sabato 30 giugno 2018

Il potere della fede





             Meditiamo con p. Arnaldo Pigna ocd

 Il Vangelo di oggi ci presenta due episodi che confermano quanto nella prima lettura abbiamo ascoltato, cioè che “Dio è amante della vita” (Sap 1,13) e “ha creato l’uomo per la immortalità” (Sap 2,23). I miracoli che Gesù compie sanando l’emorroissa e risuscitando il figlio di Giairo, mostra plasticamente questa verità. Ridonando la salute e la vita Gesù vince  la morte  che era “entrata nel mondo per invidia del diavolo”  (Sap 2,24) il quale  “per paura della morte teneva gli uomini schiavi per tutta la vita” (Eb 2, 14-15).
            La risurrezione della figlia di Giairo, come le altre due risurrezioni che leggiamo nel vangelo (quella di Lazzaro e quella del figlio della vedova di Naim) sono un segno. Esse manifestano la venuta del regno di Dio presente nella persona di Gesù, ne rivelano il potere  sulla morte e, soprattutto, ne preannunciano la risurrezione. Con ciò Gesù mostra concretamente che la promessa della Genesi si sta attuando (Gen 3,15) e il regno del diavolo sta crollando: “la sua stirpe ti schiaccerà il capo”.
  Ma l’uomo, che ha peccato fidandosi più del diavolo che di Dio, deve offrire la sua collaborazione mediante un atto di fede e una rinnovata fiducia in Dio. E’ l’umile fede che supplica per bocca del padre della bambina e il gesto della donna che tocca il mantello di Gesù che Gli permettono di compiere il miracolo.
 Qui, come in molte altre occasioni, Gesù insiste sulla importanza della fede. Alla donna, intimidita per essere stata scoperta, dice: «La tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male» (Mc 5, 34); e a Giairo, nel momento difficile in cui gli comunicano la triste notizia della morte della figlia, chiede ancora fede: «Non temere, continua solo ad aver fede!» (Mc 5,36).
    Anche l’evangelista sembra impostare la narrazione per mettere particolarmente in luce la virtù della fede, più che la potenza del Signore. In effetti, il racconto dell’evangelista non attira tanto l’attenzione sul miracolo stesso, quanto piuttosto sulla fede di chi lo domanda.
      E’ la fede al centro della guarigione della donna; ed è ancora la fede al centro della guarigione della figlia di Giairo. Gesù, da parte sua, chiede la fede per compiere il miracolo e afferma che è proprio le fede che lo rende possibile. Ma quando, nonostante la fede, il miracolo non avviene?
     Qui siamo invitati a riflettere sul rapporto che esiste tra fede e intervento di Dio. E anche ad approfondire il concetto stesso che noi abbiamo di fede.
   E’ un fatto che il miracolo è pur sempre una cosa straordinaria e che non sempre la fede ottiene il miracolo. Del resto Gesù stesso, di risurrezioni ne ha compiute tre soltanto e, pur operando tante guarigioni, certamente ha sanato solo una piccola parte dei malati che erano allora nella Palestina. Questo ci invita a superare l’idea che la fede sia solo credere nella potenza di Gesù, una potenza capace di raggiungerti qui, nella tua propria situazione, potenza che vince tutto, persino la morte. Questo è un aspetto importante, necessario; ma bisogna andare oltre. Se è vero che la fede ottiene miracoli è ancor più vero che il miracolo è da Gesù fatto per ottenere la fede. Esso è sempre un “segno” per suscitare la fede in Lui, nella sua persona, nella sua missione di portatore dell’amore di Dio per gli uomini. E’ a questa fede che il miracolo vuole portare. Non si tratta solo, dunque, di credere nella forza taumaturgica del Signore, ma di credere nell’amore del Signore. Un amore che è puro, pieno, irrevocabile e  irremovibile anche se non sempre si traduce e si manifesta nel modo che noi vorremmo. La fede evangelica non sta tanto nel credere che Gesù possa compiere il  miracolo, ma nel credere che Gesù è l’amore di Dio per me, un amore assoluto ed eterno che niente può mettere in discussione.
