domenica 31 dicembre 2017

“Il Signore è fedele al suo patto.”


Meditiamo con p. Marco Chiesa ocd

Stiamo camminando nella luce del Natale in questa ottava di grazia e la liturgia porta, come ogni anno, la nostra attenzione al mistero della S. Famiglia… quel piccolo nucleo di persone semplici e libere di cuore, che permettono l’evento più importante della storia: l’Incarnazione del Figlio di Dio. Quanto è bello farsi vicini ad una famiglia che riceve il dono di un bambino! Si crea istantaneamente un clima di affetto e di condivisione, in cui, dialogando, emergono spesso i risvolti lieti o complicati che hanno preceduto tale evento, ma in quel momento quasi naturalmente ricompresi e coronati da una grande gioia. Vogliamo porci in questo clima di fronte alla Parola che ci viene offerta per questo giorno.
Nella prima lettura, di fronte alla domanda, forse un po’ sarcastica, dell’anziano e scoraggiato Abramo – “Signore Dio, che cosa mi darai?” – ci pare quasi di vedere Dio che, mettendo una mano sulla spalla del suo amico, lo conduce fuori della tenda per fargli contemplare l’immensità delle stelle, quale segno della sua potenza, che neppure possiamo immaginare e che è lì a nostra disposizione: con Dio basta allungare il braccio per toccare le stelle! In quella notte d’intimità, tra le costellazioni sembrano riverberare le parole del salmo responsoriale: “Il Signore è fedele al suo patto… Cercate il Signore e la sua potenza, ricercate sempre il suo volto”. E così, vinto ancora dalla tenerezza divina, Abramo credette, tornò a fidarsi di quel Dio così vicino alle sue paure e alla notte del suo cuore, fissando ancora il cielo stellato e lasciando scendere nell’animo le divine e misteriose parole: “Tale sarà la tua discendenza”.
E davvero il Signore “si è ricordato della sua alleanza stabilita con Abramo”! Dalla tenda di Abramo e Sara esce un vagito… e germogliano vita e gioia, che danno senso a quella fede eroicamente impiegata.
L’autore della Lettera agli Ebrei, nel grande “tropario” di esaltazione della fede degli antichi, dedica giustamente un posto privilegiato a questi due sposi, in cui il credere divenne sorgente di speranza e, alla fine, di felicità, proprio perché Dio è fedele alle sue promesse. Sì, ce lo ha detto anche Gesù, che la fede può sradicare le piante e spostare le montagne, tuttavia non è sempre facile tenere accesa questa lampada in noi, quanto tanti spifferi rendono smorto e fumigante il lucignolo; per questo dobbiamo “ricordare le meraviglie che Dio ha compiuto, i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca”, perché anche noi siamo “stirpe di Abramo, suo servo”.
La fede di Abramo, infatti, è andata oltre l’evento contingente del figlio Isacco... essa ha attraversato i secoli: come ci ricorda Gesù stesso, egli “esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia” (Gv 8,56). 
Ed ecco che il Vangelo ci descrive l’episodio, conosciuto e caro, della Presentazione di Gesù. Maria e Giuseppe si recano al tempio secondo il rituale ebraico con molta semplicità e modestia, portando l’offerta prescritta per i poveri. Eppure su queste tre semplici persone si fissa lo sguardo del Padre, sempre attento, come sappiamo, a quanti non gli donano il superfluo, ma la loro stessa vita. Egli manda incontro a loro ben due profeti, Simeone ed Anna, i quali hanno passato la vita raccogliendosi davanti alla fiamma della fede e attendendo come giusti dell’Antico Testamento l’adempimento di tutte le promesse del Dio fedele. Essi, nella loro purezza e semplicità di cuore riescono a intravedere, al di là delle apparenze, il segreto del piccolo Gesù, prendendolo tra le braccia e scaldandosi così alla fonte dell’amore appena incarnato, anche per loro. Da quell’episodio, così come lo abbiamo meditato, le nostre famiglie fedeli, pur nella modestia della loro esistenza, ricevono una vivida scintilla di luce e di speranza, perché Cristo si è rivelato in una famiglia umana.

