Più che sul miracolo della guarigione del cieco nato, è meglio e più opportuno fermarci sulla domanda dei discepoli e sulla risposta relativa di Gesù. Una domanda e una risposta che introducono l’insieme del racconto. L’opportunità di soffermarci su questo dialogo dipende anche dal momento che abbiamo appena vissuto, minacciati dal misterioso e insidioso COVID 19 che ha coinvolto tutto il mondo in una pericolosa pandemia. Infatti, qualcuno potrebbe domandarsi se, in questo, come in qualsiasi altra disgrazia, c’entri, in qualche modo, la punizione di Dio.
Molto presuntuosi, alcuni predicatori e direttori spirituali, infatti, continuano a parlare di castighi divini dovuti alla nostra cattiva condotta. Parlano così, dimenticando che, per questo mondo, è passato anche il Figlio di Dio, Gesù, per dimostrare che il Padre, così ci ha insegnato Lui a chiamarlo, non è il tipo di dio che si potrebbe immaginare nella religione pagana, e, questo sì, secondo la mentalità dell’Antico Testamento. Se ti sei ammalato e adesso sei povero, dicevano a Giobbe i suoi amici, nonostante fosse l’uomo più religioso e retto di tutto l’oriente, è perché qualcosa di male l’avrai fatto.
La verità era un’altra, ma questa era l’opinione religiosa corrente ancora al tempo di Gesù. Non solo i farisei credono che il povero cieco del Vangelo di oggi sia “intriso di peccati da capo a piedi” dalla sua nascita, ma la pensano così anche i discepoli di Gesù. Infatti, vedendo l’uomo cieco dalla nascita, sono loro a domandargli: “Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”.
Ed ecco la risposta determinante di Gesù: "Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio”. Basterebbe il buon senso comune, per rendersi conto che la maggioranza delle persone che muoiono nelle catastrofi naturali non sono i grandi peccatori, ma i poveri, i lavoratori che non hanno altra colpa se non quella di essere povera gente. Ci sono anche mali dovuti a colpa, ma, in generale, vengono dalla natura, non da Dio. Dio perdona sempre, dice un proverbio, l’uomo poche volte, la natura mai.
Un giorno che alcuni vennero a riferirgli di certi galilei il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici, Gesù rispose: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Siloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,1-5).
Gesù, terminando con “se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”, non sta minacciando, ma portando la questione a un altro livello, a un livello d’orizzonte superiore. Nel caso dell’incidente della torre di Siloe, vuole condurci a riflettere sull’infermità più importante che è quella di non convertirsi o di non tornare a Dio che ci ama e che ci sta aspettando da sempre.
Sfortunatamente, le torri continuano a cadere e ad uccidere. Molte volte è colpevole la nostra negligenza, ma mai il Signore. Ciò che dipende da noi è vivere consapevoli della nostra dignità di figli di Dio. Questo vuol dire Gesù a chi gli riferisce le due disgrazie. Morire è una tragedia, ma non vivere consapevolmente è solo una sopravvivenza sterile, peggiore che morire sotto una torre o per malattie, dalle quali, tuttavia, dobbiamo difenderci meglio possibile.
Nel racconto della guarigione del cieco nato, Gesù vuole aprirci l’orizzonte delle opere di carità. “Né lui ha peccato né i suoi genitori”, ci dice, “ma [è qui] “perché in lui siano manifestate le opere di Dio”. Ciò che Lui fa, guarirlo dalla cecità, solo Gesù può farlo e, qualche volta, anche alcuni santi che lo pregano con una fede da bambini, ma gli ammalati sono tra di noi perché – nella misura delle nostre possibilità – li curiamo.
“Vi assicuro che ciò che farete a uno solo di questi, miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me” ci dice Gesù nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo.