione, del dolore e perfino nella morte, possiamo dire con cuore pacificato: Se Dio è per noi chi sarà contro di noi? (cfr Rm 8,31). E allora la gioia può fiorire anche tra le lacrime, anche tra le contraddizioni perché è una gioia che non dipende in alcun modo dal mondo, ma solo dal Cristo!
Nel quarto evangelo ci sono due cose che sono del Cristo e sono diverse assolutamente da quelle del mondo: la pace e la gioia. Infatti Gesù nel quarto evangelo parla della sua gioia e quella stessa sua gioia Gesù la mette nel cuore dei suoi … si badi che questa parola sulla gioia è consegnata alla Chiesa nell’imminenza della passione! Non è allora una gioia “facile”, da buontemponi, da scanzonati allegri perché tutto va bene … è la gioia che deriva da Cristo e dal suo amore e che diviene evangelo !
Il cristiano, pervaso da questa gioia, è infatti lui stesso un evangelo, una bella notizia. La bella notizia è che la gioia può mettere radici anche in questa “valle di lacrime” perché la causa è solo Gesù e Gesù presente. L’uomo della gioia è come il servo di cui canta il Libro di Isaia; è consacrato per una sola cosa: per portare la bella notizia della libertà, della consolazione, della misericordia senza condizioni! Il servo proclama questo evangelo rivestito di gioia: Gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio … è questa gioia che rende credibile l’evangelo! Senza gioia l’evangelo è irriconoscibile, perde la sua forza rinnovatrice, la sua forza d’attrazione.
E’ la gioia di una via certamente esigente e lontana da ogni mezza misura, ma è gioia vera perché legata ad una presenza di Dio che brucia dentro e legata ad un sapore diverso e sensato che così la vita assume.

Il Battista, nelle parole dell’Evangelo di Giovanni che la Chiesa ha scelto per questa terza tappa dell’Avvento, ci è presentato come il testimone della luce, come il profeta che ha saputo leggere la volontà di Dio ed ha piena consapevolezza della sua identità; Giovanni sa chi non è ma sa anche chi è … e, sapendo chi è, sa pure cosa deve fare. L’austero profeta del Giordano è qui profeta della gioia e testimone della gioia. E’ testimone di una presenza, come dicevamo, nascosta ma reale e luminosa. Giovanni sa di non essere lui la luce ma sa anche di dover aprire varchi alla luce vera … e la luce è simbolo potente di gioia.
La profezia è questo: saper ascoltare Dio e dire, di conseguenza, parole di senso alla storia, leggere la storia e scoprirvi le tracce di Dio … il Battista è consacrato con l’unzione profetica per preparare l’irruzione gioiosa della luce, la sua profezia però ci appartiene perché anche noi siamo stati unti dallo Spirito per la profezia e per la testimonianza. Cose queste che costano, ma che non possono essere eluse da chi davvero ha conosciuto Cristo Gesù. Quando quella presenza nascosta si è rivelata alle nostre vite (a volte per attimi brevissimi ma luminosi!), quando abbiamo sentito la sua carezza nella tribolazione, la sua forza nella nostra debolezza, la sua parola nei silenzi più profondi, allora abbiamo compreso che nulla poteva più essere come prima e che quella presenza nascosta, non evidente, doveva essere testimoniata ed annunciata con forza e con coraggio, a qualunque prezzo, come il Battista che ha il coraggio e la parresia di dire dei no netti e dei sì altrettanto netti. Allora abbiamo capito di dover essere testimoni di una gioia e di una presenza che sempre attendiamo e che colora d’aurora anche i giorni in cui il mondo crede più al tramonto e alla notte che alla luce! Viene nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. E’ così! Cediamo il nostro cuore alla gioia!

domenica 14 maggio 2017

Non un destino, ma una destinazione

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14, 1-12)


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: "Vado a prepararvi un posto"? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: "Mostraci il Padre"? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch'egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».


