sabato 25 marzo 2023

Meditazione sul Vangelo della Domenica


  Dopo il racconto della passione, il brano della resurrezione di Lazzaro è il testo più lungo del Vangelo di Giovanni. Un miracolo, senza dubbio, il più grande e più spettacolare. Anche perché, nella logica del IV Vangelo, è molto più di un miracolo. Nel Vangelo di Giovanni, infatti, quelli che gli altri evangelisti chiamano miracoli, sono detti segni. Sono presentati così, perché si capisca che, per capirne il significato profondo, bisogna guardare oltre ciò che accade. Perfino nel caso, come qui, della risurrezione di un morto così spettacolare.

In occasione della guarigione dell'uomo cieco dalla nascita, su cui abbiamo meditato la settimana scorsa, quando i discepoli gli chiesero chi fosse il responsabile della sua cecità, Gesù rispose che nessuno era responsabile, ma che quel pover’uomo era lì davanti a loro "perché si manifestassero in lui le opere di Dio". Perché si rivelasse, cioè, chi era Lui, Gesù, ossia la Luce del mondo. Lo stesso qui. Le sorelle di Lazzaro gli mandano a dire che il loro amico è malato, e Gesù afferma che questa malattia non finirà con la morte, "ma - aggiunge - servirà alla gloria di Dio, affinché il Figlio di Dio ne sia glorificato".

Ed è così, non tanto perché Gesù riporta in vita l’amico Lazzaro, ma perché, con questo miracolo, segnala il suo potere assoluto anche sulla morte e anticipa la sua risurrezione. Prima di questo suo amico, Gesù ha già risuscitato altri due morti, il figlio della vedova di Naim (Lc 7,11-17) e la figlia di Giairo (Mc 2,21-43). In tutti e tre i casi si tratta del più grande dei miracoli, ma ciò che veramente conta è il loro significato cristologico o di rivelazione.Nel momento dell’accaduto, la morte del suo amico, Gesù piange e lo riporta in vita anche per l’affetto che lo lega a lui e alle sue sorelle, ma oltre a questo c’è il significato di quel gesto. Non c’è scampo, infatti. Lazzaro, come tutti, dovrà morire di nuovo, quando verrà la sua ora. Gesù stesso morirà, ma - ed è qui che avviene il vero miracolo una volta per tutte! - essendo il Figlio di Dio e non semplicemente nato da donna, non resterà nel sepolcro per più di due notti. Tornerà alla vita, e non semplicemente a una vita di qualche anno, come Lazzaro, ma alla vita che gli appartiene da sempre come Dio e che, raggiungendola anche come uomo, diventa accessibile anche a tutti noi, altrimenti mortali e destinati semplicemente alla fossa.

Al di là del prodigioso miracolo, dunque, il richiamo in vita del suo amico non è altro che il segno anticipato di questa potenza divina che, in Gesù, raggiunge poi tutti. La morte rimane la conclusione della nostra vita sulla terra, ma non della vita nella sua pienezza. Per questo Gesù, a Marta disperata, anche se, in quel momento, non lo può capire, dice: "Io sono la risurrezione e la vita: chi crede in me, anche se è morto, vivrà; e chi è vivo e crede in me non morirà mai".

"Credi questo?", le chiede Gesù. "Sì, o Signore", risponde, "io credo che tu sei il Cristo (Messia), il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo". Il racconto della risurrezione di Lazzaro è stato scritto per condurci a questa stessa confessione e a molto di più di quanto Marta potesse capire in quel momento. Egli è la risurrezione e la vita e chi crede in Lui, anche se è morto, vivrà. A differenza di Marta, infatti, noi sappiamo che Gesù non è solo il Messia che doveva venire nel mondo e “figlio di Dio" adottato a quello scopo [vedi il salmo messianico 110 che dice “io oggi ti ho generato” per l’intronizzazione di qualsiasi re d’Israele], ma il Figlio di Dio da sempre che ha voluto farsi nostro fratello. Mortale in questo mondo, ma Signore del sepolcro, come Dio, anche per noi.

"Il Signore non ci ha fatti per la tomba", diceva un prete morto di recente, servendo i suoi parrocchiani ammalati di Covid, "ma per un mondo molto più vasto e felice". Sceso, infatti, negli inferi, Gesù ne esce trascinandosi dietro tutta l’umanità, come si “legge” nelle icone pasquali d’oriente, dove il Risorto prende per mano Adamo ed Eva e se li trascina dietro con tutti i loro innumerevoli figli.


venerdì 24 marzo 2023

PROVINCIA VENETA. IL CONVEGNO PROVINCIALE

 Sabato 11 marzo la Presidente della Provincia Veneta, Carla Tenuta, ha aperto il Convegno Provinciale facendoci ripercorrere le attività svolte in questo biennio. Successivamente P. Aldo Formentin ocd, Delegato Provinciale, ci ha ridonato l’entusiasmo di appartenere ad un’unica famiglia descrivendo l’iter delle Costituzioni
(di cui quest’anno si celebra il 20° anniversario) che hanno tradotto in forma laicale l’ideale di vita contenuto nella Regola di Sant’Alberto. 

In conclusione le Comunità sono state invitate a descrivere se stesse attraverso tre domande che in realtà ne sottintendono una, quella di fondo: "Qual è la nostra identità?"

