lunedì 2 ottobre 2023

Piccole storie per l'anima - 98


 Una donna si recò alla fontana: un piccolo specchio tremolante, limpidissimo, tra gli alberi del bosco. Mentre immergeva l'anfora per attingere, scorse nell'acqua un grosso frutto roseo, cosi bello che sembrava dire: «Prendimi!»

       Allungò il braccio per coglierlo, ma quello sparì, e ricomparve soltanto quando la donna ritirò la mano dall'acqua. Cosi per due o tre volte. Allora la donna si mise ad estrarre l'acqua per prosciugare la fontana. Lavorò a lungo, sempre tenendo d'occhio il frutto misterioso; ma quando ebbe estratto tutta l'acqua, s'accorse che il frutto non c'era più.
  


          Delusa per quell'incantesimo, stava per andarsene via, quando udì una voce tra gli alberi (era il Gufo Belvedere, quello che vede sempre tutto): «Perché cerchi in basso? Il frutto sta lassù ... »  La donna alzò gli occhi e, appeso ad un ramo sopra la fontana, scorse il bellissimo frutto, di cui nell'acqua aveva visto soltanto il riflesso.

Ovvio, no? Eppure spesso nella vita ci comportiamo così. Cerchiamo affannosamente ed inutilmente la felicità nelle vicende di questo mondo. Disillusi ed amareggiati non ci rendiamo conto che solo in Dio è la nostra vera fonte di felicità…

 Per quale ragione siamo sulla terra ? Noi siamo sulla terra per riconoscere ed amare Dio, per fare il bene secondo il suo volere e raggiungere un giorno il cielo

( YouCat  - Catechismo Chiesa Cattolica per Giovani)


"Sulla terra non bisogna attaccarsi a nulla,
neppure alle cose più semplici e innocenti,
perché ci vengono a mancare quando meno ci si pensa."
(S. Teresa di Gesù Bambino)

sabato 30 settembre 2023

Meditazione sul Vangelo della Domenica

 


Una domenica in cui si leggeva questa pagina del Vangelo e io celebravo la messa nel mio paese e mia madre era presente, tornando a casa, mi raccontò ciò che segue.

Quando era bambina e il curato spiegava questa parabola, lei pensava sempre ai suoi due fratelli, che si chiamavano Graziano e Giovanni. Essi erano già giovani robusti di venti e diciotto anni e, quando il padre diceva loro che all’indomani bisognava cominciare un lavoro nella vigna o nell’oliveto, Graziano rispondeva subito sì papà, mentre Giovanni si ribellava e diceva che non voleva nemmeno pensarlo!

Ma il giorno dopo, raccontava sorridendo mia madre, nessuno sapeva dove si fosse cacciato Graziano, mentre Giovanni stava nell’oliveto o nella vigna già dalle sei della mattina, lavorando come un mulo.

Esattamente come nella parabola di Gesù!
 L’uomo che aveva due figli, si avvicinò al primo e gli disse: “Figlio, oggi va' a lavorare nella vigna”. "Non ne ho voglia", rispose questi, ma poi si pentì e vi andò. Il secondo rispose subito: “Sì, signore”, ma non vi andò.
Questo importante contrasto tra il dire e il fare, molto chiaro nella condotta dei due fratelli della parabola, Gesù lo applica a due categorie diverse di persone: i pubblicani e le prostitute, da una parte, e gli uomini pii, come i sacerdoti, gli scribi, i farisei, dall’altra. Ufficialmente i primi sono cattivi e gli altri buoni, ma non sempre è così, perché una cosa è mostrare bontà (come il figlio che dice a suo padre: “Sì, signore”, ma non va), e altro è dire no, ma pentirsi e andare.
I pubblicani e le prostitute, dice Gesù alla presuntuosa gente religiosa (a noi?), vi passeranno avanti sulla via del Regno. La logica è la stessa che sta dietro alla parabola del pubblicano e del fariseo che stavano nel tempio alla stessa ora. Il fariseo passò tutto il tempo a vantare i suoi meriti davanti a Dio, mentre il povero pubblicano, tenendosi molto indietro, vicino alla porta, non finiva di ripetere: “Abbi pietà di me, Signore, che sono un peccatore”. Il primo, ritenendosi molto buono, era convinto di pregare. L’altro, il cattivo, senza saperlo, pregava veramente. Al punto che Dio, disse Gesù, ascoltò soltanto questo povero peccatore.
“Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?”, domanda Gesù al termine della parabola del padre che aveva due figli, uno che diceva sì e non faceva nulla, e l’altro che diceva no, ma obbediva. “Il primo”, risposero tutti, senza sapere che Gesù li considerava come il figlio che diceva sì e poi spariva. Infatti, proprio rivolto a loro, disse che i pubblicani e le prostitute li precedevano nel regno di Dio. Rimanevano indietro, perché, a differenza di quella povera gente disprezzata, pensavano di non aver bisogno, né degli insegnamenti di Giovanni Battista, né di quelli di Gesù. Erano osservanti della Legge e pensavano che ciò bastasse.

