sabato 18 dicembre 2021

Meditazione sul Vangelo della Domenica. IV di Avvento

Beata te che hai creduto

39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto". Lc 1,39-45


Purtroppo l’evangelista Luca, così preciso in altre occasioni nel fornire dettagli, sul viaggio di Maria verso la casa di Elisabetta - nonostante non si tratti di un percorso trascurabile per una giovane di circa quindici anni - non dà alcuna informazione. Tra Nazareth e Ein Karen, dove viene localizzata la casa di Elisabetta ci sono circa 145 chilometri che, in macchina, sono percorribili, oggi (via Ramalla-Nablus su Strada 60), in circa un’ora e trenta. Una distanza che, a piedi, richiedendo almeno trenta ore, non consente di pensare che Maria l’abbia potuta percorrere da sola. Non tanto dal punto di vista della fatica fisica, ma da quello dei rischi che avrebbe potuto correre.

Una delle ipotesi che si possono fare – non abitando ancora insieme a Giuseppe, suo promesso sposo (Mt 1,18), e dovendo vivere ancora con i suoi genitori (Gioacchino e Anna, secondo il Protovangelo di Giacomo) – è quella di pensare che suo padre, magari dopo averne parlato anche a Giuseppe, abbia affidata la figlia ad un amico fidato che, dovendo recarsi a Gerusalemme con un carro o delle cavalcature per affari suoi, avrebbe potuto lasciarla ad Ein Karen. Una località che, tutto sommato, è di strada e si trova a soli 7 o 8 chilometri dalla capitale.

Dev’essere andata così o in qualche altro modo simile. Essendo il suo stato di attesa ancora molto recente, i suoi genitori non avevano potuto sospettare ancora nulla e, a Giuseppe, Maria lo avrebbe detto al suo ritorno. Anzi, nulla ci impedisce di pensare che ella si fosse messa in viaggio anche con la speranza di ricevere, dall'anziana cugina, un buon consiglio su come parlare del suo misterioso stato al suo amato sposo promesso.

Tornando comunque al Vangelo, “in quei giorni”, si limita a scrivere l’evangelista, “Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda” (v. 39). Con questa unica indicazione (“in quei giorni”), desidera informarci che, dopo il dialogo con l’angelo Gabriele e il suo assenso, Maria, parlando in casa con suo padre e sua madre dello straordinario stato di Elisabetta e del suo bisogno di assistenza, si era proposta di andare, quanto prima, a vivere con lei i mesi che mancavano al parto dell’anziana cugina.

Il fatto di porsi in cammino “in fretta”, oltre a indicare la sua carità (Elisabetta, sebbene viva tanto lontana, sta già nel sesto mese e ha bisogno di aiuto), sottolinea che, benché piena di grazia (Lc 1,28), Maria si sente spinta ad andare anche per condividere la sua gioia e il suo timore di non essere all’altezza del grande grande mistero che porta in sé. Una “fretta” che, appena uscita dall’incontro con la voce del Signore nell’Annunciazione dell’angelo, si fa preghiera che la sostiene lungo il camino verso le montagne della Giudea.

Al di là del messaggio cristologico – la salvezza che, attraverso Maria (nuova Arca dell’Alleanza che porta il Signore), si avvicina a Israele (Elisabetta) –, l’episodio della Visitazione, nel quale le due donne corrono ad abbracciarsi, è ricco di importanza, non solo per capire come accogliere questo mistero di fede, ma anche come pregare o come muoversi e operare con questa consapevolezza.

Ciò che si vive nel Signore, come lo vediamo in questo incontro di Ein Karen, è un dare e ricevere nella potenza dello Spirito, che, dopo essere sceso su Maria, riempie ora Elisabetta (vv. 35-40). Maria, salutata dall’angelo, saluta a sua volta Elisabetta (vv. 28.40). E come il saluto dell’angelo aveva portato Maria, prima a turbarsi e poi a una disponibilità totale (v. 29), il suo fa esultare di gioia il grembo di sua cugina e fa giungere, anche a lei, la pienezza dello Spirito.

Da parte sua Elisabetta, grazie allo stesso Spirito, riconosce in Maria la benedizione di Dio e la chiama benedetta (vv. 41-45). Dalle sue labbra giungono a Maria due grandi titoli (“Benedetta tra le donne” e “Madre del Signore”) e una benedizione: “Beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto” (v. 45).

Maria, venuta per aiutare, e per il bisogno di essere riconosciuta e compresa da qualcuno, tace e ascolta. Non solo non si schernisce, ma, riconoscendo nelle parole di Elisabetta una conferma della sua fede e molta consolazione, aprendo anche lei le labbra, proclama la grandezza del Signore (il suo Magnificat). Ed è così che l’incontro delle due cugine, ognuna a suo modo visitata dallo Spirito, si converte in preghiera per cantare le meraviglie della salvezza operata, non solo in Maria ma anche attorno a lei.

 Una preghiera nella quale la gioia e l’esultanza provocate dallo Spirito diventano condivisione e carità reciproche e spontanee. Tanto naturali e istintive da far sì che, come se Maria (la Madre del Signore!) non avesse nulla di più importante da fare, si ferma con Elisabetta tutto il tempo che la cugina ha bisogno, cioè, i tre mesi che mancano al parto. “Maria rimase con lei”, scrive l’evangelista alla fine dell’episodio, “circa tre mesi, poi [solo dopo] tornò a casa sua” (Lc 1,56).

Questo sì, senza, tuttavia, dimenticare che, sotto la penna dell’evangelista, questi “tre mesi” – riferendosi a 2Sam 6,11, dove si legge che “l’Arca del Signore [recuperata dalle mani dei nemici di Israele] rimase tre mesi nella casa di Obededón, di Gat”, prima di essere portata a Gerusalemme da Davide –, hanno soprattutto un significato cristologico. Vogliono dire che, ora, la nuova Arca è Maria che, nella casa di Elisabetta (rappresentante del popolo di Israele), e nella casa di tutti lungo i secoli, ha la missione di portare il Figlio di Dio.

È per mezzo della Vergine Madre, infatti, che il Figlio di Dio ha fatto il suo ingresso nel mondo per sempre. Tanto che, quando si invoca la Vergine, implicitamente, si invoca sempre anche suo Figlio e viceversa.