In questa giornata che va a chiudere un anno, per aprire nuove prospettive, poniamoci personalmente e familiarmente davanti al presepe, mettendo ai piedi del Piccolo Gesù tutte le ferite, le attese, le gioie e i progetti che fanno parte del nostro quotidiano, così da cantare con lo spirito tipico del Carmelo insieme a Maria e Giuseppe: “Il Signore è fedele al suo patto”!

martedì 26 dicembre 2017

Un giovane papà ammesso fra i secolari


Sabato 16 dicembre, durante il ritiro in preparazione del Santo Natale, nella sede della Comunità OCDS di Verona presso il Convento di S. Teresa degli Scalzi è stato ammesso alla Formazione iniziale Andrea Sandri, un giovane papà di famiglia. Clicca qui per la cronaca di questo evento. 

domenica 24 dicembre 2017

Las profundas cavernas del sentido

Meditiamo con p. Fausto Lincio ocd
Avvicinandoci al Natale, la liturgia ci introduce all’evento della nascita di Gesù facendoci conoscere sempre più da vicino i protagonisti di questa strabiliante avventura: in questa domenica al centro di tutto c’è la ‘pancia’ di Maria, che diventa la prima casa del Figlio di Dio tra noi.
Casa e discendenza
Il tema della casa è introdotto nella liturgia odierna abbastanza esplicitamente dalla prima lettura che riporta un episodio noto della storia di Davide. Il re, ormai affermato e consolidato nel suo potere (si è costruito una bella casa, ha sconfitto i suoi nemici, è diventato ricco, ha garantito al suo popolo una prosperità economica e politica…), si fa prendere da qualche scrupolo e decide di costruire un tempio anche per Dio, una casa che possa accogliere la sua presenza in modo stabile in mezzo al popolo. Lo scrupolo è ‘santo’, tanto che anche il profeta Natan si affretta a sostenere Davide in questo suo proposito: cosa c’è di meglio di un tempio per rendere la giusta gloria e onore a Dio (e a un Dio che ha accompagnato l’ascesa al trono di Davide dandogli forza e coraggio nel lungo e travagliato cammino che l’ha fatto diventare il re prospero che ora è)? 
Una reggia, un tempio, una città fortificata, la pace intorno, la vittoria sui nemici… e tutti vissero felici e contenti.
Per fortuna questa logica molto ‘mondana’, da happy ending di film della Disney, è subito sconfessata da Dio stesso: sarai forse tu a costruirmi una casa?. Il re, il profeta, il lettore… è spiazzato: perché Dio non vuole che Davide gli costruisca un tempio? Il lettore più acculturato e che conosce un poco la Scrittura corre subito in avanti col pensiero e si dice che Davide non poteva costruire il tempio perché si era macchiato di troppo sangue e anche qualche peccato un po’ pesante, e che quindi non era degno di costruire il tempo che infatti realizzerà suo figlio Salomone… ma anche questa spiegazione (pur avvallata dalla vicenda storica della costruzione del tempio e dalla sua interpretazione) non riesce a fugare fino in fondo lo spiazzamento che abita il brano di 2Sam 7. Forse perché la vera spiegazione del diniego di Dio non sta tanto nella dignità o indegnità di Davide (cui il brano non fa cenno, anzi sottolinea i tratti di piccolezza di Davide fin dalle sue origini) quanto piuttosto nel fatto che Davide non riconosce che la vera casa di Dio è la sua stessa persona: la storia che ha vissuto, quella che lo attende da lì in avanti: la sua carne diventa il luogo vero di abitazione di Dio per lui e per il suo popolo, carne di Davide, carne della sua discendenza. Se Dio abita in questo modo la storia dell’uomo (nella sua stessa carne)… allora non c’è bisogno di costruirgli un tempio!