È ciò che, tuttavia, può capitare anche a noi, quando pensiamo che sia sufficiente essere devoti, anche se poco generosi. “Stiamo magari servendo il Signore tutta la vita – scriveva anni fa il carmelitano Jesús Castellano – ma con tale tiepidezza e indolenza che pensiamo e diciamo, come il figlio della parabola, che stiamo servendo il Signore, ma in realtà continuiamo a fare la nostra volontà, senza un vero movimento di rinnovamento spirituale e cambiamento”.
p. Bruno Moriconi ocd

Un periodo di Grazia con S. Teresina , in attesa della Lettera Apostolica del Papa

 Come si legge nella Lettera del Definitorio recentemente pubblicato sul sito della Curia Generalizia,  L’evento recente più significativo nella vita dell’Ordine è stato senza dubbio il Definitorio Straordinario che si è tenuto a Lisieux dal 28 agosto al 2 settembre. Si è trattato del primo incontro di questo tipo durante il presente sessennio, al quale hanno partecipato i nuovi superiori delle Province e delle altre Circoscrizioni eletti o nominati in occasione dei Capitoli e dei Congressi capitolari dei mesi scorsi. L’assemblea si è riunita a pochi metri dal Carmelo di Lisieux, il luogo ove Teresa di Gesù Bambino visse da carmelitana ed entrò definitivamente nella Vita. In quest’anno in cui celebriamo il 150° anniversario della sua nascita e il primo centenario della sua beatificazione, la nostra sorella ci ricorda con il suo esempio e con i suoi scritti che siamo chiamati alla santità nella semplicità dell’esistenza quotidiana, facendo bene le piccole cose, per amore di Dio e del prossimo, e confidando pienamente nella misericordia del Padre.   

Scarica il documento qui


Il numero 389 di Communicationes la rivista dell'Ordine, ha dedicato un servizio al viaggio di S. Teresina in Italia  scarica qui e ricordiamo anche il nostro percorso con i suoi scritti (vedi qui), culminato nel convegno dell'ocds d'Italia ( vedi qui ).

C'è in Italia una città particolarmente legata alla figura di Teresa di Lisieux, Gallipoli, nel cui monastero delle carmelitane scalze nel 1910 avvenne qualcosa che contribuì ad affermare anzi a confermare "la piccola via" (vedi qui)

Prepariamoci insieme a vivere la vigilia della S. Memoria di Teresa di Gesù Bambino, in attesa  della prossima lettera apostolica di Papa Francesco dedicata a Santa Teresa di Lisieux, che sarà pubblicata il 15 ottobre (giorno della memoria della nostra Fondatrice teresa d'Avila). Questa profonda lettera commemorerà il 150° anniversario della nascita di Santa Teresa e il centenario della sua beatificazione

lunedì 25 settembre 2023

Piccole storie per l'anima - 97


   Un giorno un'insegnante chiese ai suoi studenti di fare una lista dei nomi degli altri studenti nella stanza su dei fogli di carta, lasciando un pò di spazio sotto ogni nome. Poi disse loro di pensare la cosa più bella che potevano dire su ciascuno dei loro compagni di classe e scriverla. 

