lunedì 27 dicembre 2021

Piccole storie per l'anima - 30

PENSIERI DEL PASSERO SOLITARIO
Rubrica settimanale a cura dell'Ordine Secolare Carmelitano Teresiano della Provincia Lombarda


Una donna, delusa dalla vita, alla perenne ricerca di qualcosa che desse senso alla sua vita, si rivolse ad un uomo conosciuto per la sua profonda spiritualità e disse:
“Spesso ti vedo in solitudine a pregare. Anch’io a volte ho provato a pregare ma ho sempre avuto la sensazione di perdere tempo. Dimmi, ma cosa ottieni pregando Dio regolarmente?"
L’uomo vide in lei una persona alla ricerca sincera della verità: “Quando la tua preghiera diventa un intimo colloquio con Colui che ti ama, e non una ripetizione vuota di parole, in genere, inizialmente, non ottieni nulla di ciò che desideri e chiedi. Anzi, direi che inizi a “perdere”
“Come perdere?” Chiese la donna stupita.
“La preghiera non serve per ottenere qualcosa?”
“Beh, si e no!“ rispose l’uomo.
“La preghiera, a volte, prima di darti qualcosa, ti toglie qualcosa, e sai perché?
Perché due opposti non possono coesistere nell’anima.
Nella mia esperienza pregando, ho imparato che:
- La preghiera ti toglie dal senso di fallimento che a volte risiede nel nostro cuore e ti dona la speranza che nonostante tutto Dio saprà dare un senso alla tua vita.
- La preghiera ti toglie dall’orgoglio di pensare di aver capito tutto dalla vita e di essere autosufficiente e ti dona la serenità che nasce dall’umiltà.
- La preghiera ti toglie dalla paura e dalla vergogna per il male che hai fatto e ti dona il coraggio di chiedere perdono a Dio e agli altri.
- La preghiera ti toglie dal gusto di mentire e ti dona la gioia di essere sincero.
- La preghiera ti toglie dallo scoraggiamento che ti paralizza e ti dona la fiducia: nella braccia di Dio sei al sicuro.
- La preghiera ti toglie dalla rassegnazione che la tua vita di peccato non cambierà mai e ti dona la convinzione che il male non è invincibile e che il bene è possibile: confidi nell'aiuto di Dio.
- La preghiera ti toglie occhi e azioni lussuriose per darti un sguardo e un cuore puro.
- La preghiera ti toglie dalla disperazione che fa capolino nelle tue giornate e ti dona serenità: sei sempre amato da Dio, cosi come sei.
- La preghiera ti toglie dall’impazienza del tutto e subito e ti dona la pazienza del passo dopo passo.
- La preghiera ti toglie dalla rabbia e ti dona la pace del cuore.
- La preghiera ti toglie dal non senso e ti dona la pienezza di vita, trasformandoti in uno strumento di bene.
A volte preghiamo, non per guadagnare qualcosa, ma per perdere cose che non ci permettono di crescere spiritualmente e umanamente.
A volte preghiamo, non per ottenere qualcosa, ma per trasformare la nostra vita in un capolavoro
La preghiera educa, fortifica e guarisce.
La preghiera è il canale che ci collega direttamente con Dio!"


La preghiera e l'amore ottengono l'impossibile.


Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!»
(Vangelo di Luca 13.9-13)


Non accettate nulla come verità che sia privo di amore.
E non accettate nulla come amore che sia privo di verità!
L'uno senza l'altra diventa una menzogna distruttiva»;
(S. Teresa Benedetta della Croce. Edith Stein)



DA "VOGLIO VEDERE DIO"
di P. Maria Eugenio di Gesù Bambino, OCD

CRESCITA SPIRITUALE seconda parte

Nella prima fase della crescita spirituale, vediamo quindi come l'iniziativa della persona nell'orazione si manifesta in una ricerca di Dio in cui è predominante la cura dell'orazione, al punto che l'ascesi tenderà soprattutto al raccoglimento e a ciò che può favorirlo. La persona si applicherà anche alla correzione dei difetti esteriori.

Durante la seconda fase della crescita spirituale, l'ascesi diventerà più interiore e più energica per distruggere i vizi capitali, mentre durante l'orazione contemplativa l'anima dovrà con decisione cooperare con l'azione di Dio mediante l'abbandono in un silenzio spesso doloroso.
Appare l'azione trasformante della carità che divinizza e produce un'anima trasformata in Dio. Uno degli effetti più notevoli di tale trasformazione è la formazione dell'apostolo realizzata progressivamente. L'unione trasformante rende così l'apostolo perfetto, infiammato di zelo, docile alle mozioni divine e, per questo motivo meravigliosamente potente.
In cielo, mediante il “lumen gloriae” potremo vedere Dio quale egli è e noi stessi quali saremo con le nostre ricchezze divine. “Non c'è anima che nel cammino dello spirito sia così gigante da non aver bisogno di ritornare spesso a essere bambina..”( Vita, c. XIII, 15)

Tale instabilità dell'anima, rende ancora più difficile riconoscere in quale Mansione si trovi abitualmente. La Misericordia di Dio, che realizza la santificazione delle persone afferma e rivendica la sua libertà nelle sue scelte e nei suoi doni. Lo Spirito Santo dà a ciascuno la sua grazia secondo la misura da lui stabilita. Questa libertà della Misericordia suscitava l'ammirazione di santa Teresa: “Sono doni che Dio dà come e quando vuole, senza badare al tempo e ai servizi resigli”.( Vita c. XXXIV ,11)

La Santa vuole che prendiamo contatto con il mistero che circonda lo sviluppo spirituale. Non si può essere spirituali misconoscendo il mistero che avvolge l'azione di Dio. Amica di Dio e psicologa incomparabile, santa Teresa penetra le profondità dello Spirito di Dio e le profondità della nostra natura.
Ella ci mostra come Dio dapprima lasci l'anima alla sua iniziativa, si manifesti ad essa in una maniera distante, ma soave, ne incateni poi la volontà. Con la volontà così soggiogata egli potrà purificare l'anima profondamente, usarla e infine unirla perfettamente a sé

domenica 26 dicembre 2021

Meditiamo sul Vangelo della Domenica

 “Scese con loro
e venne a Nazaret
e stava loro sottomesso”

41I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. 42Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. 43Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. 44Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. 46Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. 47E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. 48Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: "Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo". 49Ed egli rispose loro: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?". 50Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. 51Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. 52E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

Figlio, perché ci hai fatto questo?
La famiglia formata da Giuseppe, Maria e Gesù, è una famiglia unica (avendo come figlio lo stesso Figlio di Dio!) ma, allo stesso tempo, in termini concreti, simile alle altre. Non solo non ci sono miracoli, ma c'è la necessità di lavorare per poter mangiare e, per non dire che questo, l’accompagnamento del figlio, Gesù, nel suo sviluppo fisico, psichico e spirituale.
Per comprenderlo basta rileggere attentamente l’episodio (storico/simbolico) del ritrovamento di Gesù nel tempio dopo una ricerca angosciata, dove il figlio dodicenne, alla sollecitudine di Maria e di Giuseppe, suoi genitori, riguardo al suo strano comportamento, risponde con un’altra domanda: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Non possiamo non pensare che, se per Maria si trattò di una risposta dura, per Giuseppe fu anche una risposta umiliante. Come un figlio adottivo di una qualsiasi famiglia o, comunque, di una moglie che l’ha avuto da un precedente matrimonio, gli ricordò, infatti, che non era stato lui a metterlo al mondo.
Non fu certamente questo che voleva dire Gesù, ma, per un istante, anche questo risuonò nell’animo dello sposo della Vergine. Infatti, l’evangelista annota che, né lui né Maria compresero quelle parole, anche se, questo sì, neppure insistettero. Manifestarono il loro diritto di essere informati e che erano stati in ansia [Figlio, perché ci hai fatto questo? ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo], ma non insistettero. Non compresero ciò che Gesù disse loro, ma tacquero.
Solo per rimanere nell’ordinarietà della vita, simile a quella di tutte le famiglie, a questo punto, potremmo formulare una domanda: Fu per questo silenzio rispettoso, che Gesù, tornò all’obbedienza? [“Scese dunque con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso”]. C'è molto di più, ovviamente, in questa annotazione, ma non possiamo trascurare neppure questo insegnamento: che l’obbedienza non può essere imposta con le parole o gli ordini, ma suscitata da un comportamento tra genitori e figli mutuamente rispettoso.
Un’altra domanda, più difficile, anche se meno importante, potrebbe essere la seguente: Come può essere che, due genitori così premurosi come Maria e Giuseppe, non si siano accorti che Gesù non era con loro? Una disattenzione, perderlo di vista sulla via del ritorno a casa? In effetti la cosa non si spiega facilmente. “Il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme”, scrive, infatti, Luca, “senza che i genitori se ne accorgessero”.
Come è possibile che Giuseppe e Maria si siano messi in viaggio senza preoccuparsi del figlio, supponendone un’ipotetica presenza nel gruppo che, oltre tutto, non doveva essere molto grande? Le supposizioni per spiegare questa disattenzione sono varie, ma forse, riflettendoci bene, non sono neppure molto significative. Verosimilmente, infatti, deve trattarsi di un artificio narrativo dell’evangelista per inquadrare la risposta di Gesù che, al di là della possibile rude risonanza nell’animo di Giuseppe e di Maria, serve per introdurre il lettore nella vera identità del fanciullo, sottomesso ad essi, ma inviato dal Padre celeste. Un significato cristologico profondo che, come abbiamo detto, non esclude un insegnamento sul rispetto reciproco tra genitori e figli.
Dato, inoltre, che questo rispetto implica anche un saper ascoltare la voce della fede, vale anche la pena leggere in senso esplicativo quanto è detto alla fine dell’episodio. Il testo, dopo aver annotato che Gesù, tornato con loro a Nazaret, “stava loro sottomesso”, continua, infatti, con queste parole: “Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore”. Un’annotazione che l’evangelista aveva già fatto dopo la visita dei pastori a Betlemme: “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Parole che, senza alcun pericolo di equivoco e solo cambiando il soggetto, possiamo attribuirle ugualmente a Giuseppe. Anche lui, infatti, “da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”.
Esempi, i due sposi di Nazaret, di come vita e preghiera debbano camminare sempre insieme. Non c'è vera vita senza preghiera, nel senso profondo di ascolto attento alla voce della fede, e non c'è vera preghiera senza ascolto attento della voce della realtà della vita.

sabato 25 dicembre 2021

Mediatazione sul Vangelo del Natale



 1In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2Questo primo censimento fu fatto quando Quirino era governatore della Siria. 3Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 4Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nazareth, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. 5Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 6Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'alloggio. 8C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 10ma l'angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 12Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». 13E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva: 14«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama». 15Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l'un l'altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». 16Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. 17E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 18Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.

 


troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia


Come sappiamo, il giorno di Natale ci sono tre Messe: quella della notte santa, quella dell’aurora e quella che si celebra in altre ore del giorno. In quella della notte si legge Lc 2, 1-14 (l’annuncio ai pastori), nella messa dell’aurora Lc 2, 15-20 (l’adorazione da parte degli stessi pastori), e nella terza Gv 1, 1-18 (il Prologo di Giovanni che parla della divinità e eternità del Figlio di Dio che si fa uomo e viene ad abitare in mezzo a noi).

In questa riflessione, ci limiteremo al Vangelo di Luca (2, 1-20) che si legge, una parte nella celebrazione della notte (vv. 1-14) e, l’altra in quella dell’aurora (vv. 15-20). In concreto, si tratta del medesimo avvenimento, la nascita di Gesù, i cui primi invitati e spettatori sono i pastori dei dintorni di Betlemme. Non è, tuttavia, la tenerezza che deve muoverci con loro.
Per comprendere bene l’importanza di questa presenza alla nascita di Gesù, dobbiamo dimenticare i cari pastorelli dei presepi delle nostre chiese e delle nostre case. I pastori ai quali l’angelo annunziò la buona notizia erano, in realtà, gli ultimi, i più emarginati dalla società e dalla religione. Vivendo in mezzo alle bestie, erano considerati impuri e, come tali, maledetti ed era loro impedito di partecipare ad alcuna cerimonia religiosa.



“A quel tempo i pastori erano considerati impuri e peccatori, che, secondo le scritture, il Messia alla sua venuta, avrebbe eliminato fisicamente. Erano servi malpagati e sfruttati da parte dei proprietari del gregge, e quindi sopravvivevano con il furto ai padroni o agli altri pastori con i quali contendevano i pascoli (Gen 13,7; 26,20). Vivevano di ruberie e spesso ci scappava anche il morto. Inoltre, per la loro condizione di vita, isolati nelle montagne e nei pascoli per gran parte dell’anno, a contatto solo con le bestie, erano per lo più bruti, selvaggi pericolosi che era sconsigliabile incontrare. Erano esclusi dal tempio e dalla sinagoga, per loro non c’era alcuna possibilità di salvezza. Erano esclusi anche dal perdono di Dio perché non potevano restituire quel che avevano rubato, secondo quanto era prescritto dalla Legge (Lv 5,21-24). Privati dei diritti civili, esclusi dalla vita sociale, ai pastori era negata la possibilità di essere testimoni, poiché, in quanto ladri e bugiardi, non erano credibili e valevano meno delle bestie che dovevano accudire. Equiparati agli immondi pagani, per i quali non c’era alcuna speranza, si insegnava infatti che, se si poteva tirare fuori un animale caduto in una fossa il pastore no: «Non si tirano fuori da un fosso né i pagani né i pastori». La condizione più disprezzata era quella del pastore” (Alberto Maggi).

Se desideriamo, dunque, comprendere perché il Figlio di Dio ha voluto nascere come uno di loro e, prima di tutti gli altri, come loro salvatore, bisogna tener presente questa realtà. Mentre in quella notte, all’aperto, vegliavano a turno il proprio gregge, a quei pastori si presentò un angelo del Signore. Essi si spaventarono, però l’angelo disse subito loro: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (vv. 10-12).

Due cose importanti, bisogna notare in questo annuncio. La prima, già accennata sopra, è che, dopo che l’angelo ebbe detto che la buona notizia sarà di grande gioia per tutto il popolo (vale a dire, per tutto l’umanità), riferendosi ai pastori dice loro: “è nato per voi un Salvatore”. Ed è precisamente per questo (la nascita di un salvatore per loro) che i pastori, una volta che gli angeli furono tornati in cielo, si dicevano l’un l’altro: “Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. La seconda si riferisce al segno che, se lo leggiamo con attenzione, conferma anche la prima annotazione. “Troverete”, disse loro l’angelo, “un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”.
Corsero e, di fatto, trovarono Maria e Giuseppe, e il bambino adagiato nella mangiatoia. Un segno che si spiega soltanto in riferimento a ciò che aveva detto l’angelo ai pastori, assicurandoli che, per loro, era nato un Salvatore. Anche questo segno, infatti, è solo per loro, perché solo se nasce come uno dei loro figli (poveramente e al calore di suoi animali), possono comprendere che è veramente giunto dove essi vivono. Non è venuto a nascere nel Tempio, dove essi non possono neppure entrare, ma in una grotta di animali, dove anch’essi scaldano i loro figli appena nati.
Noi, che sappiamo chi è questo Bambino, lo comprendiamo ancora meglio. Sappiamo che, proprio perché il Salvatore viene per tutta l’umanità, deve nascere al livello più basso della società (i pastori) e morire con i peggiori (tra due ladroni). I pastori da una parte e i ladroni dall’altra, rappresentano i limiti estremi dove giungono le braccia aperte di Gesù che desidera abbracciare tutti.

Questo è il mistero di Natale!
Quando ci rendiamo conto dell’amore che tutto racchiude, ci rallegriamo anche noi con i pastori, perché ci è nato un salvatore e, con Maria impariamo a meditarlo nel nostro cuore.

venerdì 24 dicembre 2021

Vieni in me, Divino Bambino

Fuoco ardente,
Spirito di amore,
vieni in me
e fa' della mia anima
un’incarnazione del Verbo”
.
Santa Elisabetta della Trinità


 "… il Divino Bambino questa volta sta per nascere non più nella mangiatoia, ma nella mia anima, nelle nostre anime, perché è veramente l’Emmanuele, il Dio con noi".   

S. Elisabetta della Trinità - Lt 187

martedì 21 dicembre 2021

Gli auguri del Delegato Generale


 

P. Miguel Marquez: Il nostro cammino e gli insegnamenti di Giovanni della Croce

 Il Padre Generale fr. Miguel Marquez ha inviato una lettera, indirizzandola a frati, monache e secolari in cui ha riflettuto sia sui primi mesi del ministero di  Superiore Generale dei Carmelitani Scalzi spiegando quali sono stati i punti di riferimento che stanno illuminando il proprio cammino (con la speranza che possano essere d'aiuto anche a noi) sia  su alcuni aspetti della vita di Giovanni della Croce (fra cui l'amore silenzioso, l'amicizia, lo Spirito santo).   Puoi scaricarla qui

sabato 18 dicembre 2021

Meditazione sul Vangelo della Domenica. IV di Avvento

Beata te che hai creduto

39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto". Lc 1,39-45


Purtroppo l’evangelista Luca, così preciso in altre occasioni nel fornire dettagli, sul viaggio di Maria verso la casa di Elisabetta - nonostante non si tratti di un percorso trascurabile per una giovane di circa quindici anni - non dà alcuna informazione. Tra Nazareth e Ein Karen, dove viene localizzata la casa di Elisabetta ci sono circa 145 chilometri che, in macchina, sono percorribili, oggi (via Ramalla-Nablus su Strada 60), in circa un’ora e trenta. Una distanza che, a piedi, richiedendo almeno trenta ore, non consente di pensare che Maria l’abbia potuta percorrere da sola. Non tanto dal punto di vista della fatica fisica, ma da quello dei rischi che avrebbe potuto correre.

Una delle ipotesi che si possono fare – non abitando ancora insieme a Giuseppe, suo promesso sposo (Mt 1,18), e dovendo vivere ancora con i suoi genitori (Gioacchino e Anna, secondo il Protovangelo di Giacomo) – è quella di pensare che suo padre, magari dopo averne parlato anche a Giuseppe, abbia affidata la figlia ad un amico fidato che, dovendo recarsi a Gerusalemme con un carro o delle cavalcature per affari suoi, avrebbe potuto lasciarla ad Ein Karen. Una località che, tutto sommato, è di strada e si trova a soli 7 o 8 chilometri dalla capitale.

