sabato 7 maggio 2022

Meditazione sul Vangelo della Domenica

 Nessuno le strapperà dalla mia mano


27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola".  Gv 10,27-30

 

È evidente che Gesù sta parlando come Buon Pastore (Gv 10,1-18), però per capire queste parole specifiche in favore delle sue pecore bisogna porle nel contesto dal quale, misteriosamente, i liturgisti le hanno isolate.

Gesù, infatti, le pronuncia per essere stato provocato da alcuni giudei che gli stavano chiedendo di esprimersi chiaramente sulla sua identità. «Ricorreva allora a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno», scrive l’evangelista, «Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: "Fino a quando ci terrai nell'incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente”. Gesù rispose loro: "Ve l'ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore» (10,22-26).

Ecco, le prime parole del Vangelo che si leggono oggi nelle chiese (Le mie pecore ascoltano la mia voce), sono una continuazione di quest’ultima affermazione contro i giudei che quel giorno gli avevano opposto resistenza e Gesù aveva detto loro: “Voi non credete perché non fate parte delle mie pecore”. Parole che ci confortano e ci disorientano allo stesso momento. Che, per credere si debba essere discepoli, a noi suona un po’ strano, vero? Uno penserebbe che siano le parole di Gesù a farci suoi discepoli, mentre, al contrario, a partire da ciò che disse Lui ai giudei quel giorno, solo essendo sue pecore possiamo comprenderle. “Voi non credete perché non fate parte delle mie pecore”, disse loro, “[al contrario] le mie pecore ascoltano la mia voce”.

Difficile comprendere subito questa affermazione, ma è un modo di esprimere il circolo di grazia necessario tra il Signore e i suoi discepoli. Dicendo che le sue pecore ascoltano la sua voce, e che Egli le conosce, che esse Lo seguono, che Lui dà loro la vita eterna e che non moriranno mai, perché nessuno le strapperà dalla sua mano, Gesù – pur parlando con i giudei del suo tempo – attraverso il Vangelo sta parlando con noi che – al contrario di quelli – sappiamo molto bene che, se crediamo, è perché il Figlio di Dio ha dato la sua vita per noi. Lo sappiamo senza averlo meritato e, quindi, per sola grazia, come, per la stessa grazia, ascoltiamo la sua parola.

Egli ha dato la sua vita per tutta l’umanità, ma soltanto quelli che ascoltano la sua voce, sono coscienti di questo e sanno che lo ha fatto per darci la vita eterna, che non ci lascerà perire, né strappare dalla sua mano. Continuare ad ascoltare la voce di Gesù, dà, infatti, la sicurezza che Paolo attesta per tutti i credenti nella sua lettera ai Romani, con queste parole: “Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,38-39).

È una certezza, però, che bisogna mantenere viva con la preghiera, continuando ad ascoltare questa voce misteriosa che ci parla dentro, se le prestiamo attenzione. Gli stessi apostoli, sebbene il Signore fosse già apparso loro risorto e fossero certi della sua presenza, continuavano ad essere titubanti e timorosi come noi. Ricordiamoci il Vangelo letto domenica scorsa, quando, dopo la pesca miracolosa, Gesù li chiama a mangiare con Lui. Gli si avvicinano, ma, scrive l’evangelista, nessuno “osava domandargli: Chi sei?”, perché sapevano bene che era il Signore” (Gv 21.12). Lo scrittore che commentava questa timidezza (Luigi Santucci), lasciava intendere che a Gesù bastò che stessero lì con Lui. Sapendo che preferivano masticare e gustare, piuttosto che parlare, si limitò a distribuire loro il pane e il pesce che aveva preparato sopra la brace.

Non sappiamo se quello scrittore se ne sia reso conto, ma con la sua pennellata (masticare e gustare, anziché parlare) descrive molto bene il giusto modo di stare con il Signore (nella preghiera, in particolare) e non perdere la certezza che Lui continua a parlarci. “Le mie pecore”, dice Gesù, “ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. Per quanto spetta a noi, per poterlo seguire sul serio, è necessario masticare e gustare queste parole nel silenzio del nostro cuore. Parlare, proferire parole, non è importante. Ciò che importa è ascoltare.

Da parte sua Gesù ci assicura: “Ciò che il Padre mi ha dato [i suoi fratelli gli uomini e le sue sorelle le donne] valgono più di tutte le cose [“valgono più di tutto il mondo”, direbbe San Giovanni della Croce], e nessuno può strapparle dalla mano del Padre, [perché] Io e il Padre siamo una cosa sola”.