Acconsentire alla nostra incapacità
C’è solo bisogno di aprire la porta e lasciarlo entrare, questo Dio che chiede ospitalità nella carne delle nostre persone per rinnovare dal di dentro l’umano e portarlo a quella pienezza che tutti desideriamo (e per la quale traffichiamo instancabilmente ogni giorno, spesso con risultati non sempre soddisfacenti…). Qui il brano dell’annunciazione di Luca ci aiuta a capire cosa voglia dire aprire la porta a questo Dio che fa di noi il tempio della sua presenza, trasformandoci.
Luca non ha paura di mettere in scena tutti i motivi ostativi che impediscono a Maria di poter realizzare quello che l’angelo le dice: vergine e senza uomo/marito, come a denunciare l’impossibilità umanamente insuperabile che si porta addosso. Ma proprio la ‘confessione’ di questa incapacità, l’accoglienza di questo limite invalicabile è la chiave che apre la porta, che permette a Maria di affidarsi a quelle parole che turbano (affascinano e spaventano a un tempo) perché sa che la loro realizzazione non dipende da una sua capacità particolare ma solo da questa disponibilità che può dare o negare, e che alla fine decide di dare (avvenga per me secondo la tua parola). Maria ha aperto la porta della sua umanità alla proposta di Dio e di nuovo ha rinnovato il miracolo della costruzione della casa di Dio tra gli uomini: la sua pancia è diventata questo nuovo tempio dove Dio dimora e dal quale rinnova tutta la storia dell’umanità (giovani e vecchi, sterili e vergini, …. per dire che tutti quelli che stanno all’interno di questa forbice sono destinatari della stessa proposta di Dio).


Las profundas cavernas del sentito, per usare un verso di Giovanni della Croce, diventano in questa prospettiva non più solo il luogo oscuro e pauroso dal quale escono i mostri che ci schiavizzano (e quindi da tenere ben chiuse, mica che ci tirino qualche brutto scherzo….), bensì tutto al contrario il luogo proprio del venire di Dio, il luogo che ha bisogno della sua luce che rinnova l’umano a ‘prezzo’, però, di acconsentirgli l’accesso a queste profondità. E non mi pare un caso che Gesù nasca proprio in un buco nella terra (la stalla di Betlemme).

giovedì 21 dicembre 2017

Auguri dal Coordinamento Interprovinciale

 Il Coordinamento Interprovinciale d’Italia augura ai fratelli sorelle dell’OCDS Italiano un  Santo  Natale, con una poesia di p. Bruno Moriconi ocd
Buon Natale 2017

sabato 16 dicembre 2017

Gioite, un cristiano non può non gioire

III Domenica di Avvento – Gaudete!
Meditiamo con p. Giorgio Rossi ocd
Oggi la liturgia della Chiesa ci invita al gaudio, alla gioia … è la domenica detta “gaudete” (dall’“incipit” dell’antifona d’ingresso della Messa) perché è tutta pervasa da una certezza di compimento, da una certezza di vicinanza del Signore. Il rosa è il colore dell’aurora e per questo i paramenti liturgici hanno oggi questo colore; l’aurora della salvezza, del mondo nuovo, è alle porte perché il Signore bussa e desidera solo che noi gli apriamo le porte della nostra vita (cfr Ap 3, 20).
“Rallegratevi” ci ripete oggi la Chiesa … e dicendoci questa parola ci fa interrogare sullo stato della nostra gioia cristiana. L’apostolo Paolo nel passo della Prima lettera ai cristiani di Tessalonica che oggi si proclama, ci indica una via quotidiana da percorrere come credenti: Sempre gioite, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie. Insomma lo spazio della vita del cristiano è pervaso da una gioia radicale e da un profondo senso di stupita gratitudine e, poiché il credente riconosce che questa gioia, questi doni, questo stupore che fanno bella la sua vita vengono da Dio, ecco che non può essere altro che un uomo eucaristico , cioè, un uomo del ringraziamento; quando poi cerca la fonte di quella gioia e di quello stupore che rendono “altro” la sua vita, il credente non può che riconoscere che quella fonte è solo e sempre una persona: Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, Messia e Salvatore. E’ così: per il cristiano la fonte della gioia è Gesù che è presente anche se, nell’oggi, la sua è una presenza celata, una presenza che non si impone nell’evidenza. E’, infatti, sempre vero quello che il Battista, che oggi è ancora protagonista di questa terza tappa d’Avvento, dice con ferma certezza: In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete … Il Battista indica così una presenza celata ma non per questo meno vera.
La presenza di Cristo pervade la storia ma si coglie solo nella fede e per grazia; dare credito a questa presenza nascosta è aprire la vita alla causa più radicale di gioia: Dio è con noi! E, se questo è vero, anche nella tribolazione, del dolore e perfino nella morte, possiamo dire con cuore pacificato: Se Dio è per noi chi sarà contro di noi? (cfr Rm 8,31). E allora la gioia può fiorire anche tra le lacrime, anche tra le contraddizioni perché è una gioia che non dipende in alcun modo dal mondo, ma solo dal Cristo!
Nel quarto evangelo ci sono due cose che sono del Cristo e sono diverse assolutamente da quelle del mondo: la pace e la gioia. Infatti Gesù nel quarto evangelo parla della sua gioia e quella stessa sua gioia Gesù la mette nel cuore dei suoi … si badi che questa parola sulla gioia è consegnata alla Chiesa nell’imminenza della passione! Non è allora una gioia “facile”, da buontemponi, da scanzonati allegri perché tutto va bene … è la gioia che deriva da Cristo e dal suo amore e che diviene evangelo !
Il cristiano, pervaso da questa gioia, è infatti lui stesso un evangelo, una bella notizia. La bella notizia è che la gioia può mettere radici anche in questa “valle di lacrime” perché la causa è solo Gesù e Gesù presente. L’uomo della gioia è come il servo di cui canta il Libro di Isaia; è consacrato per una sola cosa: per portare la bella notizia della libertà, della consolazione, della misericordia senza condizioni! Il servo proclama questo evangelo rivestito di gioia: Gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio … è questa gioia che rende credibile l’evangelo! Senza gioia l’evangelo è irriconoscibile, perde la sua forza rinnovatrice, la sua forza d’attrazione.
E’ la gioia di una via certamente esigente e lontana da ogni mezza misura, ma è gioia vera perché legata ad una presenza di Dio che brucia dentro e legata ad un sapore diverso e sensato che così la vita assume.

