Meditiamo con p. Arnaldo Pigna ocd
Il Vangelo
di oggi ci presenta due episodi che confermano quanto nella prima lettura
abbiamo ascoltato, cioè che “Dio è amante della vita” (Sap 1,13) e “ha creato
l’uomo per la immortalità” (Sap 2,23). I miracoli che Gesù compie sanando
l’emorroissa e risuscitando il figlio di Giairo, mostra plasticamente questa
verità. Ridonando la salute e la vita Gesù vince la morte
che era “entrata nel mondo per invidia del diavolo” (Sap 2,24) il quale “per paura della morte teneva gli uomini
schiavi per tutta la vita” (Eb 2, 14-15).
La
risurrezione della figlia di Giairo, come le altre due risurrezioni che
leggiamo nel vangelo (quella di Lazzaro e quella del figlio della vedova di
Naim) sono un segno. Esse manifestano la venuta del regno di Dio presente nella
persona di Gesù, ne rivelano il potere
sulla morte e, soprattutto, ne preannunciano la risurrezione. Con ciò
Gesù mostra concretamente che la promessa della Genesi si sta attuando (Gen
3,15) e il regno del diavolo sta crollando: “la sua stirpe ti schiaccerà il
capo”.
Ma l’uomo, che ha peccato fidandosi più del
diavolo che di Dio, deve offrire la sua collaborazione mediante un atto di fede
e una rinnovata fiducia in Dio. E’ l’umile fede che supplica per bocca del
padre della bambina e il gesto della donna che tocca il mantello di Gesù che
Gli permettono di compiere il miracolo.
Qui, come in molte altre occasioni,
Gesù insiste sulla importanza della fede. Alla donna, intimidita per essere
stata scoperta, dice: «La tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal
tuo male» (Mc 5, 34); e a Giairo, nel momento difficile in cui gli comunicano
la triste notizia della morte della figlia, chiede ancora fede: «Non temere,
continua solo ad aver fede!» (Mc 5,36).
Anche
l’evangelista sembra impostare la narrazione per mettere particolarmente in
luce la virtù della fede, più che la potenza del Signore. In effetti, il
racconto dell’evangelista non attira tanto l’attenzione sul miracolo stesso,
quanto piuttosto sulla fede di chi lo domanda.
E’ la fede
al centro della guarigione della donna; ed è ancora la fede al centro della
guarigione della figlia di Giairo. Gesù, da parte sua, chiede la fede per
compiere il miracolo e afferma che è proprio le fede che lo rende possibile. Ma
quando, nonostante la fede, il miracolo non avviene?
Qui siamo
invitati a riflettere sul rapporto che esiste tra fede e intervento di Dio. E
anche ad approfondire il concetto stesso che noi abbiamo di fede.
E’ un fatto
che il miracolo è pur sempre una cosa straordinaria e che non sempre la fede
ottiene il miracolo. Del resto Gesù stesso, di risurrezioni ne ha compiute tre
soltanto e, pur operando tante guarigioni, certamente ha sanato solo una
piccola parte dei malati che erano allora nella Palestina. Questo ci invita a
superare l’idea che la fede sia solo credere nella potenza di Gesù, una potenza
capace di raggiungerti qui, nella tua propria situazione, potenza che vince
tutto, persino la morte. Questo è un aspetto importante, necessario; ma bisogna
andare oltre. Se è vero che la fede ottiene miracoli è ancor più vero che il
miracolo è da Gesù fatto per ottenere la fede. Esso è sempre un “segno” per
suscitare la fede in Lui, nella sua persona, nella sua missione di portatore
dell’amore di Dio per gli uomini. E’ a questa fede che il miracolo vuole
portare. Non si tratta solo, dunque, di credere nella forza taumaturgica del
Signore, ma di credere nell’amore del Signore. Un amore che è puro, pieno,
irrevocabile e irremovibile anche se non
sempre si traduce e si manifesta nel modo che noi vorremmo. La fede evangelica
non sta tanto nel credere che Gesù possa compiere il miracolo, ma nel credere che Gesù è l’amore
di Dio per me, un amore assoluto ed eterno che niente può mettere in discussione.