       Ci volle tutto il resto dell'ora per finire il lavoro, ma all'uscita ciascuno degli studenti consegnò il suo foglio. Quel sabato l'insegnante scrisse il nome di ognuno su un foglio separato, e vi aggiunse la lista di tutto ciò che gli altri avevano detto su di lui/lei. Il lunedì successivo diede ad ogni studente la propria lista.            
        Poco dopo l'intera classe stava sorridendo. "Davvero?", sentì sussurrare, "Non sapevo di contare così tanto per qualcuno!", "Non pensavo di piacere tanto agli altri" erano le frasi più pronunciate. Nessuno parlò più di quei fogli in classe, e la prof non seppe se i ragazzi l'avessero discussa dopo le lezioni o con i genitori, ma non aveva importanza: l'esercizio era servito al suo scopo. Gli studenti erano felici di se stessi e divennero sempre più uniti.
        Molti anni più tardi, uno degli studenti venne ucciso in Afghanistan e la sua insegnante partecipò al funerale. Non aveva mai visto un soldato nella bara prima di quel momento: sembrava così bello e così maturo... 
        La chiesa era riempita dai suoi amici. Uno ad uno quelli che lo amavano si avvicinarono alla bara, e l'insegnante fu l'ultima a salutare la salma. Mentre stava lì, uno dei soldati presenti le domandò "Lei era l'insegnante di matematica di Mark?" Lei annuì, dopodiché lui le disse: "Mark parlava di lei spessissimo"
          Dopo il funerale, molti degli ex compagni di classe di Mark andarono insieme al rinfresco. I genitori di Mark stavano lì, ovviamente in attesa di parlare con la sua insegnante.
 "Vogliamo mostrarle una cosa", disse il padre, estraendo un portafoglio dalla sua tasca. "Lo hanno trovato nella sua giacca quando venne ucciso. Pensiamo che possa riconoscerlo"
        Aprendo il portafoglio, estrasse con attenzione due pezzi di carta che erano stati ovviamente piegati, aperti e ripiegati molte volte. L'insegnante seppe ancora prima di guardare che quei fogli erano quelli in cui lei aveva scritto tutti i complimenti che i compagni di classe di Mark avevano scritto su di lui. "Grazie mille per averlo fatto", disse la madre di Mark.
          "Come può vedere, Mark lo conservò come un tesoro" Tutti gli ex compagni di classe di Mark iniziarono ad avvicinarsi. Charli sorrise timidamente e disse "Io ho ancora la mia lista. E' nel primo cassetto della mia scrivania a casa ".
            La moglie di Chuck disse che il marito le aveva chiesto di metterla nell'album di nozze, e Marilyn aggiunse che la sua era conservata nel suo diario. Poi Vicki, un'altra compagna, aprì la sua agenda e tirò fuori la sua lista un po' consumata, mostrandola al gruppo.
"La porto sempre con me, penso che tutti l'abbiamo conservata"
In quel momento l'insegnante si sedette e pianse.
Pianse per Mark e per tutti i suoi amici che non l'avrebbero più rivisto ...

 

Ci sono così tante persone al mondo,
che spesso dimentichiamo che la vita finirà un giorno o l'altro.
E non sappiamo quando accadrà.
Perciò dite alle persone che le amate e che vi importa di loro,
che sono speciali e importanti.
Diteglielo prima che sia troppo tardi…

 

Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità: tutto è vanità.
Quale guadagno viene all’uomo per tutta la fatica con cui si affanna sotto il sole?
Una generazione se ne va e un’altra arriva,
ma la terra resta sempre la stessa
(Qoèlet 2-4)

sabato 23 settembre 2023

Meditazione sul Vangelo della Domenica


 

“Mi conforta sapere che Dio si serve di mezzi insufficienti per compiere il Suo progetto nel mondo”, disse il cardinal Ratzinger il giorno della sua elezione a Papa, il 19 aprile 2005. “Sono solo un umile operaio nella vigna del Signore”, aggiunse.

Una disponibilità, quella del penultimo papa, che ci può aiutare a comprendere bene la simbologia degli operai della vigna di cui si legge oggi all’inizio del capitolo 20 del Vangelo di Matteo. Nonostante fosse un uomo molto colto, un cardinale di alto rango, Joseph Ratzinger si disse contento di accettare la sua elezione alla Cattedra di Pietro, come un umile operaio nella vigna del Signore, esprimendo così il desiderio di continuare ad essere solo un vero discepolo di Gesù.