La liturgia di questa domenica pare che ci porti indietro rispetto alla Pasqua perché ci è presentato un tratto dei cosiddetti discorsi di addio di Gesù nel Quarto Evangelo. In realtà quei discorsi ci spalancano in pieno il dopo-Pasqua: in quelle pagine l’evangelista, con l’artificio letterario di discorsi testamentari, ci presenta le promesse e gli sconfinati orizzonti che l’andata via di Gesù, il suo “esodo” da questo mondo al Padre (cfr. Gv 13, 1), aprono alla storia, ad ogni uomo.
Le parole che Gesù pronuncia nel brano di oggi iniziano con una parola chiave per il Quarto Evangelo, una parola che ci deve essere molto cara: “moné”, cioè “dimora”, è la promessa che nella casa del Padre ci sono molte dimore, e Lui le prepara per ciascuno di noi; è parola chiave per Giovanni perché correlata al verbo più amato dal Quarto Evangelo, “ménein” che significa “rimanere”, “dimorare”, “restare”. La dimora che Gesù va a preparare con il suo “esodo” è la radice della possibilità che ci è data qui, nella nostra vita di credenti, di dimorare, rimanere in Lui, e fare della nostra vita un dimorare stabile nell’amore di Dio.
Le grandi auto-rivelazioni che ci sono in questa pagina sono provocate da due domande di Tommaso e di Filippo. Qualcuno ha ipotizzato che Giovanni ricalchi qui l’ “haggadàh” (lett. “racconto”) della cena pasquale ebraica, in cui i piccoli fanno domande che hanno il preciso scopo di far avanzare e provocare il racconto dell’esodo fatto da chi presiede la cena. Qui avviene proprio così: le domande permettono a Gesù di pronunziare queste due grandi parole auto-rivelative.
Tommaso chiede quale sia la meta del Suo esodo (“Non sappiamo dove vai e come possiamo conoscerne la via?”), avendo detto Gesù – precedentemente – che di quella meta essi “conoscono la via”. E’ così, essi conoscono la via poiché hanno conosciuto Gesù, e a pieno lo conosceranno nell’esperienza pasquale, in cui definitivamente capiranno la sua identità. La via, dunque, non è una dottrina, non è un comportamento etico, non è una sapienza iniziatica come potevano pensare quelli che erano adusi a sentir parlare di religioni misteriche, a quel tempo molto diffuse. La via è Lui, la via è la sua carne di uomo, la via è la sua vita concreta, è l’amore con cui Lui la sta vivendo, “fino all’estremo” (cfr. Gv 13, 1). E’ la via perché è la verità; ed è la verità non perché dica delle verità o perché trasmetta una dottrina, ma perché è Lui stesso la verità. Lui è la verità dell’uomo, Lui è l’uomo in pienezza, è l’uomo capace di vere relazioni con Dio, con la storia, con gli altri, con la sua stessa umanità. Gesù è la verità perché Lui è la fedeltà che non si spaventa dell’infedeltà, e d’altro canto, in ebraico i concetti di verità e fedeltà sono coincidenti! Gesù è la vita perché la vita è Dio, e Lui ha posto la vita di Dio nella carne dell’uomo; e la sua carne apre ad ogni carne la vita di Dio, che è la comunione trinitaria, è l’amore che “circola” tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo! E questa vita la si accoglie solo se si accoglie Lui…
La domanda di Filippo, invece, si inscrive all’interno del grande desiderio dell’uomo, e in particolare dell’uomo biblico, di vedere Dio, di vedere l’“oltre”! La domanda di Filippo ci conduce ai vertici della rivelazione del Nuovo Testamento: Dio finalmente si è reso visibile! Visibile non in visioni spettacolari, straordinarie, numinose; non in teofanie simili a quelle che la Prima Alleanza ci descrive, a partire dal roveto ardente (cfr. Es 3, 1-6) ai fenomeni del Sinai (cfr. Es 19, 16ss), dalle visioni come quelle di Isaia (cfr. Is 6) a quelle di Ezechiele (cfr. Ez 1) o di altri profeti… Qui Gesù parla di un vedere che ha per oggetto un uomo, solo un uomo! Dio si è mostrato tutto in un uomo! E’ straordinario!