 



Domenica 12 marzo, Padre Gianni Bracchi ocd, invitato a offrire qualche spunto di riflessione, ha parlato di “Maria e Giuseppe icone di preghiera e meditazione della Parola di Dio nella famiglia” e al termine della relazione ci ha guidato in un’esperienza pratica di orazione mentale.

 Condividiamo la sua relazione ascoltata, meditata e pregata.

Il Carmelo è la casa di Nazareth. Compito delle nostre Comunità è "accogliere Gesù che aspetta di entrare in una relazione di amicizia con noi.  Comunità in cui i membri non si vergognino delle proprie fragilità ... si fondino sulla misericordia reciproca, diventino autenticamente umane come solo Gesù, Dio-fatto-uomo, è riuscito ad essere”.

 (Siccome quello che ha detto è molto intenso e stimolante, riteniamo utile riportarlo per intero attraverso il seguente link.)

lunedì 20 marzo 2023

Piccole storie per l'anima . 80


 Si racconta di un medico che entrò in ospedale subito dopo essere stato chiamato urgentemente dalla chirurgia. Rispose alla chiamata non appena possibile e messo il camice andò direttamente al blocco chirurgico.

        Davanti alla sala operatoria trovò il padre del bambino che gli gridò: "Perché è venuto così tardi, perché tutto questo tempo, non sa che la vita di mio figlio è in pericolo, dov'è il suo senso di responsabilità?"
        Il dottore sorrise imbarazzato e disse: "Mi dispiace, non ero in ospedale e sono arrivato velocemente per come ho potuto, dopo aver ricevuto la chiamata...
        Ed ora, vorrei che si calmasse in modo che io possa fare il mio lavoro!" "Devo stare calmo? Cosa succederebbe se suo figlio si trovasse in questo momento nei panni del mio bambino, starebbe tranquillo?" Disse il padre arrabbiato. Il dottore sorrise tristemente e rispose: "Le voglio dire quello che ha detto Giobbe nella Bibbia: "Dalla polvere siamo venuti e in polvere ritorneremo, sia benedetto il nome di Dio! 
          Noi medici non possiamo fare sempre miracoli! Stia tranquillo, comunque faremo tutto il possibile per suo figlio!" "Dare consigli quando non siamo in questione è così facile!" - mormorò il padre. L'intervento durò qualche ora, alla fine il medico uscì dalla sala operatoria felice e disse al padre: "Grazie a Dio suo figlio è salvo!" e senza attendere la risposta del padre guardò l'orologio e andò di fretta dicendo: "Se vuole sapere altro chieda all'infermiera!".
          "Perché così arrogante? Non poteva aspettare qualche minuto e dirmi di più sullo stato di mio figlio?" disse il padre all'infermiera.
         L'infermiera con le lacrime al viso gli rispose: "Il figlio del dottore è morto ieri in un incidente stradale, ed era al funerale quando l'abbiamo chiamato per l'urgenza e ora che il suo bambino è fuori pericolo e sta bene, lui è corso a vedere la sepoltura di suo figlio!

Non giudicare mai nessuno,
perché non sai cosa sta vivendo realmente chi hai davanti a te…

«Non giudicate, per non essere giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? O come dirai al tuo fratello: “Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio”, mentre nel tuo occhio c’è la trave? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello»
                                                                       (Vangelo di Matteo 7,1-5)

 "Se non ascoltiamo il Signore quando Egli ci chiama,

può darsi che non l'abbiamo a trovare quando noi lo vorremmo"
(S. Teresa D'Avila)

sabato 18 marzo 2023

Meditazione sul Vangelo della Domenica







 Più che sul miracolo della guarigione del cieco nato, è meglio e più opportuno fermarci sulla domanda dei discepoli e sulla risposta relativa di Gesù. Una domanda e una risposta che introducono l’insieme del racconto. L’opportunità di soffermarci su questo dialogo dipende anche dal momento che abbiamo appena vissuto, minacciati dal misterioso e insidioso COVID 19 che ha coinvolto tutto il mondo in una pericolosa pandemia. Infatti, qualcuno potrebbe domandarsi se, in questo, come in qualsiasi altra disgrazia, c’entri, in qualche modo, la punizione di Dio.

Molto presuntuosi, alcuni predicatori e direttori spirituali, infatti, continuano a parlare di castighi divini dovuti alla nostra cattiva condotta. Parlano così, dimenticando che, per questo mondo, è passato anche il Figlio di Dio, Gesù, per dimostrare che il Padre, così ci ha insegnato Lui a chiamarlo, non è il tipo di dio che si potrebbe immaginare nella religione pagana, e, questo sì, secondo la mentalità dell’Antico Testamento. Se ti sei ammalato e adesso sei povero, dicevano a Giobbe i suoi amici, nonostante fosse l’uomo più religioso e retto di tutto l’oriente, è perché qualcosa di male l’avrai fatto.

 La verità era un’altra, ma questa era l’opinione religiosa corrente ancora al tempo di Gesù. Non solo i farisei credono che il povero cieco del Vangelo di oggi sia “intriso di peccati da capo a piedi” dalla sua nascita, ma la pensano così anche i discepoli di Gesù. Infatti, vedendo l’uomo cieco dalla nascita, sono loro a domandargli: “Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”.

 Ed ecco la risposta determinante di Gesù: "Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio”. Basterebbe il buon senso comune, per rendersi conto che la maggioranza delle persone che muoiono nelle catastrofi naturali non sono i grandi peccatori, ma i poveri, i lavoratori che non hanno altra colpa se non quella di essere povera gente. Ci sono anche mali dovuti a colpa, ma, in generale, vengono dalla natura, non da Dio. Dio perdona sempre, dice un proverbio, l’uomo poche volte, la natura mai.

 Un giorno che alcuni vennero a riferirgli di certi galilei il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici, Gesù rispose: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Siloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,1-5).

 Gesù, terminando con “se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”, non sta minacciando, ma portando la questione a un altro livello, a un livello d’orizzonte superiore. Nel caso dell’incidente della torre di Siloe, vuole condurci a riflettere sull’infermità più importante che è quella di non convertirsi o di non tornare a Dio che ci ama e che ci sta aspettando da sempre.

Sfortunatamente, le torri continuano a cadere e ad uccidere. Molte volte è colpevole la nostra negligenza, ma mai il Signore. Ciò che dipende da noi è vivere consapevoli della nostra dignità di figli di Dio. Questo vuol dire Gesù a chi gli riferisce le due disgrazie. Morire è una tragedia, ma non vivere consapevolmente è solo una sopravvivenza sterile, peggiore che morire sotto una torre o per malattie, dalle quali, tuttavia, dobbiamo difenderci meglio possibile.

Nel racconto della guarigione del cieco nato, Gesù vuole aprirci l’orizzonte delle opere di carità. “Né lui ha peccato né i suoi genitori”, ci dice, ma [è qui] perché in lui siano manifestate le opere di Dio”. Ciò che Lui fa, guarirlo dalla cecità, solo Gesù può farlo e, qualche volta, anche alcuni santi che lo pregano con una fede da bambini, ma gli ammalati sono tra di noi perché – nella misura delle nostre possibilità – li curiamo.

“Vi assicuro che ciò che farete a uno solo di questi, miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me” ci dice Gesù nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo.



lunedì 13 marzo 2023

Piccole storie per l'anima -79


 
Un principe molto ricco decise di costruire una chiesa per tutte le persone che abitavano nel villaggio. Era un bell'edificio elegante, posto sulla collina e dunque ben visibile a tutti.

        Ma aveva una stranezza: era senza finestre! Il giorno dell'inaugurazione, prima che il sacerdote cominciasse la celebrazione, il principe fece il suo discorso per consegnare il tempio alla comunità.
Disse: "Questa chiesa sarà un luogo d'incontro con il Signore, che ci chiama a pregarlo ed a volerci bene.
Vi chiederete come mai non sono state costruite finestre.
Lo spiego subito. Quando ci sarà una celebrazione ad ogni persona che entra in chiesa, verrà consegnata una candela. Ognuno di noi ha un suo posto. Quando saremo tutti presenti, la chiesa risplenderà ed ogni suo angolo sarà illuminato. Quando invece mancherà qualcuno, una parte del tempio rimarrà in ombra".

Ogni cristiano è luce per gli altri,
ed ha un suo posto particolare nel mondo e nella Chiesa...

"Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte,
né si accende una lampada per metterla sotto il moggio,
ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa.
Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini,
 perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli".
 (Vangelo di Matteo 5, 14-16)


"L'uomo non sa né godere né soffrire bene,
non comprendendo la differenza fra il bene e il male".
S. Giovanni della Croce

sabato 11 marzo 2023

Meditazione sul Vangelo della Domenica di Quaresima



 

Non v’è alcun dubbio, in questa lunga e meravigliosa pagina del Vangelo di Giovanni, le parole su cui siamo invitati a porre la nostra maggior attenzione sono quelle del Signore alla Samaritana: "Sono io, che parlo con te". A Gesù che le andava dicendo che si stava avvicinando l’ora in cui chi voleva rendere vero culto al Padre avrebbe dovuto adorarlo in spirito e verità, perché il Padre desidera che gli sia reso culto non già nel tempio, ma con il cuore ovunque ci si trovi, la donna, per mostrare che, sulle promesse, anche lei era informata, Gli aveva risposto: “So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa”.

Sono io!”, le dice Gesù. Colui che stai aspettando tu, la tua gente e tutto il popolo di Israele, “Sono io, che parlo con te”. È questa dichiarazione ad essere la più importante. Ciò che conta, infatti, non è la storia di questo incontro e i suoi dettagli vicino al pozzo di Giacobbe, ma ciò che – con la donna di Samaria, nostra rappresentante – dobbiamo imparare noi, lettori di oggi del Vangelo di Giovanni. Sia che siamo uomini o donne, la Samaritana è ognuno di noi.

 Che anche Gesù abbia sete a quell’ora (verso mezzogiorno), ci ricorda che il Figlio di Dio si è fatto veramente uno di noi, bisognoso di bere e mangiare come tutti. Questo incontro va, comunque, molto più in là della sete di Gesù e dell’illusione della donna di Samaria, di non dover più tornare al pozzo, bevendo dell’acqua da Lui promessa, come si deduce da come ne parla Teresa d’Avila, che, nel libro della sua vita, scrive:

 Quante volte mi sono ricordata dell’acqua viva di cui parlò il Signore alla Samaritana! Sono molto devota di quel fatto evangelico, e lo ero fin da bambina, tanto che senza neppur comprendere quello che chiedevo, supplicavo spesso il Signore a darmi di quell’acqua: in camera mia tenevo un quadro che rappresentava Gesù vicino al pozzo, con sotto le parole: Domine, da mihi aquam!” (Vita 30,19).