Dev’essere andata così o in qualche altro modo simile. Essendo il suo stato di attesa ancora molto recente, i suoi genitori non avevano potuto sospettare ancora nulla e, a Giuseppe, Maria lo avrebbe detto al suo ritorno. Anzi, nulla ci impedisce di pensare che ella si fosse messa in viaggio anche con la speranza di ricevere, dall'anziana cugina, un buon consiglio su come parlare del suo misterioso stato al suo amato sposo promesso.

Tornando comunque al Vangelo, “in quei giorni”, si limita a scrivere l’evangelista, “Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda” (v. 39). Con questa unica indicazione (“in quei giorni”), desidera informarci che, dopo il dialogo con l’angelo Gabriele e il suo assenso, Maria, parlando in casa con suo padre e sua madre dello straordinario stato di Elisabetta e del suo bisogno di assistenza, si era proposta di andare, quanto prima, a vivere con lei i mesi che mancavano al parto dell’anziana cugina.

Il fatto di porsi in cammino “in fretta”, oltre a indicare la sua carità (Elisabetta, sebbene viva tanto lontana, sta già nel sesto mese e ha bisogno di aiuto), sottolinea che, benché piena di grazia (Lc 1,28), Maria si sente spinta ad andare anche per condividere la sua gioia e il suo timore di non essere all’altezza del grande grande mistero che porta in sé. Una “fretta” che, appena uscita dall’incontro con la voce del Signore nell’Annunciazione dell’angelo, si fa preghiera che la sostiene lungo il camino verso le montagne della Giudea.

Al di là del messaggio cristologico – la salvezza che, attraverso Maria (nuova Arca dell’Alleanza che porta il Signore), si avvicina a Israele (Elisabetta) –, l’episodio della Visitazione, nel quale le due donne corrono ad abbracciarsi, è ricco di importanza, non solo per capire come accogliere questo mistero di fede, ma anche come pregare o come muoversi e operare con questa consapevolezza.

Ciò che si vive nel Signore, come lo vediamo in questo incontro di Ein Karen, è un dare e ricevere nella potenza dello Spirito, che, dopo essere sceso su Maria, riempie ora Elisabetta (vv. 35-40). Maria, salutata dall’angelo, saluta a sua volta Elisabetta (vv. 28.40). E come il saluto dell’angelo aveva portato Maria, prima a turbarsi e poi a una disponibilità totale (v. 29), il suo fa esultare di gioia il grembo di sua cugina e fa giungere, anche a lei, la pienezza dello Spirito.

Da parte sua Elisabetta, grazie allo stesso Spirito, riconosce in Maria la benedizione di Dio e la chiama benedetta (vv. 41-45). Dalle sue labbra giungono a Maria due grandi titoli (“Benedetta tra le donne” e “Madre del Signore”) e una benedizione: “Beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto” (v. 45).

Maria, venuta per aiutare, e per il bisogno di essere riconosciuta e compresa da qualcuno, tace e ascolta. Non solo non si schernisce, ma, riconoscendo nelle parole di Elisabetta una conferma della sua fede e molta consolazione, aprendo anche lei le labbra, proclama la grandezza del Signore (il suo Magnificat). Ed è così che l’incontro delle due cugine, ognuna a suo modo visitata dallo Spirito, si converte in preghiera per cantare le meraviglie della salvezza operata, non solo in Maria ma anche attorno a lei.

 Una preghiera nella quale la gioia e l’esultanza provocate dallo Spirito diventano condivisione e carità reciproche e spontanee. Tanto naturali e istintive da far sì che, come se Maria (la Madre del Signore!) non avesse nulla di più importante da fare, si ferma con Elisabetta tutto il tempo che la cugina ha bisogno, cioè, i tre mesi che mancano al parto. “Maria rimase con lei”, scrive l’evangelista alla fine dell’episodio, “circa tre mesi, poi [solo dopo] tornò a casa sua” (Lc 1,56).

Questo sì, senza, tuttavia, dimenticare che, sotto la penna dell’evangelista, questi “tre mesi” – riferendosi a 2Sam 6,11, dove si legge che “l’Arca del Signore [recuperata dalle mani dei nemici di Israele] rimase tre mesi nella casa di Obededón, di Gat”, prima di essere portata a Gerusalemme da Davide –, hanno soprattutto un significato cristologico. Vogliono dire che, ora, la nuova Arca è Maria che, nella casa di Elisabetta (rappresentante del popolo di Israele), e nella casa di tutti lungo i secoli, ha la missione di portare il Figlio di Dio.

È per mezzo della Vergine Madre, infatti, che il Figlio di Dio ha fatto il suo ingresso nel mondo per sempre. Tanto che, quando si invoca la Vergine, implicitamente, si invoca sempre anche suo Figlio e viceversa.

lunedì 13 dicembre 2021

Piccole storie per l'anima -29

 PENSIERI DEL PASSERO SOLITARIO
Rubrica dell' ocds della Provincia Lombarda


C'è un luogo segreto che solo qualche iniziato alla scienza dello spirito conosce. In quel luogo arde una fiamma sacra perenne. È una fiamma dall'immenso potere. Chi la possiede ha vita, felicità e successo.

          Un uomo riuscì a scoprire il luogo della prodigiosa fiamma e si mise in cammino, deciso a possedere quel fuoco miracoloso.

           Il viaggio fu lungo e disseminato di pericoli, durò mesi e mesi, ma infine l'uomo riuscì ad accendere una fiaccola alla fiamma sacra. Nel cammino di ritorno camminava lentamente e con estrema cautela. La sua preoccupazione era che la fiamma della fiaccola si potesse spegnere.    

         Dopo mesi di strada, si trovò ad attraversare un territorio gelido e inospitale. «Dammi un po' del tuo fuoco, per amor di Dio. Sto morendo di freddo», un pover'uomo vestito di stracci si buttò improvvisamente ai suoi piedi. L'uomo esitò. La fiamma sacra non era fatta per cose così terrene come scaldare o cuocere. Ma impietosito, accompagnò il poveretto nella sua casa e con la sacra fiamma accese il focolare.

        Riprese a camminare, sempre attento alla sua fiaccola accesa. Dopo alcuni giorni di viaggio, fu sorpreso da una terribile tempesta. Lottò con tutte le sue forze, riparando in tutti i modi la sua preziosa fiaccola. Ma il vento era veemente e feroce.

La sua fiamma si spense.

        Si sedette sconfortato sul ciglio della strada. Doveva ricominciare il suo interminabile pelle- grinaggio? Improvvisamente si ricordò del pover'uomo a cui aveva dato un po' del suo fuoco. Non doveva rifare tutto il lungo e terribile cammino.

      Doveva solo tornare dall'uomo a cui aveva donato un po' della sua fiamma.

 

 

Lascia sulla tua strada persone che ti possano aiutare

quando incontri le bufere della vita.

 

'Venite con me, tutti voi che siete stanchi e oppressi: io vi farò riposare. Accogliete le mie parole e lasciatevi istruire da me. Io non tratto nessuno con violenza e sono buono con tutti. Voi troverete la pace, perché quel che vi comando è per il vostro bene, quel che vi do da portare è un peso leggero'.

(Vangelo di Matteo 28,11)

 

 

Nelle tribolazioni  ricorri subito con fiducia a Dio e sarai  rinvigorito, illuminato e ammaestrato.

(S. Giovanni della Croce)

 

 

 

DA "VOGLIO VEDERE DIO"

di P. Maria Eugenio di Gesù Bambino, OCD

 

CRESCITA SPIRITUALE prima parte

 

“Anche se diciamo che l'anima cresce, e in verità cresce, essa non cresce come il corpo”.(Vita, c. XV, 12)

       La vita divina si sviluppa “come un granellino di senapa....” o anche come “il lievito che una donna ha preso e impastato...”. Queste parabole evangeliche affermano lo sviluppo della grazia nell'anima e ne sottolineano la forza di espansione.

      La visione del castello, o dell'anima in grazia, illumina il punto fondamentale dell' insegnamento teresiano sullo sviluppo spirituale.

Dalla periferia , l'anima cammina verso il punto centrale di se stessa per unirsi là perfettamente a Dio e vivere pienamente nella sua luce e sotto la sua mozione. La perfezione sta dunque nell'unione perfetta con Dio, unione trasformante o matrimonio spirituale.

       Questo è l'insegnamento di s. Teresa, chiaro e preciso: Dio è il nostro fine; raggiungerlo è la perfezione; l'anima è perfetta nella misura in cui si avvicina a Lui.

      In questo cammino di avvicinamento a Dio, santa Teresa distingue sette tappe o Mansioni ,segnate nella visione del Castello da una intensità crescente di luce, in realtà da un progresso nell'unione con Dio. “ Benché non si parli che di sette Mansioni, scrive la Santa, ognuna di esse ne racchiude ancora molte, in basso, in alto e ai lati”( VII Mansioni, epilogo, 3) 

      Questo sviluppo spirituale presenta in primo luogo l'attività delle due forze vive che lo realizzano: l'amore di Dio per la persona e l'amore della persona per Dio.

       Questa duplice attività di Dio e della persona si modifica, armonizzandosi, attraverso le diverse Mansioni.

       Durante la prima fase, cioè durante le prime tre Mansioni, Dio assicura l'aiuto generale della sua grazia, offrendo loro l'umanità del Cristo Gesù perché se ne nutrano e si attacchino a questo unico mediatore.

       Durante la seconda fase, Dio interviene con il suo aiuto particolare, che è la sua azione diretta nella persona. Con il raccoglimento, la quiete o l'aridità contemplativa, egli orienta il senso verso lo spirito e lo abitua a sopportare pacificamente il mistero sempre oscuro e spesso doloroso.

       Nelle seste Mansioni l'opera di arricchimento e di purificazione, in cui la presenza e l'azione della Vergine Maria addolciscono la dura sofferenza, prepara alle vette della contemplazione e alla fecondità dell'apostolato.

       Nelle settime Mansioni, nell'unione trasformante, mentre il suo sguardo purificato può godere della presenza di Dio, il contemplativo trova il suo posto nella Chiesa e vi compie perfettamente la sua missione.

sabato 11 dicembre 2021

Meditazione sul Vangelo della Domenica - III di Avvento

 


10Le folle lo interrogavano: "Che cosa dobbiamo fare?". 11Rispondeva loro: "Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto". 12Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: "Maestro, che cosa dobbiamo fare?". 13Ed egli disse loro: "Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato". 14Lo interrogavano anche alcuni soldati: "E noi, che cosa dobbiamo fare?". Rispose loro: "Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe". 15Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, 16Giovanni rispose a tutti dicendo: "Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 17Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile". 18Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

(Lc 3,10-18)

 

Una domanda come questa (che cosa dobbiamo fare?) è una nobile domanda, ma non è quella che Gesù aspetta da noi, suoi discepoli. Continua ad essere anche la nostra domanda (anche noi abbiamo spesso bisogno di sapere come comportarci), ma una volta che si è conosciuto chi è veramente Colui a cui la poniamo, capiamo sempre meglio quanto radicale sia la Sua risposta. Lo interrogherà così anche quel giovane ricco che si presentò, un giorno, da Gesù per chiedergli: “Maestro buono, che devo fare per ereditare la vita eterna?”.

 Immediatamente, Gesù gli rispose come gli avrebbe risposto qualsiasi buon rabbi ebreo, ricordandogli i comandamenti (Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre). Rendendosi però conto che quell’uomo aveva osservato tutto ciò da sempre, Gesù lo guardò con grande tenerezza [lo amò, dice il testo] e, vedendo nel suo viso il volto del possibile discepolo ideale, gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo. Poi vieni e segui me!”.

Quel tale se ne andò triste non volendo lasciare tutto, restò l’uomo buono che era, dato che non poteva ancora capire altro, ma, andar dietro a Gesù continua ad essere ciò che Egli si aspetta da ognuno di noi. Non perché i comandamenti non abbiano più valore, ma perché per metterli in pratica come il Padre del cielo si aspetta, bisogna capire di essere figli nel Figlio Gesù. Solo allora, non ci pesano più perché ormai ci escono dal cuore come nostri.

“Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo”, aveva già promesso il Signore per mezzo del profeta Ezechiele, “[…] Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi e vi farò osservare e mettere in pratica le mie norme (Ez 36,26-27). E, con parole più chiare, per mezzo di Geremia aveva detto: “Non dovranno più istruirsi l’un l’altro [] perché tutti mi conosceranno (Ger 31,34).

Ma, mentre Giovanni Battista annuncia la necessità di preparare la sua venuta, Gesù non si è ancora manifestato. Con il Vangelo di oggi, ci troviamo ancora nel deserto di Giovanni Battista incaricato di annunciarlo ed è normale che la gente accorra a questo profeta con la domanda che qualsiasi persona di buona volontà porrebbe a un uomo di Dio. Questa gente, infatti, avendo sentito dalla sua bocca la necessità di dare frutti di conversione in vista della venuta del messia, gli chiedeva: “Che cosa dobbiamo fare, allora?”.

Ed ecco i consigli del Battista che, sebbene siamo ormai discepoli di Gesù, sono comunque preziosi anche per noi. Lo dirà Gesù stesso con queste parole: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento” (Mt 5,17). Gesù non invalida la Legge antica, ma la porta a compimento conferendole pieno senso con la sua stessa persona e con le opere che compie. La Legge serve da strada per mettersi alla sua sequela e diventare suoi discepoli, cioè, coscienti di essere figli e familiari di Dio.


I consigli di Giovanni continuano ad essere validi, soprattutto perché si riferiscono a occasioni concrete della vita reale. “Chi ha due tuniche” diceva a tutti Giovanni, “ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto”. Vennero a farsi battezzare anche alcuni esattori delle imposte in nome degli oppressori romani (i “pubblicani”) e gli domandarono: “Maestro, che cosa dobbiamo fare?”. “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”, rispose molto semplicemente. E ad alcuni soldati che ugualmente gli domandavano che cosa dovevano fare, disse: “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe”.

Non sappiamo se qualcuno di quelli che venivano a chiedere consigli li abbia, poi, messi in pratica. Forse, non solo il Battista predicava nel deserto, ma predicava al deserto, come avvenne anche a Gesù che non fu riconosciuto da nessuno fino quando non si mostrò vivo dopo la morte e inviò il suo Spirito per guidare i suoi discepoli verso la Verità, cioè, a Lui con tutto il cuore.

Per il momento, Gesù non è ancora apparso, e Giovanni, alla gente che chiedeva se non fosse lui il Messia che le sue parole suggerivano essere vicino, rispose: “Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”. Come si può vedere, non solo Giovanni nega di essere il messia, ma confessa di non essere neppure degno di essere suo discepolo. Lo dice con l’immagine dello “slegare i lacci dei sandali, un’azione tipica dei discepoli verso il loro maestro.

Giovanni è il migliore di tutti, dirà un giorno Gesù, ma appartiene ancora all’Antico Testamento, come si può vedere da ciò che va dicendo del Messia. “Tiene in mano la pala” va gridando, “per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile”. È il vero profeta di Gesù, colui che, secondo il quarto Vangelo, lo indica perfino come “l’Agnello di Dio”, ma continua ad immaginarlo alla luce di ciò che a quel tempo ci si poteva aspettare del Messia. Nessuno avrebbe potuto pensare che fosse il Figlio di Dio e che, invece di tenere in mano la pala per vagliare la sua messe e bruciare i peccatori rappresentati dalla paglia, si lascia crocifiggere per salvare tutti.

Per questo, Gesù, il giorno che si mise a parlare di Giovanni alla gente, disse: “Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista”.

Disse così, ma poi aggiunse: “Il più piccolo nel regno dei cieli è, tuttavia, più grande di lui (Mt 11,7-11). Con l’espressione “il più piccolo nel regno dei cieli”, Gesù sta parlando di noi. Più grandi di Giovanni Battista? Certamente no, se ci riferiamo alla sua vita e al suo martirio. In questo senso, è il più grande di tutti, ma in quanto abbiamo la consapevolezza di essere discepoli di Gesù crocifisso e risorto, sicuramente sì. Abbiamo un’opportunità più grande e, se non siamo ancora veri discepoli, il desiderio di diventarlo chiedendolo allo stesso Signore, è già qualcosa di molto importante e di cui essere grati.

lunedì 6 dicembre 2021

Piccole storie per l'anima - 28

PENSIERI DEL PASSERO SOLITARIO
ocds della Provincia Lombarda

Quando era ragazzino, gli piacevano le farfalle. Non le catturava col retino per metterle in cornice: era semplicemente affascinato dai loro colori e curioso delle loro abitudini. Oggi che è un uomo cresciuto e aspetta di qui a poco la nascita del suo primo figlio, si è trovato ancora una volta a subire il fascino di un bozzolo.

         L'ha trovato nel parco, ai margini del prato. Non si sa come, un ramoscello si è staccato dall'albero ma il bozzolo è sopravvissuto senza danni, restandogli attaccato. Come aveva visto fare a sua madre, lo avvolse delicatamente in un fazzoletto e lo portò a casa. Il bozzolo trovò una nuova sistemazione in un vaso chiuso, con dei buchi nel coperchio.

         Il barattolo fu appoggiato sulla reticella della lampada così da essere ben in vista e al sicuro dal gatto curioso, che sarebbe stato ben felice di giocare con quel colloso filo di seta. L'uomo teneva il bozzolo sotto osservazione. La moglie si interessò alla cosa per poco, mentre lui studiava con curiosità l'involucro.

         All'inizio, quasi impercettibilmente, il bozzolo iniziò a muoversi. L'uomo lo osservò da vicino e si accorse che vibrava tutto. Non accadde altro. Il bozzolo rimase ben incollato al rametto e non c'era traccia delle ali. Alla fine, gli sforzi si fecero più intensi tanto che l'uomo pensò che la farfalla non sarebbe sopravvissuta.

       Aprì il vaso, prese un taglierino dal cassetto della scrivania e con grande attenzione fece una piccola incisione ai lati del bozzolo. Quasi all'istante comparve un'ala e dopo poco si distese anche l'altra. La farfalla era finalmente libera! L'insetto sembrava felice della sua libertà e camminò lungo il bordo del vaso fino alla reticella della lampada. Ma non volava.

      All'inizio l'uomo pensò che le ali dovessero asciugarsi, ma il tempo passava e la farfalla continuava a restare a terra. Preoccupato, l'uomo chiamò un suo vicino, insegnante di scienze al liceo. Raccontò all'amico di come avesse trovato il bozzolo, di come lo avesse messo nel vaso e di come il bozzolo si fosse messo a tremare tutto per lo sforzo della farfalla di uscire.

      Quando gli spiegò che aveva fatto una piccola incisione nel bozzolo, l'insegnante lo fermò. «Ecco il perché! Vedi, è la difficoltà di liberarsi che dà alla farfalla la forza di volare».

 E così è per noi. Quasi sempre sono le difficoltà della vita che ci danno la forza di credere nelle nostre capacità di aver fiducia in noi stessi e aprire le ali.

 In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch'egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. (Vangelo di Giovanni 14,12)

Se il Signore vuole che al principio si provino delle difficoltà è solo per un nostro maggior merito: e tanto più grande sarà il premio che ne avremo , quanto più difficile  sarà stato l'ostacolo superato.
Io stessa ne ho fatto più volte l'esperienza, anche  in cose gravi, per cui  se mi fosse lecito dar consigli, raccomanderei a tutti  di guardarsi bene dal trascurare un'ispirazione per paura.
Se si agisce solo per Dio, non si ha da temere insuccesso perché Egli  è onnipotente.
 (S. Teresa D'Avila)

  

DA "VOGLIO VEDERE DIO"

di P. Maria Eugenio di Gesù Bambino, OCD

SPIRITO TERESIANO parte seconda

          Sulla vetta del Carmelo si è crocefissi con il Cristo e si è totalmente dediti all'azione per la sua gloria. E' verso questa vetta che la spiritualità teresiana fa volgere lo sguardo di coloro che si pongono alla sua scuola.

         Per riparare e servire S.Teresa comincerà con il compiere perfettamente i suoi doveri di religiosa. “Decisi di fare il poco che dipendeva da me. Decisi cioè di seguire i consigli evangelici con tutta la perfezione possibile”(Cammino, c. I, 2). Senza abbandonare la clausura santa Teresa potrà intervenire negli aspri combattimenti in atto e assicurare la vittoria del Cristo.            

        “Procuriamo di essere forti, affinché le nostre orazioni servano ad aiutare questi servi di Dio (Cammino, c. III. 2). Invece di distrarre l'anima carmelitana dalla sua preghiera contemplativa, lo zelo per le anime accrescerà il suo slancio verso le profondità di Dio.

        Il grande profeta di cui S. Teresa ha ritrovato lo spirito in pienezza, lasciava qualche volta la solitudine per darsi all'azione.  Cosa farà S. Teresa? Ella sacrifica le gioie della solitudine e la dolce pace dei primi anni di S. Giuseppe d'Avila al duro lavoro delle sue fondazioni che incomincia fin dal 1567 a Medina del Campo.

       S. Teresa sogna di prolungare la sua azione estendendo la Riforma ai religiosi. “Essendo donna e molto imperfetta” afferma si vede impotente a realizzare ciò che avrebbe voluto per la gloria di Dio. Nel suo pensiero i suoi figli, che saranno dei religiosi, suppliranno alla sua impotenza e prolungheranno la sua azione.

     La Santa conduce l'uomo verso la vetta della perfezione per mezzo dell'orazione e della contemplazione.

    Questi contemplativi devono diventare tutti degli apostoli. In questa spiritualità, contemplazione e apostolato sono partecipi l'uno dell'altra, sono due manifestazioni di una stessa vita profonda. Il raccoglimento del primo periodo è destinato solo ad accumulare energie per l'apostolato.


domenica 5 dicembre 2021

La novena per S. Giovanni della Croce

 Comincia oggi la novena in preparazione della solennità di San Giovanni della Croce, che festeggeremo il prossimo 14 dicembre. Pubblichiamo qui il file che potrete scaricare, stampare e leggere quotidianamente per pregare il nostro santo padre del Carmelo.

sabato 4 dicembre 2021

Meditazione sul Vangelo della Domenica - II di Avvento

 






Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio

1Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturea e della Traconítide, e Lisania tetrarca dell'Abilene, 2sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. 3Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, 4com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! 5Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. 6Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio! (Lc 3,1-6)

 

Così come lo fece in occasione della nascita di Gesù, avvenuta al tempo in cui era uscito “un decreto dell’imperatore Augusto, che ordinava si facesse il censimento di tutto l’Impero” e che “fu fatto quando Quirino era governatore della Siria” (Lc 2,1-2), la stessa cosa fa, per introdurre la sua apparizione pubblica.

Era, ci dice, “l'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturea e della Traconítide, e Lisania tetrarca dell'Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa”, quando Giovanni, figlio di Zaccaria, stava per incontrarsi con Gesù.

Quasi esagerando nei dettagli, ci parla di tutte le autorità imperiali, locali e religiose. Era il tempo, scrive, dell’imperatore Tiberio Cesare, succeduto ad Augusto nell’anno 14 e che avrebbe continuato a regnare fino all’anno 37. Se dunque siamo nel suo quindicesimo anno, ci risulterà facile dedurre che – a seconda che si calcoli o no il primo anno del suo impero – dobbiamo collocarci tra gli anni 27 e 29 della nostra era. A quel tempo, dall’anno 26, quinto governatore della Giudea da parte dello stesso imperatore, era Ponzio Pilato, mentre Erode Antipa, figlio di Erode il Grande (71-4 a.C.), con il titolo di tetrarca (signore di una quarta parte di un territorio), governava la Galilea. Il fratello di questi, Filippo, era tetrarca dell’Iturea e Traconìtide (territori a est e a nord del lago di Genezaret), e Lisanio di Abilene (territorio a nord ovest di Damasco). Quest’ultimo personaggio risulta difficile da identificare, sebbene nelle opere di Giuseppe Flavio il suo nome compaia varie volte.

 L’altra informazione sull’apparizione di Gesù al Giordano dove Giovanni stava battezzando si riferisce al sommo sacerdozio di Anna e Caifa. Anna era già stato deposto dai romani nell’anno 15, e ora Sommo Sacerdote, dal 18, era suo genero Caifa (18-36), ma, siccome la sua influenza era ancora molto grande e, forse, continuava a conservare anche il titolo, Luca cita entrambi.

Con questa insistenza quasi eccessiva nel sottolineare le diverse autorità in carica, l’evangelista desidera mettere in risalto la precisione storica dell’incarnazione del Figlio di Dio. Come scrive Paolo, parlando più in senso teologico che storico, fu nella “pienezza del tempo”, che “Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge” (Gal 4,4), cioè, nel momento da giudicare culmine della storia. Essendo, tuttavia, da parte del Figlio di Dio, una vera e totale assunzione della nostra condizione umana, eccetto il peccato, la sua manifestazione pubblica ha dovuto avvenire in un momento preciso della nostra storia, ossia, secondo i dati dell’evangelista, tra gli anni 27 e 29 della nostra era.

Fu allora che “la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto”, cioè, al tempo di quei signori, anche se molto lontano dai loro palazzi. Fu nel deserto, il luogo del vuoto che favorisce l’ascolto della verità, che Giovanni, percorrendo tutta la regione del Giordano, andava predicando il suo battesimo di conversione per il perdono dei peccati.

Luca, a differenza degli altri evangelisti, non parla dello stile di vita del Battista, ma solo della sua missione. Una missione così inerente alla sua persona che, con riferimento ad alcune parole di Isaia, appare semplicemente come Voce.

“Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!”.

Parole che il profeta rivolge al popolo di Israele in esilio per incoraggiare la sua speranza di tornare presto nella sua terra. Allora, nell’antica profezia indicavano la necessità di preparare il cammino e rendere piani i sentieri in vista di questo rientro in patria, ma in bocca al Battista, si tratta ormai delle vie che preparano l’arrivo del Messia Salvatore. Questi, l’atteso, giunge da solo, ma per riconoscerlo e accoglierlo bisogna desiderarlo e aprirgli i sentieri del proprio cuore.

Questo, vuol dire preparare il cammino del Signore e rendere piani i sentieri. Andare al suo incontro con umiltà, ossia, come insegna Teresa di Avila, “muoversi nella verità”. Nella verità dei nostri sentieri contorti, ma con la certezza che il Signore, da parte sua, non desidera che aiutarci a renderli diritti.

Celebrazione Eucaristica in onore della Beata Elia a 100 anni dalla professione

Il nuovo Calendario liturgico

Chi desidera acquistare il Calendario liturgico dei Carmelitani Scalzi d’Italia, con letture, disposizioni e liturgia delle Ore per la celebrazione eucaristica, solennità e memorie, ricorrenze di santi e beati del nostro Ordine, può prenotarlo al link delle Edizioni OCD. Nel sito della casa editrice trovate tutte nuove pubblicazioni e le opere dei nostri santi.

mercoledì 1 dicembre 2021

Piccole storie per l'anima - 27

 PENSIERI DEL PASSERO SOLITARIO
ocds della Provincia Lombarda


Il dirigente di una società di ricerca del personale, i cosiddetti "cacciatori di teste", quelli che reclutano figure professionali di alto livello per aziende che ne fanno richiesta, una volta mi disse: «Quando incontro un dirigente che sto cercando di convincere a lavorare per un'altra società, mi piace metterlo a suo agio. Gli offro da bere, mi tolgo la giacca, poi il gilè, allento la cravatta e mi metto comodo sulla sedia.    Dopodiché, inizio a parlare di calcio, famiglia, di qualsiasi cosa, finché non vedo che si è rilassato.


Allora, quando mi sembra che sia tranquillo, mi sporgo verso di lui, lo guardo dritto negli occhi e gli dico: "Qual è il tuo obiettivo nella vita?"    È incredibile come questa domanda metta in crisi questi top manager. Beh, l'altro giorno stavo parlando con uno di questi, l'ho messo a suo agio, gli offro il caffè e indirizzo le mie chiacchiere sul calcio... poi mi sono sporto verso di lui e gli ho chiesto:    "Qual è il tuo obiettivo nella vita, Angelo?"

E lui mi ha risposto, senza battere ciglio: "Andare in paradiso e portare con me più gente che posso".

 Per la prima volta in tutta la mia carriera sono rimasto senza parole».

 

Qual è il tuo obiettivo nella vita?

 

Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.

Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.

(Vangelo di Giovanni 10. 27-28)

 

Non ti rallegrare nelle prosperità temporali,

poiché non sai con certezza se esse ti assicurino la vita eterna.

(S. Giovanni della Croce)

 

DA "VOGLIO VEDERE DIO"

di P. Maria Eugenio di Gesù Bambino, OCD

SPIRITO TERESIANO prima parte

           Fondando il monastero riformato di San Giuseppe d'Avila, Teresa pensava solo di soddisfare le sue aspirazioni all'unione perfetta con Dio. In quell'ambito, i cuori s'infiammano subito al punto di far intuire alla Santa che Dio ha dei disegni particolari.

          “In quel tempo, mi giunse notizia dei danni e delle stragi che avevano fatto in Francia i luterani e di quanto andasse aumentando questa malaugurata setta. Ne provai gran dolore e, come se io potessi o fossi qualcosa, piangevo con il Signore e lo supplicavo di porre rimedio a tanto male. Continua a spezzarmi il cuore vedere che tante anime si perdono....Vorrei che non si perdesse ogni giorno un maggior numero di anime” (Cammino, c. I,4).

          Questo zelo che consuma Teresa al racconto delle devastazioni protestanti è quello stesso che infiammò l'animo del profeta Elia, il padre del Carmelo: “Zelo zelatus sum pro Domino Deo exercituum”(1 Re 19,10).

           La confessione del profeta è divenuta il motto del Carmelo Teresiano. Santa Teresa ha ritrovato la pienezza dello spirito di Elia: se il profeta è divorato da ardori di giustizia e Teresa da ardori d'amore, ciò dipende dalla diversità delle leggi sotto le quali essi sono vissuti; Elia appartiene alla legge del timore, Teresa invece è vissuta nella legge dell'amore.

        Ecco che ella va al di là del Cristo Gesù, del quale è venuta a cercare l'intimità al Carmelo, entra nel mistero delle sofferenze e delle angosce della chiesa militante, penetrando nelle profondità del cuore di Cristo. L'amore per la Chiesa domina ormai tutta la sua vita, troverà nell'ultimo sospiro, la sua più semplice e più sublime espressione:  ”Sono figlia della Chiesa.”

        Lavorare per la Chiesa è la vocazione di Teresa, lo scopo della sua riforma: “Il giorno che le vostre preghiere, i vostri desideri, le vostre discipline, i vostri digiuni non avessero più l'obbiettivo che ho indicato, sappiate che non adempite né rispettate il fine per cui il Signore vi ha qui riunite”(Cammino, c. III, 10).