sabato 10 settembre 2022

Meditazione sul Vangelo della Domenica

1Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: "Costui accoglie i peccatori e mangia con loro". 3Ed egli disse loro questa parabola: 4"Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l'ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: "Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta". 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. 8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: "Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto". 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte". 11Disse ancora: "Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: "Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta". Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: "Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati". 20Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: "Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio". 22Ma il padre disse ai servi: "Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato". E cominciarono a far festa. 25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: "Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo". 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: "Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso". 31Gli rispose il padre: "Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato"".

 Con il capitolo 15 del Vangelo di Luca, proposto alla meditazione in questa domenica in tutta la sua interezza, ci troviamo davanti a una delle più preziose pagine della Bibbia. Un riassunto semplice e profondo, potremmo dire, del messaggio di fondo della Sacra Scrittura. Una pagina conosciuta e commentata in ogni suo dettaglio, anche se è bene rileggerla e riscoprirla ogni volta di più nella sua consolante e, al tempo stesso, stimolante ricchezza.

Prendendo in considerazione solo la parabola più lunga e più conosciuta, noi ci limitiamo a tre osservazioni di contorno molto importanti: 1. l’occasione in cui è stata raccontata da Gesù, 2. gli aggettivi impiegati e, 3. il protagonista.

Quanto all’occasione è lo stesso evangelista che ce la offre nei primi due versetti, in cui si legge ciò che segue: “Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi [perturbati] mormoravano dicendo: Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”.

Fu precisamente per questa mormorazione che Gesù, anziché rispondere direttamente con una giustificazione, “disse loro questa parabola”, scrive Luca usando il singolare, nonostante le parabole siano tre. Un espediente, supponiamo, per far capire al lettore che le prime due (quella della gioia per la pecora e la moneta ritrovate) fanno da introduzione alla terza del padre e dei suoi due figli. L’occasione, cioè, la mormorazione dei farisei, fa capire che Gesù racconta quella parabola per giustificare la sua condotta (il fatto che riceva i peccatori e mangi con loro) contestata da quei religiosi.

In una parola, Gesù vuol dire che il suo modo di comportarsi corrisponde a quello di Dio stesso che abbraccia il figlio peccatore e, nonostante si sia comportato male, lo ama, così come ama l’altro figlio che, per il momento, non può capire la sua gioia per il ritorno del fratello dilapidatore. Perché? Perché tutti e due sono suoi figli e tutto ciò che è suo vuole che capiscano che è anche loro.

Quanto agli aggettivi con i quali si designano le tre parabole, bisogna stare attenti. La pecorella e la moneta non sono interessanti perché perdute, ma perché ritrovate. È, infatti dal loro ritrovamento che scaturisce la gioia che è figura di quella celeste, quando un peccatore si pente. “Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione”, conclude infatti Gesù, guardando anche con un po’ di ironia i farisei e i dottori che mormoravano di Lui e si credevano irreprensibili come il fratello maggiore della terza parabola.

Il tema del soggetto, dal momento che il pastore e la donna rappresentano Dio, vale per le tre parabole, ma è importante sottolinearlo soprattutto per la terza. Prima, infatti, si soleva intitolarla “Parabola del figlio prodigo”, come se il protagonista fosse il figlio minore, e non il Padre. Fortunatamente, da alcuni anni, gli editori della Bibbia e dei libri liturgici l'hanno capito e, giustamente, la intitolano: “Parabola del Padre misericordioso”. Come abbiamo detto a proposito dell’occasione che motiva Gesù a raccontarla, è del Padre che Egli vuole parlare. Il protagonista è Dio che Gesù ha rivelato come Padre suo e nostro.

Parabola del Padre misericordioso” è il giusto titolo, ma, volendo essere ancora più precisi, non sarebbe male cambiarlo con il seguente: “Parabola del padre che aveva due figli”. Infatti, al contrario del loro padre che amava entrambi con tenerezza, i due pensavano male di Lui, ritenendolo un padrone che vuole essere servito e niente di più, come aveva insinuato il serpente a Eva che esitava a cogliere il frutto vietato (Gen 3,4-5). Per questo, il minore, molto prima del tempo, esige l’eredità per andarsene lontano da casa e, l’altro, rimane a lavorare nei campi, apparentemente fedele, ma con rabbia e rancore.

Da parte sua, il Padre che li ama entrambi, corre incontro a quello che ritorna e, all’altro, irritato e risentito, dice le parole più belle e affettuose: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo”. Parole che il Padre proferisce per ciascuno di noi, sapendo bene che, nei nostri cuori, insieme al desiderio di casa, lottano tra loro le animosità e il disamore del figlio maggiore, e le vigliaccherie del minore. Da parte sua il Padre continua ad amarci e ad aspettare che ci gettiamo tra le sue braccia.