Il Battista, nelle parole dell’Evangelo di Giovanni che la Chiesa ha scelto per questa terza tappa dell’Avvento, ci è presentato come il testimone della luce, come il profeta che ha saputo leggere la volontà di Dio ed ha piena consapevolezza della sua identità; Giovanni sa chi non è ma sa anche chi è … e, sapendo chi è, sa pure cosa deve fare. L’austero profeta del Giordano è qui profeta della gioia e testimone della gioia. E’ testimone di una presenza, come dicevamo, nascosta ma reale e luminosa. Giovanni sa di non essere lui la luce ma sa anche di dover aprire varchi alla luce vera … e la luce è simbolo potente di gioia.
La profezia è questo: saper ascoltare Dio e dire, di conseguenza, parole di senso alla storia, leggere la storia e scoprirvi le tracce di Dio … il Battista è consacrato con l’unzione profetica per preparare l’irruzione gioiosa della luce, la sua profezia però ci appartiene perché anche noi siamo stati unti dallo Spirito per la profezia e per la testimonianza. Cose queste che costano, ma che non possono essere eluse da chi davvero ha conosciuto Cristo Gesù. Quando quella presenza nascosta si è rivelata alle nostre vite (a volte per attimi brevissimi ma luminosi!), quando abbiamo sentito la sua carezza nella tribolazione, la sua forza nella nostra debolezza, la sua parola nei silenzi più profondi, allora abbiamo compreso che nulla poteva più essere come prima e che quella presenza nascosta, non evidente, doveva essere testimoniata ed annunciata con forza e con coraggio, a qualunque prezzo, come il Battista che ha il coraggio e la parresia di dire dei no netti e dei sì altrettanto netti. Allora abbiamo capito di dover essere testimoni di una gioia e di una presenza che sempre attendiamo e che colora d’aurora anche i giorni in cui il mondo crede più al tramonto e alla notte che alla luce! Viene nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. E’ così! Cediamo il nostro cuore alla gioia!

Prof. Christof Betschart. «Camminare con Dio la mano nella mano». L’esod...

domenica 10 dicembre 2017

« Preparate le vie del Signore! »