    Il miracolo della tempesta sedata ci può aiutare a capire quale è la vera fede che noi dobbiamo raggiungere e nutrire, e che Gesù vuole da noi. I discepoli sollecitano il Signore: “Maestro, non ti importa che siamo perduti?” (Mc 4,38) e con ciò mostrano di “credere”  che lui possa intervenire; eppure Gesù li rimprovera per la mancanza di fede: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?” (Mc 4, 37-40). Evidentemente qui Gesù si riferisce ad una fede diversa che dice adesione alla sua persona e fiducia incondizionata nel suo amore per loro. E’ questa fede che loro manca, tanto è vero che arrivano a pensare che Egli si disinteressi della loro sorte: “Non ti importa che siamo perduti?” (Mc 4,38). Gesù li rimprovera non perché mettevano in dubbio la sua capacità di compiere prodigi, ma perché pensavano che Egli si disinteressasse della loro sorte, in fondo perché non credevano nel suo amore per loro?” Avevano ancora bisogno che Egli che continuasse a dimostrarlo con miracoli. E’ quello che pretendiamo anche noi: crediamo nell’amore di Gesù, nella Provvidenza del Padre, se interviene quando lo chiediamo e come lo vogliamo. Ma questa fede, condizionata, non è la fede che Gesù vuole da noi.
     Quando Egli raccomanda la fede alle persone che si rivolgono a lui, non intende solo la fede che egli può operare il miracolo richiesto, ma la fede nella sua persona, nel suo amore, nella sua fedeltà, ci sia o meno il miracolo atteso. Il Vangelo distingue nettamente due tipi di fede: credere qualcosa e credere «in» qualcuno. Quando si tratta di Dio, la seconda è molto più importante della prima.
   Gesù oggi ci dà un anticipo del suo trionfo sulla sofferenza e sulla morte che attuerà in pienezza con la sua risurrezione. Sconfiggendo le malattie e risuscitando i morti ci garantisce la vittoria finale e ci infonde il coraggio di affrontare ogni tribolazione con serenità e fiducia. Eppure, lo dobbiamo riconoscere, di fronte alle difficoltà noi siamo spesso paralizzati dalla paura, e di fronte all’insuccesso spinti alla rassegnazione.
    Purtroppo la nostra fede è ancora troppo legata se non proprio circoscritta al “segno”. I “segni” che ci ha dato dell’amore che ci porta non ci bastano, noi vogliamo un “segno” (un miracolo) tutto per noi. Non ci fidiamo totalmente di Lui e non ci affidiamo totalmente a Lui. E questo è il motivo per cui nelle difficoltà abbiamo, come gli apostoli, paura.
     Allora, forse, è utile farci una domanda la cui risposta potrebbe apparire scontata: Noi abbiamo fede? crediamo davvero in Dio e in Gesù?
     Prima di rispondere facciamoci un’altra domanda… strana: “Il diavolo crede in Dio?” e, poi, un’altra ancora: “Io credo nel diavolo?” Nel rispondere a queste domande ci rendiamo immediatamente conto di una cosa a cui, invece, si pensa poco, e cioè che credere nell’esistenza di qualcuno non significa ancora credergli. Io credo davvero in qualcuno quando accetto la sua parola e mi affido a Lui. Ora questo certamente non lo fa il diavolo nei riguardi di Dio, e nemmeno io intendo farlo nei riguardi del diavolo. Il diavolo, dunque, non crede in Dio; né io credo nel diavolo. Ma né il diavolo mette in discussione l’esistenza di Dio, né io quella del diavolo. Avere fede vuol dire affidarsi a Dio e continuare a fidarsi di Lui qualunque cosa succeda. Vuol dire credere che Dio ci ama e mantiene la sua parola, vuol dire abbandonarsi a Lui e mettergli in mano la vita.
    Se ci penso bene i miei atteggiamenti fondamentali nei riguardi di Dio e di Gesù sono spesso molto vaghi e evanescenti; nella concretezza della vita essi sono fatti più di scetticismo che di fiducia, più di resistenza che di abbandono. Devo riconoscere che faccio più affidamento sulle raccomandazioni di un politico che sulla provvidenza del Padre. Mi affido più ai piani elaborati dagli uomini che al misterioso disegno i Dio; più alla nostra organizzazione che alla grazia divina che, unica, ci salva.

                                                                                  P. Arnaldo Pigna OCD