 Signore, dammi quest'acqua”, implorò la donna di Samaria, quando Gesù le disse che chi avrebbe bevuto dell’acqua che Lui offriva, non avrebbe mai più avuto sete. Lei l’intese soltanto in senso pratico e utilitaristico. (“Perché”, aggiunse, infatti, “io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua”). A differenza di lei, noi, come santa Teresa, sappiamo bene ciò che voleva dire Gesù. L’acqua è Lui stesso, perché non soltanto è il Messia, ma il Figlio di Dio, il nuovo e unico vero tempio che mette in comunicazione col Padre.

 Non c'è bisogno di scalare nessun monte, non il Gerizim, ma neppure quello di Sion in Gerusalemme, perché il Tempio è Lui. “Credimi, donna, viene l'ora in cui né su questo monte [il Gerizim, appunto] né a Gerusalemme adorerete il Padre”, dice Gesù alla Samaritana. “Ma viene l'ora - ed è questa [e dove, se non alla sua presenza?], in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano”.

 Questo non significa che non sia necessario andare in Chiesa, ma che andarci non basta, se non cerchiamo, lì e in ogni altro luogo, per mezzo dello Spirito, l’incontro con Gesù, la Verità e la Via che porta al Padre. Se cerchiamo solo di compiere alcuni riti e non desideriamo un incontro personale con Lui, è segno che non abbiamo ancora “assaggiata l’acqua viva di cui il Signore disse alla Samaritana” ci direbbe la stessa Teresa di Gesù nell’ultimo capitolo de libro delle Fondazioni (31,46).

 Quanto, poi, al fatto che l’evangelista ci dica che “molti Samaritani di quella città credettero in Lui”, non è importante prendere alla lettera questa affermazione. Ciò che poterono credere esattamente quelle persone non lo possiamo sapere. Importante non è ciò che credettero quei samaritani, ma ciò che crediamo noi, la nostra fede. E non solo perché ci è stato detto, ma perché abbiamo incontrato il Signore nella nostra vita e continuiamo a cercarne la compagnia.

 È per noi che l’evangelista ha registrato la risposta alla donna dei samaritani: “Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”. Un po’ ciò che disse Giobbe, al termine della sua lotta con Dio. Era un uomo “integro e retto, timorato di Dio e lontano dal male” (1,1), si legge all’inizio della sua storia, ma solo alla fine, diventato davvero credente, può dire a Dio: “Ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto” (42.5).


giovedì 9 marzo 2023

Solo Dios Basta - Messaggio di Quaresima


 Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio di Papa Francesco per la Quaresima 2023 sul tema “Ascesi quaresimale, itinerario sinodale”.

 
Cari fratelli e sorelle!
       I vangeli di Matteo, Marco e Luca sono concordi nel raccontare l’episodio della Trasfigurazione di Gesù. In questo avvenimento vediamo la risposta del Signore all’incomprensione che i suoi discepoli avevano manifestato nei suoi confronti. Poco prima, infatti, c’era stato un vero e proprio scontro tra il Maestro e Simon Pietro, il quale, dopo aver professato la sua fede in Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio, aveva respinto il suo annuncio della passione e della croce. Gesù lo aveva rimproverato con forza: «Va’ dietro a me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!” (Mt 16,23).

          Ed ecco che «sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte» (Mt 17,1). Il Vangelo della Trasfigurazione viene proclamato ogni anno nella seconda Domenica di Quaresima. In effetti, in questo tempo liturgico il Signore ci prende con sé e ci conduce in disparte. Anche se i nostri impegni ordinari ci chiedono di rimanere nei luoghi di sempre, vivendo un quotidiano spesso ripetitivo e a volte noioso, in Quaresima siamo invitati a “salire su un alto monte” insieme a Gesù, per vivere con il Popolo santo di Dio una particolare esperienza di ascesi. L’ascesi quaresimale è un impegno, sempre animato dalla Grazia, per superare le nostre mancanze di fede e le resistenze a seguire Gesù sul cammino della croce.  Proprio come ciò di cui aveva bisogno Pietro e gli altri discepoli.

        Per approfondire la nostra conoscenza del Maestro, per comprendere e accogliere fino in fondo il mistero della salvezza divina, realizzata nel dono totale di sé per amore, bisogna lasciarsi condurre da Lui in disparte e in alto, distaccandosi dalle mediocrità e dalle vanità. Bisogna mettersi in cammino, un cammino in salita, che richiede sforzo, sacrificio e concentrazione, come una escursione in montagna. Questi requisiti sono importanti anche per il cammino sinodale che, come Chiesa, ci siamo impegnati a realizzare. Ci farà bene riflettere su questa relazione che esiste tra l’ascesi quaresimale e l’esperienza sinodale.

        Nel “ritiro” sul monte Tabor, Gesù porta con sé tre discepoli, scelti per essere testimoni di un avvenimento unico. Vuole che quella esperienza di grazia non sia solitaria, ma condivisa, come lo è, del resto, tutta la nostra vita di fede. Gesù lo si segue insieme. E insieme, come Chiesa pellegrina nel tempo, si vive l’anno liturgico e, in esso, la Quaresima, camminando con coloro che il Signore ci ha posto accanto come compagni di viaggio. Analogamente all’ascesa di Gesù e dei discepoli al Monte Tabor, possiamo dire che il nostro cammino quaresimale è “sinodale”, perché lo compiamo insieme sulla stessa via, discepoli dell’unico Maestro. Sappiamo, anzi, che Lui stesso è la Via, e dunque, sia nell’itinerario liturgico sia in quello del Sinodo, la Chiesa altro non fa che entrare sempre più profondamente e pienamente nel mistero di Cristo Salvatore.
 