II Domenica di Avvento
Anno B
Is 40, 1-5. 9-11; 2 Pt 3, 8-14; Mc 1, 1-8

Meditiamo con p. Aldo Formentin ocd

Con la prima domenica del nuovo Anno Liturgico siamo entrati tutti nel tempo «forte» dell’Avvento.
Avvento, sappiamo, significa venuta. Chi sta per arrivare? E se l'Avvento riguarda noi stessi, se noi stessi aspettiamo qualcuno: chi è che stiamo aspettando? Per noi cristiani – gli unici al mondo che davvero attendono Uno che sta venendo – l'Avvento è come un portone imponente che ormai siamo abituati a varcare per entrare nel santuario affascinati del Dio fatto uomo: il Figlio di Dio fatto Bambino. Ogni anno – a partire dalla seconda domenica di questo tempo dell’Attesa – varcando la soglia di questo portone incontriamo due sentinelle che gli fanno la guardia e ci chiedono perché e con quale sentimento, con quale atteggiamento interiore, siamo qui a chiedere di entrare. Due figure assai dissimili, che tuttavia si vedono sempre nelle antiche immagini alla sinistra e alla destra di Colui che è l'Atteso e infine il Venuto: il Battista e l’Immacolata.
La prima figura – il Battista – protesa in alto, scarna, un angelo vestito di pelli di cammello, che non vuol essere nessuno, ma solo una voce che grida dal deserto del mondo e del tempo: «Preparate le vie del Signore!».
L'altra figura – che incontreremo il prossimo 8 dicembre – è una persona profondamente velata e ripiegata su di sé, solamente il suo corpo parla visibilmente di colui che ella attende, e fa risuonare la sua flebile parola: «Ecco, io sono l'ancella del Signore». Ambedue sanno chi stanno aspettando. Essi sono per il momento gli unici che lo sanno così esattamente e così pressantemente: essi aspettano nientemeno che Dio. Non un condottiero o un qualche eroe, non un tempo migliore, una vaga utopia, bensì davvero Dio. L'Emanuele, il Dio con noi. E questo nella certezza che egli sta direttamente davanti alla porta, perché tra la preparazione della via da parte di Giovanni il Battista e della Vergine Maria e la venuta dell'Atteso non può più intervenire nulla che possa far ritardare, perché l'Avvenimento è già in moto, e nessuno può arrestarne il cammino…
Il Battista dunque – in questa domenica – compare nel Vangelo. È e chiama se stesso «una voce nel deserto». Certamente un deserto è questo mondo, più che mai: «un deserto che cresce» tecnicamente mediante il disboscamento delle selve che portano la pioggia, contro di cui tutti i piani per la civiltà e lo sviluppo sembrano non avere risorse… «un deserto che cresce» spiritualmente con l'inaridimento del «paesaggio religioso», dal momento che l'umanità non può quasi più ascoltare il richiamo a «preparare al Signore la strada». La «voce» risuona nel rumore confusionario dei mezzi di comunicazione di massa, delle nuove informazioni  che precipitano l'una sull'altra. E se il “battezzatore” compare in stile sorprendentemente anti-culturale - vestito con peli di cammello e per nutrimento locuste e miele selvatico -, siamo ormai abbastanza abituati a collocare tranquillamente un simile comportamento tra le mille mode in mezzo alle quali vive assuefatta l’attuale nostra società.
Eppure per noi credenti il contenuto del messaggio del Battista – ne parla anche la prima lettura – è sempre fonte di seria riflessione. È troppo grande il suo messaggio per essere attuato domani o dopodomani: che cioè gli Israeliti deportati possano tornare da Babilonia nella loro patria e ricostruire il loro tempio. Il messaggio parla di un futuro, che sta sicuramente avvicinandosi, in cui «tutti i mortali vedranno la gloria di Dio», Dio stesso raccoglierà l'umanità come un pastore per condurla definitivamente a casa.
Se la parola del Profeta Isaia ci porta a guardare la realtà con gli occhi di Dio – come guardandola dall’alto – noi sappiamo di non avere alcuna vista dall'alto. Come abbiamo sentito leggere nella seconda lettura… noi contiamo i giorni, gli anni, e sempre i nostri calcoli si dimostrano falsi: nel corso di tutti i secoli si è predetto il giorno dell'arrivo di Dio, ed egli non è mai arrivato. Questo perché il tempo di Dio è diverso dal nostro: «Mille anni sono per lui come un giorno» [Sal 90,4]. Nel nostro miope mondo si parla così con superiorità e ironia di «ritardo», di una ingenua attesa della fine... Ma «il Signore non ritarda nell'adempiere la sua promessa» [2Pt 3,9]. E caso mai indugiasse occorre attenderlo «perché certo Egli verrà e non tarderà" [Ab 2,3]. Egli è un Dio in avvento sempre: il nostro Dio è un Dio - «che Viene » [Sal 49,3] – e  trae continuamente a riva come un pescatore la rete gigantesca della storia del mondo.
Questo evento di fine dei tempi dev'essere proclamato da un «alto monte» come messaggio di gioia. Alla luce della venuta del Figlio di Dio nella nostra carne, la  confusa storia del mondo con le sue colline e depressioni - strade molto tortuose! - si rivelerà alla fine come la via piana e diritta su cui Dio è da sempre passato: «perché egli ci ha amati per primo» [1Gv 4,19]. La storia, così come noi stessi la viviamo, sembra correre incontro a immense catastrofi… Eppure, vista dalla sua fine – con gli occhi di Dio – appare come una sicura e amica strada di casa…  Strada nella quale mentre noi discorriamo e discutiamo insieme Lui ci incontra Gesù in persona, si accosta e cammina con noi [cfr Lc 24,15]. E ci rincuora: «alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» [Lc 21,28]. Il fatto che noi possiamo pensare la fine del mondo solo in modo catastrofico non turba né il piano di Dio, né la fiducia dei cristiani. Nella certezza che con la venuta dell’Emanuele Dio cammina con loro come un pastore con il proprio gregge - «Il Signore è il mio pastore [Sal 22, 1] -  i cristiani – come scrive Pietro nella seconda lettura – hanno unicamente da cercare di essere, quando Dio verrà, «senza macchia» … e di «essere trovati in pace». [ cfr 2Pt 3,14 ].
Perché l’Avvento ci prepari a vivere «senza macchia» e a «essere trovati in pace» quando anche noi come i pastori incontreremo – a Natale – «Maria e Giuseppe e il bambino, che giace nella mangiatoia» [Lc 2,16] vogliamo fare nostra l’esortazione che S. Elisabetta della Trinità suggeriva alla sorella Guite in attesa di un figlio:

«Oh, lasciati pervadere tutta da Dio, invadere tutta dalla sua vita divina, per donarla al caro piccolo che verrà alla luce colmo di benedizione!
Pensa che cosa doveva essere nell’anima della Vergine allorché, dopo l’Incarnazione, possedeva in sé il Verbo incarnato, il Dono di Dio.
In che silenzio, in che raccoglimento, in che adorazione doveva seppellirsi nel fondo della sua anima per stringere quel Dio di cui Essa era la Madre!
Mia piccola Guite, Egli è in noi. Oh, teniamoci strette a Lui.
In questo silenzio, con questo amore della Vergine, è così che passeremo l’Avvento, non è vero?» [Lettera, 22.11.1903]
                                                                                                                                            

                                                                                                                                             

mercoledì 6 dicembre 2017

GUARDA BENE CHI STAI SEGUENDO!

Il Vangelo ci mostra come è stato accolto e seguito Gesù e  come possiamo seguirlo noi: da una superficiale e benevola simpatia, senza impegni e decisioni  a una totale consegna di tutto se stessi. Vediamo che cosa significa seguire Gesù per un carmelitano scalzo secolare, nella terza scheda sulle Costituzioni. Clicca qui
Nel box in alto a destra troverete via via tutto il nostro percorso formativo, curato da Brigida Silvana De Grandi ocds
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Le comunità pugliesi e campane riflettono sulla vocazione all'ocds


Il 27 e 28 gennaio prossimi si svolgerà a Bari il congresso regionale dell'ocds guidato da p. Alzinir Debastiani, delegato generale della famiglia del Carmelo Teresiano, lo stesso congresso si sposterà a Maddaloni, per le province della Campania il 3 e 4 febbraio.Tema del Congresso: "Ordine Secolare dei Carmelitani Scalzi. Le Costituzioni riflesso della spiritualità dell'Ordine. Chiamata divina, progetto di vita, fedeltà perseverante al carisma".

venerdì 1 dicembre 2017

Vegliate!



Meditazione di p. Alzinir Debastiani ocd
Nel tempo liturgico dell’Avvento, risuona forte l’invito del Signore: “Vegliate!”
Infatti, il Tempo del Avvento che iniziamo oggi è un invito alla speranza nella gioia, giacché nel corso dell’anno liturgico, in particolare nell’Avvento, la Chiesa fa memoria dell’attesa della venuta del Messia da parte del popolo della prima Alleanza, come pure ci mantiene svegli nella speranza della venuta di Cristo in ogni persona e, infine, nella gloria alla fine dei tempi. Tutto questo al fine di celebrare i misteri della fede, come pure di accompagnare i fedeli tramite l’opera pedagogica e formativa presente nei cicli dell’anno liturgico. Questo ci fa crescere, progressivamente, nella comprensione della fede che si trasforma in vita, fino alla pienezza della conoscenza del mistero di Cristo Gesù. Allo stesso tempo, dato che l’anno liturgico è vissuto da tutta la Chiesa, si accresce in noi il senso della fraternità con tutti i credenti: sia i vicini che i lontani pregano lo stesso mistero nella Chiesa, che contempla l’unico Cristo, la Fonte da dove scaturiscono i Misteri celebrati nella Liturgia. E lo facciamo in comunione con coloro che già partecipano alla gloria del Signore, e che nell’Avvento sono particolarmente ricordati perché sono stati associati all’attesa operosa della venuta del Signore: il profeta Isaia, Giovanni Battista, la Vergine Maria e San Giuseppe.