Se non si capisce questo, nulla si capisce del cristianesimo, e nulla si capisce della portata rivoluzionaria e sovversiva della rivelazione cristiana; l’antico e bellissimo grido dell’uomo “Mostraci il tuo volto, Signore!” (cfr. Es 33, 18; Sal 105, 4; Sal 27, 8) riceve qui una risposta davvero inattesa, straordinaria: “Chi vede me, vede il Padre”. Ecco la “visione” di Dio: il volto di Cristo! Vedere Cristo e la sua umanità è vedere Dio… è qui la grande novità e la sovversione del cristianesimo! Qualcuno ha detto che qui sta la grande desacralizzazione di Dio, della “religione” che cessa di essere perciò “religione”… E’ vero! E’ proprio così! Dio non va più cercato nel miracolistico, nello splendore accecante e che fa paura, ma va cercato tutto nel volto di un uomo e – di conseguenza – nel volto di ogni uomo!
Se Gesù narra Dio attraverso tutto ciò che è, attraverso ciò che fa, attraverso ciò che dice, questo si riverbera sul volto dell’uomo tout-court…d’altro canto, la prima parola del Decalogo con il divieto di fabbricare immagini di Dio (cfr. Es 20, 4ss) era certo una prescrizione per combattere ogni idolatria, ma aveva al fondo la consapevolezza che l’immagine di Dio nel mondo già c’è: è l’uomo creato a Sua immagine. Ora, in Cristo Gesù questo assume una pregnanza eccezionale, e quel volto santissimo, quell’umanità santissima, ci invita di continuo a cercare Dio nel volto dell’uomo che Egli ha assunto, ed ha assunto per sempre! Il Figlio Risorto, infatti, è uomo e uomo per sempre!
Gesù narra il Padre con le parole e le opere e qui, a Filippo, Gesù lo dice con chiarezza: “Le parole che io vi dico non le dico da me; il Padre che è in me fa le sue opere”. Lui è la Parola del Padre, Lui è l’agire del Padre, un agire che è tutto amore, un agire che si rivela offerta totale della vita!
La liturgia di questa domenica ci suggerisce che questa narrazione del Padre, che questa via, verità e vita che è Gesù, può e deve essere resa presente e tangibile alla storia dalla Chiesa. La Chiesa ha una vocazione: essere la vicenda pasquale di Gesù nella storia, in ogni oggi della storia.
L’elezione dei sette diaconi che Atti ci racconta nella prima lettura di oggi va proprio nel senso di continuare a narrare all’uomo la tenerezza di Dio, che provvede con amore al bisogno dei poveri e che ormai lo fa attraverso il corpo di Cristo che è la Chiesa: è attraverso l’umanità piena dei credenti che Cristo continua a narrare il Padre. E’ l’edificio di Dio che è la Chiesa, fatto di pietre vive – come scrive l’autore della Prima lettera di Pietro nella seconda lettura – che mostra il volto di Dio alla storia.
La via, la verità e la vita, la narrazione cioè del Padre che è Cristo, sono state consegnate alla Chiesa, ai credenti in Lui, a quelli che – dimorando in Lui – hanno scelto come via della loro umanità, come verità della loro esistenza, come vita che dia senso alla loro vita, Colui che – narrando Dio – ci ha narrato l’uomo. E all’uomo ha consegnato il compito di continuare questa narrazione con la “potenza” della sua Pasqua, con una “potenza” in-credibile al mondo, una “potenza” crocefissa, mondanamente perdente…ma una “potenza” amante e perciò salvifica!

Lo sguardo fisso alla dimora preparata dal suo amore, e nel cuore un unico grande desiderio: dimorare in Lui!
p. Giorgio Rossi, ocd