        E arriviamo al momento culminante. Narra il Vangelo che Gesù «fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce» (Mt 17,2). Ecco la “cima”, la meta del cammino. Al termine della salita, mentre stanno sull’alto monte con Gesù, ai tre discepoli è data la grazia di vederlo nella sua gloria, splendente di luce soprannaturale, che non veniva da fuori, ma si irradiava da Lui stesso. La divina bellezza di questa visione fu incomparabilmente superiore a qualsiasi fatica che i discepoli potessero aver fatto nel salire sul Tabor. Come in ogni impegnativa escursione in montagna: salendo bisogna tenere lo sguardo ben fisso al sentiero; ma il panorama che si spalanca alla fine sorprende e ripaga per la sua meraviglia.

      Anche il processo sinodale appare spesso arduo e a volte ci potremmo scoraggiare. Ma quello che ci attende al termine è senz’altro qualcosa di meraviglioso e sorprendente, che ci aiuterà a comprendere meglio la volontà di Dio e la nostra missione al servizio del suo Regno. L’esperienza dei discepoli sul Monte Tabor si arricchisce ulteriormente quando, accanto a Gesù trasfigurato, appaiono Mosè ed Elia, che impersonano rispettivamente la Legge e i Profeti (cfr Mt 17,3). La novità del Cristo è compimento dell’antica Alleanza e delle promesse; è inseparabile dalla storia di Dio con il suo popolo e ne rivela il senso profondo. Analogamente, il percorso sinodale è radicato nella tradizione della Chiesa e al tempo stesso aperto verso la novità. La tradizione è fonte di ispirazione per cercare strade nuove, evitando le opposte tentazioni dell’immobilismo e della sperimentazione improvvisata.

       Il cammino ascetico quaresimale e, similmente, quello sinodale, hanno entrambi come meta una trasfigurazione, personale ed ecclesiale. Una trasformazione che, in ambedue i casi, trova il suo modello in quella di Gesù e si opera per la grazia del suo mistero pasquale. Affinché tale trasfigurazione si possa realizzare in noi quest’anno, vorrei proporre due “sentieri” da seguire per salire insieme a Gesù e giungere con Lui alla meta. Il primo fa riferimento all’imperativo che Dio Padre rivolge ai discepoli sul Tabor, mentre contemplano Gesù trasfigurato. La voce dalla nube dice: «Ascoltatelo» (Mt 17,5).

      Dunque la prima indicazione è molto chiara: ascoltare Gesù. La Quaresima è tempo di grazia nella misura in cui ci mettiamo in ascolto di Lui che ci parla. E come ci parla? Anzitutto nella Parola di Dio, che la Chiesa ci offre nella Liturgia: non lasciamola cadere nel vuoto; se non possiamo partecipare sempre alla Messa, leggiamo le Letture bibliche giorno per giorno, anche con l’aiuto di internet. Oltre che nelle Scritture, il Signore ci parla nei fratelli, soprattutto nei volti e nelle storie di coloro che hanno bisogno di aiuto. Ma vorrei aggiungere anche un altro aspetto, molto importante nel processo sinodale: l’ascolto di Cristo passa anche attraverso l’ascolto dei fratelli e delle sorelle nella Chiesa, quell’ascolto reciproco che in alcune fasi è l’obiettivo principale ma che comunque rimane sempre indispensabile nel metodo e nello stile di una Chiesa sinodale.

       All’udire la voce del Padre, «i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: “Alzatevi e non temete”. Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo» (Mt 17,6-8). Ecco la seconda indicazione per questa Quaresima: non rifugiarsi in una religiosità fatta di eventi straordinari, di esperienze suggestive, per paura di affrontare la realtà con le sue fatiche quotidiane, le sue durezze e le sue contraddizioni. La luce che Gesù mostra ai discepoli è un anticipo della gloria pasquale, e verso quella bisogna andare, seguendo “Lui solo”.

     La Quaresima è orientata alla Pasqua: il “ritiro” non è fine a sé stesso, ma ci prepara a vivere con fede, speranza e amore la passione e la croce, per giungere alla risurrezione. Anche il percorso sinodale non deve illuderci di essere arrivati quando Dio ci dona la grazia di alcune esperienze forti di comunione. Anche lì il Signore ci ripete: «Alzatevi e non temete». Scendiamo nella pianura, e la grazia sperimentata ci sostenga nell’essere artigiani di sinodalità nella vita ordinaria delle nostre comunità.

       Cari fratelli e sorelle, lo Spirito Santo ci animi in questa Quaresima nell’ascesa con Gesù, per fare esperienza del suo splendore divino e così, rafforzati nella fede, proseguire insieme il cammino con Lui, gloria del suo popolo e luce delle genti.

Roma, San Giovanni in Laterano, 25 gennaio, festa della Conversione di San Paolo

FRANCESCO

mercoledì 8 marzo 2023

Il dono di Gesù Bambino a Teresina


 "Bisognò che il Buon Dio facesse un piccolo miracolo per farmi crescere in un momento e questo miracolo lo fece nel giorno indimenticabile di Natale". 