 Essi ci spingono a incamminarci verso la méta della nostra fede.
Così il profeta Isaia (63, 16-17.19; 64,2-7), ricordando i mali che affliggono il popolo di Israele come conseguenza dei propri peccati, supplica il Signore affinché venga a redimere il popolo sofferente: “Se tu squarciassi il cielo e scendessi…”. È un grido che desidera l’intervento divino nella storia e che possiamo fare anche nostro, chiedendo che il Principe della pace venga e porti la pace nel nostro mondo che vive una “guerra a pezzi”, secondo l’espressione di Papa Francesco. In questo senso, la preghiera di intercessione di un cuore che ama Dio e ama i fratelli “si mette in mezzo” (inter-cede) e supplica Colui che ci ha plasmati, perché si ricordi che siamo opera delle sue mani e ritorni a favorirci, “per amore dei tuoi servi”.
Anche Paolo nel brano della prima lettera ai Corinzi (1 Cor, 1,3-9) di questa prima Domenica, sprona i fedeli ad aspettare la “manifestazione del Signore”, fiduciosi in Lui. È un aspettare con il cuore grato per i carismi o doni che lo Spirito Santo ha consegnato alla comunità per il bene di tutti: “Rendo grazie continuamente al mio Dio… in Cristo Gesù, perché siete stati arricchiti di tutti i doni…”.  Doni, questi, che hanno lo scopo di testimoniare il Signore e devono essere utilizzati responsabilmente da parte dei fedeli, affinché la comunità venga edificata e resa salda nella speranza “sino alla fine”.
In quest’anno B del ciclo liturgico domenicale, il vangelo di Marco ci fa da guida. Egli mette in risalto l’aspetto della venuta di Cristo come Redentore, il quale va creduto e seguito nella fede.
È così che Gesù, nel vangelo di oggi (Mc 13,33-37), esorta alla vigilanza: “Vegliate!” Il suo monito suscita un’attesa responsabile, attraverso l’immagine della casa lasciata in custodia ai servi, che aspettano il ritorno del loro padrone e devono mantenerla e tenerla pronta per quando egli arriverà. Lasciando i servi nell'ignoranza del tempo del suo ritorno, Gesù vuole che siamo attenti alla pratica dei suoi comandamenti, nel discernimento e nella fedeltà nel vivere i suoi insegnamenti in ogni momento. È inoltre, l’atteggiamento raccomandato dalla Santa Madre Teresa: “E, pensando che ogni ora può essere l’ultima, chi di voi non vorrà impiegarla bene? Credetemi, questo pensiero è la cosa più sicura” (Cammino 12,2).
Con Maria, la cui festa dell’Immacolata celebreremo tra pochi giorni, possiamo anche noi vivere questo tempo di Avvento nella preghiera vigilante, nella cura del silenzio interiore che ci consente di essere attenti alle manifestazioni della volontà del Signore attorno a noi, per dire come Lei il nostro fiat; sia che lo vediamo negli altri, oppure negli avvenimenti di ogni giorno. In tutto, siamo chiamati a vivere alla luce della fede, speranza e carità, nell’amore vicendevole, nel distacco e nell’umiltà. Così disporremo docilmente i nostri cuori, affinché avvenga anche in noi l’Incarnazione del Verbo.  
Con l’orazione Colletta della odierna liturgia, preghiamo:

Dio nostro Padre, nella tua fedeltà che mai viene meno ricordati di noi, opera delle tue mani, e donaci l’aiuto della tua grazia, perché attendiamo vigilanti con amore irreprensibile la gloriosa venuta del nostro redentore, Gesù Cristo tuo Figlio. Amen”.