Di fatto, come dimostrano i santi con la loro vita, per chi si è incontrato con Cristo e lasciato coinvolgere nel suo progetto, non esiste cosa più grande che poter servire come Suo discepolo. La vigna di cui parla la parabola è il Regno di Dio che i discepoli di Cristo portano avanti nel mondo cercando di essere, in nome di Cristo, luce, sale e lievito per tutta l’umanità.

Quando, all’imbrunire, il padrone della vigna fa chiamare i lavoratori ingaggiati lungo la giornata e ordina al sorvegliante di dare a tutti un denaro, ossia, la paga giornaliera, è normale che quelli che avevano lavorato fin dal mattino si sentissero sottovalutati. Al loro posto, chiunque di noi, vedendo che dava la stessa ricompensa a quelli che erano appena arrivati, avrebbe provato lo stesso disagio. "Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo", direbbero anche molti di noi. Al di là, tuttavia, del legittimo sentimento istintivo, a protestare, quei lavoratori non avevano ragione di protestare, per almeno tre ragioni:

- Perché, più che contenti, avevano accettato di lavorare per quel tipo di pagamento. “Non hai forse concordato con me per un denaro?”, chiederà il padrone a chi aveva presentato le rimostranze dei primi.

- Perché il padrone aveva promesso la stessa paga giornaliera (un denaro) anche a tutti gli altri.

- Perché nessuno può proibire [qui non si tratta, naturalmente, del contratto sindacale con gli operai di una stessa fabbrica] al proprietario di quella vigna di dare quanto vuole a chiunque abbia accettato il suo invito. Anche a quelli dell’ultima ora.

Detto questo, è chiaro che qui non si tratta di un vero proprietario di vigne, ma del Signore, Padre di tutti, sempre disposto ad aspettarci a qualsiasi ora, come il padre della parabola di Luca 15. Quel padre, visto il figlio in lontananza che ritornava a casa, nonostante il male che gli aveva fatto, si commuove nelle viscere e si mette a corrergli incontro per abbracciarlo.

Come, dunque, aver invidia dinanzi a questo nostro Padre buono e affettuoso con tutti coloro che accedono a Lui? Alla luce di quanto Gesù ha insegnato, neppure l’ultima frase (Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi) deve agitarci. Non si tratta, infatti, né di una minaccia, né di una ingiustizia, poiché ciò che importa è sapere che tutti (primi e ultimi) siamo, se continuiamo a volerlo, nella stessa vigna del Signore.

Egli è disposto ad abbracciare ognuno, senza che sia importante quando si sia reso conto della grande opportunità che suppone lavorare nel e per il Regno di Dio. Uno giunge quando è tutta la vita che noi ci stiamo sforzando di vivere da cristiani?

Se non siamo capaci di rallegrarci che sia arrivato anche quello dell’ultima ora, non è sicuro che siamo già cristiani come si pensava. Per esserlo davvero, infatti, è necessario che i nostri sentimenti siano quelli del Padre della parabola lucana che, al figlio maggiore che protestava come i vignaioli della prima ora, dice che bisogna fare festa e rallegrarsi perché suo fratello che era perduto è infine tornato a casa.
P. Bruno Moriconi ocd

lunedì 18 settembre 2023

Piccole storie per l'anima - 96


       Durante un'ispezione un colonnello si fermò, squadrò il soldato da capo a piedi e gli disse con durezza: «Abbottona la tasca, soldato!». Il soldato, assai confuso, balbettò: «La devo abbottonare subito, signor colonnello?». «Sì, immediatamente!».
       Allora il soldato si avvicinò cautamente e abbottonò il risvolto del taschino della camicia del colonnello.
 È sempre più facile vedere le tasche sbottonate degli altri che non le proprie. Gesù diceva: «Ipocrita, prima togli la trave dal tuo occhio e allora potrai vedere bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello» (Le 6,42).

Oggi ho avuto la gioia di offrire a Gesù molti sacrifici per vincere il mio difetto predominante.
Mi sono costati tanto e riconosco perciò tutta la mia debolezza. 
(S. Teresa  di Gesù Bambino)

       
 

 

 

sabato 16 settembre 2023

Meditazione sul Vangelo della Domenica

 



Le volte che Pietro, e tutti i discepoli di Gesù, dovrebbero perdonare al loro fratello, sarebbero settanta volte sette, cioè 490 volte, perché il calcolo questo dà. In realtà, Gesù non pensa a questo, perché, sebbene sia moltissimo perdonare 490 volte, mettere un limite al perdono è proprio ciò che il Signore non vuole fare.

Con una probabile contrapposizione alla sfrenata disposizione alla vendetta di Lamec in Gen 4,24 (Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamec settantasette), Gesù vuol dire che il perdono, come il suo, non deve avere nessun limite. Infatti, la parabola che segue del servo senza cuore è il miglior commento a una delle invocazioni del Padre Nostro (E rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori).

Il servo che doveva al suo padrone diecimila talenti e gli erano stati condonati ma, a sua volta, non aveva voluto condonare i cento denari che un suo compagno doveva a lui, ci sembra una persona senza cuore. Ma, attenzione! Gesù sta rivolgendosi a Pietro. E se, in quel momento, sta parlando per lui e gli altri apostoli, adesso, dalle pagine del Vangelo, sta parlando a noi.

Anche il padrone della parabola che chiama il suo svergognato dipendente, sta parlando con noi in nome del Signore che sempre è disposto a perdonarci. Ci ricorda ciò che non dovremmo mai dimenticare. Che anche noi siamo stati perdonati e, inoltre, senza averlo neppure chiesto. Forse non abbiamo debiti tanto grossi come quel servo senza cuore, ma è ciò che Gesù ci ha insegnato a chiedere nel Padre Nostro: “Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

Una responsabilità molto grande, ma è questa capacità di perdonare sempre ciò che qualifica lo sforzo cristiano. Una cosa per nulla facile, soprattutto quando la colpa commessa è umanamente insopportabile e la ferita non cicatrizza mai. Ma, non dobbiamo sbagliarci. Il perdono che Gesù vuole dai suoi discepoli, non si riferisce ai sentimenti, ma alla volontà. Le ferite rimangono e nessuno ci chiede che torniamo a fidarci di uno che ci ha ingannato o ha ucciso nostro figlio. Questo di solito lo chiedono soltanto i giornalisti più sciocchi quando vanno a intervistare le povere vittime di perdite tanto grandi.

In casi gravi come questi, ma anche in altri meno gravi, ciò che richiede Gesù è il desiderio di perdonare, fatto preghiera. Il desiderio di poter arrivare un giorno a non odiare, neppure quelli che ci hanno fatto molto male. La ferita rimane, ma, con l’aiuto di Dio, e il tempo necessario, potremo diventare capaci di dire al Signore, senza timore di mentire, “rimetti a noi i nostri debiti, Padre, come anche noi li abbiamo rimessi [vogliamo rimetterli] ai nostri debitori”.

Le ferite non sono sparite neppure dal corpo glorioso di Gesù, ma Lui, nonostante tutta l’ingiustizia che vedeva in loro, dalla croce, anche per chi lo stava condannando, disse: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).







sabato 9 settembre 2023

Meditazione sul Vangelo della Domenica

 

I temi di questa parte del capitolo 18 del Vangelo di Matteo sono due: la correzione di un fratello (vv. 15-18) e l’efficacia della preghiera fatta insieme (vv. 19-20).

 Per quanto riguarda la correzione del fratello (vv. 15-18), si tratta del modo di comportarsi nella comunità dei credenti nel caso in cui un fratello o una sorella si trovino in una situazione in contrasto con la fede comune. In questo caso, chi ha il dovere di farlo deve avvertire quel fratello o quella sorella all’insaputa degli altri, perché può capitare a tutti di sbagliare e non è bene diffonderlo in giro, se si può rimediare tranquillamente a quattr’occhi.

 Bisogna trattare la persona con tutto il rispetto e con il desiderio che voglia correggersi. “Se ti ascolta, hai salvato tuo fratello”, dice Gesù. Se non succede nulla (“se non ti ascolta”), allora la correzione deve essere semi-pubblica. Sempre rispettosa, ma davanti a due o tre testimoni, e se non ascolta nemmeno loro, la sua situazione deve essere presentata a tutta la Comunità [che non è certo la Parrocchia di oggi, ma una piccola comunità di credenti e conoscenti] e la persona sarà corretta pubblicamente. Solo se anche questo terzo tentativo non è sufficiente, tutto è, per il momento, finito.