Così prosegue il racconto del cammino spirituale che Teresa fece vincendo un carattere che tante volte l'adorata mamma aveva descritto come vivace e sensibile. Nella terza scheda che troverete nella colonna qui accanto dedicata a questo anno di meditazione con la piccola carmelitana di Lisieux. Alla fine della scheda troverete una paginetta di domandi utili per il discernimento.

lunedì 6 marzo 2023

Piccole storie per l'anima - 78


 Un discepolo chiese al maestro di spiritualità:

"Maestro, perché i buoni soffrono più dei cattivi?"
 Rispose il maestro:
"Ascoltami. Un contadino ha due mucche, una robusta, l'altra debole.
A quale delle due metterà il giogo?"
"Certamente a quella forte". "Hai risposto bene" disse.
"Così fa il buon Dio, che benedetto sia!
Per salvare il mondo, mette il giogo ai buoni"

       «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.
Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore,
e troverete ristoro per la vostra vita.
Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero»
(Mt 11,28-30)

       Ricordati sempre che ogni cosa che ti accade, prospera o avversa,  viene da Dio, 
 affinché dall'una parte non ti insuperbisca e dall'altra non ti perda di coraggio.
(S. Giovanni della Croce)

sabato 4 marzo 2023

Meditazione sul Vangelo della Domenica

 




Gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni sono considerati i "più intimi", cioè il piccolo gruppo di testimoni che Gesù sceglie tra i Dodici, affinché vivano con Lui alcune esperienze particolari e profondamente significative per conoscere la sua identità e mantenerne vivo il ricordo dopo il suo ritorno al Padre.

Di fatto, saranno proprio questi ad avere la maggiore autorità nella prima generazione del cristianesimo. Pietro, come guida di tutte le pecore di Gesù. Giacomo, capo della Chiesa giudeo cristiana di Gerusalemme e il primo degli apostoli ad essere ucciso. Giovanni, infine, perché simbolo di ogni discepolo che diviene tale, solo quando si sente “amato da Gesù”, come lui.

Sono tre gli apostoli, e tre le circostanze in cui Gesù prende con Sé solo loro:

- Nella casa dove compie il miracolo della risurrezione della figlia di Giairo (Lc 8, 49-56), perché siano testimoni che, dove c'è Gesù, la morte non ha più l'ultima parola. La bambina, simbolo di tutta l’umanità, non è morta, dice Gesù, ma dorme ed è Lui a risvegliarla.

- Il giorno della Trasfigurazione che leggiamo in questa seconda domenica di Quaresima nella versione di Matteo (17,1-13), perché quei tre sappiano che Gesù non è solo ciò che percepiscono con gli occhi e seguono con le gambe, sperando, al massimo, che sia il Messia promesso per restaurare la libertà del popolo d’Israele, ma molto di più.

- Infine, saranno questi tre che, alla fine, Gesù vorrà con Sé come compagni nell’ora terribile dell'orto del Getsemani (Mt 26,36-46). Affinché non dimentichino quanto gli era costato accettare quella condanna che, tuttavia, aveva abbracciato per dare la vita per tutti.

Sul monte, ora, siamo al secondo momento e i tre discepoli, dopo aver visto che dove passa Gesù, la morte non ha più potere definitivo (il ritorno in vita della bambina di Giairo in Mt 9,23-25), vedono chiaramente la gloria di Dio in Gesù trasfigurato.

Sono, tuttavia, gli stessi che, come abbiamo appena detto, testimoni della notte del Getsemani, dovranno imparare che la vera potenza e la gloria stessa di Dio si manifestano soprattutto nella sofferenza di Gesù accettata per amore loro e di tutta l’umanità. In quel momento - nonostante le ripetute richieste di Gesù perché vegliassero con Lui - questi tre poveri privilegiati non sapranno far altro che dormire.

Gli Evangelisti, tuttavia, non hanno avuto paura di raccontarlo, affinché noi, al contrario di loro in quel momento, impariamo a stare vicino al Maestro in ogni momento. Soprattutto in quello della tristezza e dell’angoscia suprema del Getsemani e della croce, poiché è lì che il suo amore si manifesta in tutta la sua grandezza. Loro, quei tre, lo avrebbero capito dopo la risurrezione di Gesù. Noi lo sappiamo da quando siamo diventati cristiani, ma anche noi dobbiamo ancora impararne tutta la portata e farla parte della nostra vita.

Quel monte, alto, secondo Mt e Lc, è stato identificato con il Tabor e, talvolta, addirittura con l'Hermon, ma gli evangelisti non gli danno alcun nome. In realtà, più che geografica, questa altura va intesa in senso teologico e spirituale, dato che in tutte le culture, il monte indica il luogo della vicinanza a Dio, o dove Dio si manifesta in occasioni speciali, come sul monte Oreb in fondo alla penisola del Sinai.

Al momento della Trasfigurazione, di fronte allo spettacolo di Gesù che si illumina al punto che il suo volto splende come il sole, le vesti si fanno bianche come la luce, e Mosè ed Elia conversano con lui, è naturale che Pietro, interpretando anche il desiderio di Giovanni e di Giacomo, desideri che quanto accade davanti a loro non finisca più. "Signore”, disse, “quanto è bello essere qui! Se vuoi, farò tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia".

