domenica 26 dicembre 2021

Meditiamo sul Vangelo della Domenica

 “Scese con loro
e venne a Nazaret
e stava loro sottomesso”

41I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. 42Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. 43Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. 44Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. 46Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. 47E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. 48Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: "Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo". 49Ed egli rispose loro: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?". 50Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. 51Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. 52E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

Figlio, perché ci hai fatto questo?
La famiglia formata da Giuseppe, Maria e Gesù, è una famiglia unica (avendo come figlio lo stesso Figlio di Dio!) ma, allo stesso tempo, in termini concreti, simile alle altre. Non solo non ci sono miracoli, ma c'è la necessità di lavorare per poter mangiare e, per non dire che questo, l’accompagnamento del figlio, Gesù, nel suo sviluppo fisico, psichico e spirituale.
Per comprenderlo basta rileggere attentamente l’episodio (storico/simbolico) del ritrovamento di Gesù nel tempio dopo una ricerca angosciata, dove il figlio dodicenne, alla sollecitudine di Maria e di Giuseppe, suoi genitori, riguardo al suo strano comportamento, risponde con un’altra domanda: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Non possiamo non pensare che, se per Maria si trattò di una risposta dura, per Giuseppe fu anche una risposta umiliante. Come un figlio adottivo di una qualsiasi famiglia o, comunque, di una moglie che l’ha avuto da un precedente matrimonio, gli ricordò, infatti, che non era stato lui a metterlo al mondo.
Non fu certamente questo che voleva dire Gesù, ma, per un istante, anche questo risuonò nell’animo dello sposo della Vergine. Infatti, l’evangelista annota che, né lui né Maria compresero quelle parole, anche se, questo sì, neppure insistettero. Manifestarono il loro diritto di essere informati e che erano stati in ansia [Figlio, perché ci hai fatto questo? ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo], ma non insistettero. Non compresero ciò che Gesù disse loro, ma tacquero.
Solo per rimanere nell’ordinarietà della vita, simile a quella di tutte le famiglie, a questo punto, potremmo formulare una domanda: Fu per questo silenzio rispettoso, che Gesù, tornò all’obbedienza? [“Scese dunque con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso”]. C'è molto di più, ovviamente, in questa annotazione, ma non possiamo trascurare neppure questo insegnamento: che l’obbedienza non può essere imposta con le parole o gli ordini, ma suscitata da un comportamento tra genitori e figli mutuamente rispettoso.
Un’altra domanda, più difficile, anche se meno importante, potrebbe essere la seguente: Come può essere che, due genitori così premurosi come Maria e Giuseppe, non si siano accorti che Gesù non era con loro? Una disattenzione, perderlo di vista sulla via del ritorno a casa? In effetti la cosa non si spiega facilmente. “Il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme”, scrive, infatti, Luca, “senza che i genitori se ne accorgessero”.
Come è possibile che Giuseppe e Maria si siano messi in viaggio senza preoccuparsi del figlio, supponendone un’ipotetica presenza nel gruppo che, oltre tutto, non doveva essere molto grande? Le supposizioni per spiegare questa disattenzione sono varie, ma forse, riflettendoci bene, non sono neppure molto significative. Verosimilmente, infatti, deve trattarsi di un artificio narrativo dell’evangelista per inquadrare la risposta di Gesù che, al di là della possibile rude risonanza nell’animo di Giuseppe e di Maria, serve per introdurre il lettore nella vera identità del fanciullo, sottomesso ad essi, ma inviato dal Padre celeste. Un significato cristologico profondo che, come abbiamo detto, non esclude un insegnamento sul rispetto reciproco tra genitori e figli.
Dato, inoltre, che questo rispetto implica anche un saper ascoltare la voce della fede, vale anche la pena leggere in senso esplicativo quanto è detto alla fine dell’episodio. Il testo, dopo aver annotato che Gesù, tornato con loro a Nazaret, “stava loro sottomesso”, continua, infatti, con queste parole: “Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore”. Un’annotazione che l’evangelista aveva già fatto dopo la visita dei pastori a Betlemme: “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Parole che, senza alcun pericolo di equivoco e solo cambiando il soggetto, possiamo attribuirle ugualmente a Giuseppe. Anche lui, infatti, “da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”.
Esempi, i due sposi di Nazaret, di come vita e preghiera debbano camminare sempre insieme. Non c'è vera vita senza preghiera, nel senso profondo di ascolto attento alla voce della fede, e non c'è vera preghiera senza ascolto attento della voce della realtà della vita.