 Le parole che seguono sembrano troppo dure (“sia per te come il pagano e il pubblicano”), ma corrispondono a ciò che il fratello o la sorella stessi hanno deciso, rifiutando la correzione. Non volendo ascoltare la comunità, è come se l’avessero rifiutata come non più propria. Questo non significa, però, che quel fratello o quella sorella non siano più figli di Dio e della stessa Chiesa che, per il momento, li considera “pagani”. Nell’espressione (sia per te come...), l’avverbio (come) è molto importante!

Forse in alcune epoche, dimenticando che il suo potere è il potere della misericordia di Dio, la Chiesa ha scomunicato troppo facilmente, troppo spesso e troppo severamente, ma oggi ne è più cosciente e legge anche con minor alterigia e certezza la frase che segue: “In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo”.

Il potere di legare e sciogliere sulla terra corrisponde al potere di legare e sciogliere in cielo, perché è il potere di Dio. Quindi, attenzione, sembra dire Gesù, attenzione da parte dei fedeli, ma attenzione anche da parte della gerarchia! Ogni uomo rimane figlio di Dio, che lo si voglia o no dalle due parti.

 A questa affermazione difficile da capire, ne segue un’altra, molto bella e consolante. È l’insegnamento sul potere della preghiera condivisa con i fratelli. “In verità io vi dico ancora”, assicura Gesù, “se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà”.

Poiché - come si sa - l’unione fa la forza? 

Certo, ma qui non è solo per questo, dato che la ragione sta sulla presenza di Gesù. “Perché”, aggiunge, infatti, “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”. È, dunque, perché c’è Gesù. Una verità che vale per sempre, anche se qui si riferisce soprattutto alla forza dell’unione, in contrasto con il fallimento della divisione di cui ha parlato poco prima, dove un fratello o una sorella non vogliono ascoltare più nessuno.

Questa bella affermazione sull’efficacia della preghiera comune non significa che quando preghiamo da soli, nella nostra stanza più segreta, come ci ha insegnato Gesù stesso, il Padre non ci ascolta. Al contrario, “quando vai a pregare”, ha detto Gesù, “entra nella tua stanza, chiudi la porta e prega il Padre tuo nel segreto. E il Padre vostro, che vede nel segreto, vi ripagherà” (Mt 6,6). Lo disse per insegnare che la vera preghiera non sta nella ripetizione di tante preghiere, ma – sia pure con l’aiuto di formule familiari e tradizionali – nell’indugiare in silenzio alla presenza di Dio, certi che Lui ci ama e ci ascolta sempre, anche se sembra tardare a rispondere.

 Anche in quel segreto intimo, non possiamo, poi, dimenticare che Dio è “Padre nostro” e, quindi, non possiamo andare da Lui soli del tutto, ma sempre con i fratelli e sorelle nel cuore. Le persone che ci sono più vicine, ma anche quelle che non conosciamo e sono, in tutti i sensi, lontane. 

p. Bruno Moriconi, ocd


lunedì 4 settembre 2023

Il Volto orante di Edith Stein svelato da sr. Cristiana Dobner ocd

 PROVINCIA VENETA

ESERCIZI SPIRITUALI 23-27 AGOSTO 2023

 

“IL VOLTO ORANTE DI TERESA BENEDETTA DELLA CROCE” (Edith Stein)

Madre Cristiana Dobner ocd

 


Non è sempre facile raccontare gli esercizi spirituali, bisogna proprio esserci e viverli. Suor Cristiana ha esordito dicendo che non avrebbe fatto un corso di conoscenza di Edith Stein, ma ci avrebbe incoraggiato ad entrare in comunione con Edith Stein, infatti ciascuno di noi ha vissuto il proprio cammino personalissimo e nel silenzio. Siamo partiti dalla conoscenza di noi stessi e scavando nella nostra entità, nelle esperienze di vita che ci hanno forgiato, nella nostra identità carmelitana attuale, ci siamo ritrovati a correre in parallelo con la vita e a sprazzi con la spiritualità di questa santa. Che Donna vera! forte! Che Donna libera! Che Donna intelligente! Che Carmelitana umile! Che Carmelitana amorevole, sensibile e delicata! Che Santa generosa, in comunione con Dio, con lo stesso sangue di Cristo nelle vene, capace di donarsi per gli altri, per il suo popolo!