Marco, a questo proposito, annota che Pietro “non sapeva quello che diceva, perché erano terrificati (ekfoboi)" (Mc 9,6). Una paura che, tuttavia, siamo costretti a non identificare col panico che costringe alla fuga, ma, semmai, con un senso di inadeguatezza o di profondo imbarazzo di fronte al divino. Altrimenti perché chiedere di poter restare? Semmai, con la menzione della paura, annotata anche da Matteo, Marco vuole probabilmente sottolineare [anticipandolo] che Pietro e gli altri due sono incapaci di capire [anche in quell’occasione] come lo saranno al momento della passione.

Potrebbe essere davvero così, dal momento che Luca lo fa annotando che “Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno” anche se, in questo caso, aggiunga che “quando si svegliarono videro la sua gloria” (Lc 9,32). Che la trasfigurazione su quel monte sia, infatti, solo un momento funzionale lo sottolineano tutti e tre gli evangelisti, concludendo l’episodio con la significativa annotazione che, proprio dopo la richiesta di rimanere in quel clima estatico, Pietro, Giacomo e Giovanni "non videro[più] nessuno, se non Gesù solo".

Non solo! Mentre scendono dal monte, Gesù stesso impone loro di non parlare con nessuno di ciò che hanno visto “finché il Figlio dell'uomo non sarà risuscitato dai morti”

Perché?

Poiché, non sapendo che la gloria di Gesù era quella della sua morte, per il momento questi tre avrebbero raccontato solo l'aspetto miracoloso di quell'evento, facendosi false aspettative miracolistiche loro stessi e creandone altrettante tra la gente. Per questo perfino Pietro, per ora, deve tacere e, solo una volta convertito e guidato dallo Spirito Santo, come nella casa di Cornelio a Cesarea marittima, potrà dire a tutti da vero discepolo:

"Voi sapete ciò che è avvenuto in tutta la Giudea, a partire dalla Galilea, a partire dal battesimo che Giovanni ha predicato. Come Dio ha unto Gesù di Nazareth con Spirito Santo e potenza: egli andava facendo del bene e guarendo i posseduti dal diavolo, perché Dio era con lui. Siamo testimoni di tutto ciò che fece in Giudea e a Gerusalemme. Lo misero a morte appendendolo a un albero. Ma Dio lo risuscitò il terzo giorno e lo fece apparire, non a tutto il popolo, ma a testimoni prestabiliti da Dio, a noi che mangiammo e bevemmo con lui dopo la sua risurrezione" (At 10,37-41).

Altri dettagli importanti dell’episodio della Trasfigurazione, sono: il binomio Mosè/Elia, il Monte e la Nube luminosa. Mosè ed Elia, poiché rappresentano le massime autorità dell'Antico Testamento, uno la Torah (il Pentateuco) e, l’altro, i Profeti garantendo, insieme, che Gesù è il vero Messia atteso da Israele e promesso da Dio. Il Monte poiché, in parallelo con l'Oreb, è il luogo della speciale rivelazione di Dio che, qui, ribadisce: "Questi è il Figlio mio, l'amato, il mio prediletto. Ascoltatelo".

La Nube luminosa che copre con la sua ombra i discepoli, è il segno che essi iniziano ad entrare nel Mistero in cui anche noi dobbiamo entrare ogni giorno di più, dal momento che la nostra fede, benché luminosa, è pur sempre una nube. La nube della non conoscenza, come si intitola un celeberrimo trattato mistico scritto da un anonimo inglese (The Cloude of Unknowyng) verso la fine del Trecento da cui imparare che, per giungere a Dio in questa vita non serve l’intelligenza, ma un sincero desiderio di incontrarlo e di conoscerne l’amore infinito.

Quel libro ispira il suo titolo a Mosè che sale sul Sinai per parlare con il Signore e viene coperto, come i tre della Trasfigurazione, dalla nube della presenza di Dio. La nube viene detta della “non conoscenza” poiché, per quanto riguarda noi, si dovrà lasciare tutto, non solo i vizi ed i peccati, ma perfino i pensieri più santi, per permettere a Dio di rivelarsi davvero come Egli è al di là di tutte le nostre teologie. Detto con altre parole, chi entra sotto questa nube dovrà tender al vero dovunque che è in nessun luogo o al nulla, dove si trova il tutto, come insegna San Giovanni della Croce che, sicuramente a conoscenza anche lui di quel libro, scrive: “Per giungere al possesso del tutto, non voler possedere niente. Per giungere ad essere tutto, non voler essere niente. Per giungere alla conoscenza del tutto, non cercare di sapere qualche cosa in niente”
(Primo libro di Salita del Monte Carmelo 13, 11).

venerdì 3 marzo 2023

"ESSERE PIETRE VIVE DI UN CARMELO CHE VIVE NELL’OGGI"

 "ESSERE PIETRE VIVE DI UN CARMELO CHE VIVE NELL’OGGI"

Riflessioni sulla nostra vocazione e la nostra identità
ri-compresa e ri-vissuta nel tempo presente

Carissimi/e secolari delle Comunità della Provincia Lombarda OCDS,
Come ben sapete, quest’anno siamo chiamati a rinnovare i Consigli delle nostre Comunità e del Consiglio Provinciale in un quadro caratterizzato da non poche difficoltà per la nostra Provincia (vedi lettera del Padre Provinciale di Agosto 2022)