Il miracolo
della tempesta sedata ci può aiutare a capire quale è la vera fede che noi
dobbiamo raggiungere e nutrire, e che Gesù vuole da noi. I discepoli
sollecitano il Signore: “Maestro, non ti importa che siamo perduti?” (Mc 4,38)
e con ciò mostrano di “credere” che lui
possa intervenire; eppure Gesù li rimprovera per la mancanza di fede: “Perché
avete paura? Non avete ancora fede?” (Mc 4, 37-40). Evidentemente qui Gesù si
riferisce ad una fede diversa che dice adesione alla sua persona e fiducia incondizionata
nel suo amore per loro. E’ questa fede che loro manca, tanto è vero che
arrivano a pensare che Egli si disinteressi della loro sorte: “Non ti importa
che siamo perduti?” (Mc 4,38). Gesù li rimprovera non perché mettevano in
dubbio la sua capacità di compiere prodigi, ma perché pensavano che Egli si
disinteressasse della loro sorte, in fondo perché non credevano nel suo amore
per loro?” Avevano ancora bisogno che Egli che continuasse a dimostrarlo con
miracoli. E’ quello che pretendiamo anche noi: crediamo nell’amore di Gesù,
nella Provvidenza del Padre, se interviene quando lo chiediamo e come lo
vogliamo. Ma questa fede, condizionata, non è la fede che Gesù vuole da noi.
Quando Egli
raccomanda la fede alle persone che si rivolgono a lui, non intende solo la
fede che egli può operare il miracolo richiesto, ma la fede nella sua persona,
nel suo amore, nella sua fedeltà, ci sia o meno il miracolo atteso. Il Vangelo
distingue nettamente due tipi di fede: credere qualcosa e credere «in» qualcuno.
Quando si tratta di Dio, la seconda è molto più importante della prima.
Gesù oggi ci dà un anticipo del suo trionfo
sulla sofferenza e sulla morte che attuerà in pienezza con la sua risurrezione.
Sconfiggendo le malattie e risuscitando i morti ci garantisce la vittoria
finale e ci infonde il coraggio di affrontare ogni tribolazione con serenità e
fiducia. Eppure, lo dobbiamo riconoscere, di fronte alle difficoltà noi siamo
spesso paralizzati dalla paura, e di fronte all’insuccesso spinti alla
rassegnazione.
Purtroppo
la nostra fede è ancora troppo legata se non proprio circoscritta al “segno”. I
“segni” che ci ha dato dell’amore che ci porta non ci bastano, noi vogliamo un
“segno” (un miracolo) tutto per noi. Non ci fidiamo totalmente di Lui e non ci
affidiamo totalmente a Lui. E questo è il motivo per cui nelle difficoltà
abbiamo, come gli apostoli, paura.
Prima di rispondere facciamoci un’altra
domanda… strana: “Il diavolo crede in Dio?” e, poi, un’altra ancora: “Io credo
nel diavolo?” Nel rispondere a queste domande ci rendiamo immediatamente conto
di una cosa a cui, invece, si pensa poco, e cioè che credere nell’esistenza di
qualcuno non significa ancora credergli. Io credo davvero in qualcuno quando
accetto la sua parola e mi affido a Lui. Ora questo certamente non lo fa il
diavolo nei riguardi di Dio, e nemmeno io intendo farlo nei riguardi del
diavolo. Il diavolo, dunque, non crede in Dio; né io credo nel diavolo. Ma né
il diavolo mette in discussione l’esistenza di Dio, né io quella del diavolo.
Avere fede vuol dire affidarsi a Dio e continuare a fidarsi di Lui qualunque
cosa succeda. Vuol dire credere che Dio ci ama e mantiene la sua parola, vuol
dire abbandonarsi a Lui e mettergli in mano la vita.
Se ci penso
bene i miei atteggiamenti fondamentali nei riguardi di Dio e di Gesù sono
spesso molto vaghi e evanescenti; nella concretezza della vita essi sono fatti
più di scetticismo che di fiducia, più di resistenza che di abbandono. Devo
riconoscere che faccio più affidamento sulle raccomandazioni di un politico che
sulla provvidenza del Padre. Mi affido più ai piani elaborati dagli uomini che
al misterioso disegno i Dio; più alla nostra organizzazione che alla grazia
divina che, unica, ci salva.
P.
Arnaldo Pigna OCD