Che cosa abbiamo chiesto in dono e quali frutti abbiamo ricevuto in questi esercizi?

Intanto abbiamo contribuito a creare un gruppo, anzi, il corpo di Cristo, che pregava in sintonia sia verbalmente, sia mentalmente, sia offrendo se stesso, sia ascoltando lo Spirito Santo. Abbiamo sperimentato la Presenza della Luce dolce che ci ha inondato, ci ha consolato, ci ha ispirato, ci ha ricreato con i sacramenti.

Abbiamo ricevuto la conferma che essere carmelitani è la nostra via bella, la nostra realizzazione di battezzati che ci può portare alla santità. Abbiamo ricevuto la spinta di andare incontro agli altri con simpatia, empatia e desiderio di conoscerli nel profondo per scoprire la loro bellezza interiore.

Abbiamo ricevuto il desiderio di condividere la comunione che si fa nel silenzio, abbandonandosi al Signore. Ecco tutto questo lo portiamo nelle nostre famiglie, nelle nostre Comunità, nei posti di lavoro e chiediamo al Signore di completare Lui la nostra crescita personale, umana, comunitaria e spirituale.

Nella ocds





sabato 2 settembre 2023

Meditazione sul Vangelo della Domenica

 


Domenica XXII TO (A)

Mt 16,21-27 

 21Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. 22Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: "Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai". 23Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: "Va' dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!". 24Allora Gesù disse ai suoi discepoli: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? 27Perché il Figlio dell'uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni. 



Implicito nel silenzio imposto ai discepoli perché non dicessero niente sulla sua identità che ancora non erano in grado di capire, risulta chiaro che, per conoscere Gesù, è necessario seguirlo nel medesimo cammino.
I poveri discepoli di allora non potevano né volevano capire che Gesù doveva “andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi”. I dodici discepoli continuano a pensare e ad aspettarsi un Messia trionfatore ed eroe come il Cid che scacci gli infedeli. Pietro infatti, dopo la dichiarazione di Gesù sulla sua necessità di essere condannato, prese in disparte Gesù e si mise a dissuaderlo, dicendogli: “Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai”.

Non ha colpa, il povero Pietro. Le sue parole, sarebbero esattamente le nostre, ma ora che noi, a differenza di lui, sappiamo chi è Gesù e che ci ha salvato per amore proprio dando la sua vita sulla croce, siamo anche capaci di capire che ha ragione il Signore, a rimproverare, a sua volta, il discepolo.

Ma, attenzione!

Il Vangelo non è stato scritto solo per raccontarci come si è comportato Pietro. È stato scritto affinché impariamo a lasciare che Gesù sia sempre Lui il Maestro, sebbene ci pesi, molte volte, ascoltare le sue richieste. Se ci dice, come ha detto a Pietro (Va' dietro a me), è perché ci ricordiamo che siamo suoi discepoli permanenti. E non possiamo continuare a pensare come il mondo, ma come Lui ci ha insegnato con il suo esempio.

Ciò che Gesù ha detto ai discepoli, lo dice oggi a noi che ascoltiamo il suo Vangelo: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.

Ma, attenti un’altra volta!

La motivazione che deve convincerci a prendere la nostra croce non va cercata nel dovere di fare penitenza, ma nel voler seguire Gesù. Che non si tratti di penitenze, risulta chiaro dal fatto che Gesù parla della nostra croce (prenda la sua croce, dice), cioè del peso della nostra stessa esistenza. La mortificazione può sempre aiutare come esercizio, ma Gesù, con il rinnegare se stessi, si riferisce alla rinuncia all’egoismo. A quella chiusura in noi stessi che, anziché salvarci, ci impedisce di crescere come persone create per amare.

Questo vuol dire Gesù, aggiungendo: “chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà”. Il “per causa mia” o “per me”, vuol dire “a mio modo”, perché, come abbiamo appena detto, la vera motivazione del credente cristiano è la sua chiamata a essere discepolo di Gesù.

Prendere la propria croce significa morire all’egoismo del nostro uomo vecchio (rinchiuso nei suoi interessi), per vivere con la generosità del nostro uomo nuovo (aperto e generoso come Gesù). Posto questo in chiaro, lo stesso Gesù che nel suo cammino fino al Calvario, ha avuto bisogno anche Lui di essere aiutato dal contadino di Cirene, ogni volta che ne abbiamo bisogno viene a darci una mano a portare la nostra croce, e a perdonarci quando ci trovi caduti.


p. Bruno Moriconi, ocd




Tempo del Creato. I nostri santi e la bellezza della Natura

 

  - Anche se ci è più facile pensare a Francesco di Assisi e al suo Cantico delle creature, in questi giorni (1 settembre - 4 ottobre) del Tempo del Creato (periodo di più intensa orazione e azione a beneficio della Natura) che la Chiesa invita tutti a celebrare, ci aiutano i nostri santi a meditare e pregare. In molti hanno saputo cogliere nel Creato quelle scintille di Dio che aiutano a pensare a Lui, a pregare, a sentirsi grati. Quanti paragoni con la natura, li stiamo rileggendo insieme, ci sta offrendo “Storia di un’anima” di Teresa di Gesù Bambino. Sono nati dalla contemplazione, ma anche dallo sguardo della bambina e poi giovanetta capace di stupirsi e incantarsi al solo vedere il cielo o una pratolina.

"Ho notato che, in tutte le circostanze gravi della mia vita, la natura era l’immagine dell’anima mia. Nei giorni di pianto, il Cielo piangeva con me, nei giorni di gioia, il sole splendeva e l’azzurro era puro".  Teresa di Gesù Bambino, Scritto autobiografico A, 144.

"Non dovremmo dar per scontata la natura, come se non avesse nulla da dirci. Noi possiamo trovare una grande gioia nella natura, ma dobbiamo anche permettere al nostro intelletto, dopo averlo posto in ascolto, di parlarci a sua volta", scriveva Tito Brandsma.
E si dice che Giovanni della Croce portasse i suoi novizi nel bosco, durante le ore di formazione e che la stessa Teresa di Gesù pensasse che lala natura come ad un ottimo rimedio contro le distrazioni e le aridità nella preghiera: 

 "Non faccia caso alla tentazione d’interrompere l’orazione, mentre la sta recitando, ma lodi il Signore per il desiderio che ha di farla, e creda che è questo ciò a cui aspira la sua volontà, che ama di stare con Dio. La malinconia fa provare angoscia all’idea di esser soggetti a una costrizione. Vostra signoria, quando si sente così oppresso, cerchi qualche volta di andare dove possa vedere il cielo e faccia una passeggiata, ché non per questo verrà meno l’orazione, e noi dobbiamo sostenere la nostra debolezza in modo che non si coarti la natura. Si tratta sempre di cercare Dio, perché per lui noi ci adoperiamo a far ricorso a tutti i mezzi possibili, e bisogna guidare l’anima con dolcezza".

(Lettera di Teresa di Gesù all’arcivescovo di Evora, Don Teutonio di Braganza, 3 luglio 1574). 

Tra gli scritti di Elia di San Clemente, giovanissima carmelitana scalza di bari, oggi beata si legge:

"Gesù mi è sempre vicino, mi conosce bene e sa che io l'amo anche senza che io glielo dica. Mi
segue dovunque io vada, senza stancarsi, mi pensa sempre, mi ama! E quest'immenso amore che mi porta, me lo dice tutto il creato e tutto ciò che mi circonda
".

Ecco perché anche noi, dobbiamo sentirci coinvolti e uniti, da figli della Chiesa, del Carmelo e di Teresa, alla preghiera corale per la salvaguardia del Creato. Chiediamo aiuto ai nostri santi di ispirarci quelle parole di gratitudine e il senso di responsabilità verso tutto ciò che il Signore ha creato per noi. 

Per l'occasione è stato anche diffuso un testo per la preghiera dei fedeli.                         (Stefania DB)