Tuttavia, a fronte di queste difficoltà, si colgono qua e là i prodromi per un cammino di rinnovamento che fanno ben sperare per il futuro delle nostre comunità secolari. In questo contesto, ed in vista delle prossime elezioni, il Consiglio Provinciale ha pensato di organizzare un ciclo di tre incontri online dal tema: " ESSERE PIETRE VIVE DI UN CARMELO CHE VIVE NELL’OGGI” Riflessioni sulla nostra vocazione e la nostra identità ri-compresa e ri-vissuta nel tempo presente"

Questi incontri, cominciati lo scorso 23 febbraio (tema: LA VOCAZIONE) saranno guidati da Padre Saverio Cannistrà OCD, che tanti di voi hanno conosciuto ed apprezzato a Bocca di Magra in occasione del nostro ritiro Provinciale nel settembre 2022

Questi prossimi incontri

•  Venerdì 17 Marzo dalle ore 21.00 alle ore 22.30 - L'IDENTITA' CARMELITANA TERESIANA
• Venerdì 14 Aprile dalle ore 21.00 alle ore 22.30 -  LE SFIDE DI OGGI

Gli incontri saranno online e utilizzeremo la piattaforma SKYPE.
A questo proposito è stato creato un gruppo dedicato dal nome: "FORMAZIONE PERMANENTE OCDS" in questo gruppo sono già iscritte i presidenti e/o le referenti di comunità, il Provinciale Padre Fausto Lincio e il Delegato Provinciale OCDS Padre Davide Capano.

P. Saverio Cannistrà ocd

Chi può partecipare

Tenendo presente che Skype garantisce la connessione per non oltre 50 persone, i Presidenti di Comunità, a cui andrà il compito di iscrivere i partecipanti nel gruppo Skype, si facciano garanti che le persone iscritte poi effettivamente partecipino all’incontro.
In particolare sono invitati a partecipare, in ordine di priorità:

1) I Consigli di Comunità
2) I membri con promessa definitiva e temporanea
3) I formandi
4) I simpatizzanti

Il Consiglio Provinciale
Angelo Berna
Beretta Laura
Lidia Ceolotto
Cristina Vaiani


giovedì 2 marzo 2023

Solo Dio basta - 14


 

DAL CAMMINO DI PERFEZIONE

Cap. 29

        Immagino che gli ingaggiati della vita attiva, non appena vedono gli altri(..i contemplativi) un tantino favoriti, pensino che per loro è sempre festa. Ma io vi assicuro che voi non riuscireste a sopportare magari neanche per un giorno quel che patiscono loro. Per cui il Signore, che conosce tutti e sa quanto valgono, assegna ad ognuno il suo compito, quello più adatto all'anima del singolo, alla sua propria gloria e al bene del prossimo...lasciamo fare al Signore, che ci conosce meglio di quanto ci conosciamo noi stesse. Il criterio per capire se siete progredite in fatto di virtù, figlie mie, sta nell'appurare se ciascuna di voi si considera davvero la più scadente di tutte, e se questo lo dà a vedere anche con le opere per il profitto e il bene delle altre.

Cap. 31

        Il Signore dice:”Chi berrà quest'acqua non avrà più sete” (Gv.4,16) L'acqua ha tre proprietà. La prima è quella di rinfrescare;... la seconda è quella di lavare la roba non pulita... Dio non autorizza a bere quest'acqua della perfetta contemplazione e della vera unione (che non rientra nel raggio d'azione della nostra volontà), se non per ripulire l'anima, per lasciarla netta e monda dal fango in cui per le sue colpe si trovava immersa;... la terza proprietà dell'acqua è quella di placare e togliere la sete. Nel caso nostro, il termine ”sete” a mio avviso esprime il desiderio di una cosa che ci è talmente indispensabile, da condurci alla morte qualora ci venga a mancare....Benedetto Colui che ci invita ad andare a bere al suo Vangelo.

Cap. 32
 
        Siccome nel Signore nostro Bene non c'è nulla che non sia perfetto ed il datore di quest'acqua è soltanto Lui, ce ne dà esattamente quanta ne abbiamo bisogno, e per tanta che sia non potrà mai esservi un eccesso nella sua elargizione. Se egli dà molto, infatti, rende anche l'anima capace di bere molto. Tenete presente che il Signore invita tutti. E siccome egli è la stessa Verità, non si possono avere dubbi in merito. Se il suo invito non fosse universale ...non ci direbbe. ”Io vi darò da bere”...Ma siccome ha detto “tutti” senza alcuna restrizione, io tengo per certo che a chiunque non si arresterà per strada, non verrà a mancare nemmeno quest'acqua viva.

Cap. 33

       Dio nostro sommo bene mette a disposizione diverse strade per raggiungerlo, così come in cielo vi sono molte dimore...la sua misericordia è stata così grande, da non impedire ad alcuno ad industriarsi per arrivare a bere a questa sorgente di vita....E' quindi poco, ma sicuro che egli non lo proibisce a nessuno, ma anzi ci chiama pubblicamente a gran voce. Avanzando sempre con la ferma risoluzione di morire piuttosto che non raggiungere questa fonte, state certe che qualora il Signore vi trascini avanti senza darvi modo di arrivarci in questa vita, vi darà abbondantemente da bere nell'altra.