Meditiamo con p. Fausto Lincio ocd
Avvicinandoci al Natale, la liturgia ci introduce all’evento
della nascita di Gesù facendoci conoscere sempre più da vicino i protagonisti
di questa strabiliante avventura: in questa domenica al centro di tutto c’è la
‘pancia’ di Maria, che diventa la prima casa del Figlio di Dio tra noi.
Casa e discendenza
Il tema della casa è introdotto nella liturgia odierna abbastanza
esplicitamente dalla prima lettura che riporta un episodio noto della storia di
Davide. Il re, ormai affermato e consolidato nel suo potere (si è costruito una
bella casa, ha sconfitto i suoi nemici, è diventato ricco, ha garantito al suo
popolo una prosperità economica e politica…), si fa prendere da qualche
scrupolo e decide di costruire un tempio anche per Dio, una casa che possa
accogliere la sua presenza in modo stabile in mezzo al popolo. Lo scrupolo è
‘santo’, tanto che anche il profeta Natan si affretta a sostenere Davide in
questo suo proposito: cosa c’è di meglio di un tempio per rendere la giusta
gloria e onore a Dio (e a un Dio che ha accompagnato l’ascesa al trono di
Davide dandogli forza e coraggio nel lungo e travagliato cammino che l’ha fatto
diventare il re prospero che ora è)?
Una reggia, un tempio, una città fortificata, la pace intorno, la vittoria sui
nemici… e tutti vissero felici e contenti.
Per fortuna questa logica molto ‘mondana’, da happy ending di film della Disney, è subito sconfessata da Dio
stesso: sarai forse tu a costruirmi una
casa?. Il re, il profeta, il lettore… è spiazzato: perché Dio non vuole che
Davide gli costruisca un tempio? Il lettore più acculturato e che conosce un
poco la Scrittura corre subito in avanti col pensiero e si dice che Davide non
poteva costruire il tempio perché si era macchiato di troppo sangue e anche
qualche peccato un po’ pesante, e che quindi non era degno di costruire il
tempo che infatti realizzerà suo figlio Salomone… ma anche questa spiegazione
(pur avvallata dalla vicenda storica della costruzione del tempio e dalla sua
interpretazione) non riesce a fugare fino in fondo lo spiazzamento che abita il
brano di 2Sam 7. Forse perché la vera spiegazione del diniego di Dio non sta
tanto nella dignità o indegnità di Davide (cui il brano non fa cenno, anzi
sottolinea i tratti di piccolezza di Davide fin dalle sue origini) quanto
piuttosto nel fatto che Davide non riconosce che la vera casa di Dio è la sua
stessa persona: la storia che ha vissuto, quella che lo attende da lì in
avanti: la sua carne diventa il luogo vero di abitazione di Dio per lui e per
il suo popolo, carne di Davide, carne della sua discendenza. Se Dio abita in
questo modo la storia dell’uomo (nella sua stessa carne)… allora non c’è
bisogno di costruirgli un tempio!
Acconsentire alla nostra incapacità
C’è solo bisogno di aprire la porta e lasciarlo entrare, questo Dio che chiede
ospitalità nella carne delle nostre persone per rinnovare dal di dentro l’umano
e portarlo a quella pienezza che tutti desideriamo (e per la quale traffichiamo
instancabilmente ogni giorno, spesso con risultati non sempre soddisfacenti…).
Qui il brano dell’annunciazione di Luca ci aiuta a capire cosa voglia dire
aprire la porta a questo Dio che fa di noi il tempio della sua presenza,
trasformandoci.

Las profundas cavernas
del sentito, per usare un verso di Giovanni della Croce, diventano in
questa prospettiva non più solo il luogo oscuro e pauroso dal quale escono i
mostri che ci schiavizzano (e quindi da tenere ben chiuse, mica che ci tirino
qualche brutto scherzo….), bensì tutto al contrario il luogo proprio del venire
di Dio, il luogo che ha bisogno della sua luce che rinnova l’umano a ‘prezzo’,
però, di acconsentirgli l’accesso a queste profondità. E non mi pare un caso
che Gesù nasca proprio in un buco nella terra (la stalla di Betlemme).