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sabato 29 aprile 2017

Riconoscere Gesù, dal dubbio alla fede

Dom III, tempo pasquale, A (Lc 24,13-35)

Durante il tempo pasquale la liturgia fa memoria della “sostanza propria” della “Buona Novella” (euaggelion), ossia la Risurrezione di Cristo. Infatti, la predicazione degli apostoli, sia agli stessi giudei che “per mano dei pagani hanno crocifisso e ucciso Gesù, ma che Dio ha risuscitato…” (At 2,23s.), che ai pagani, come dimostra s. Paolo nelle sue lettere (ad es. ICor 15,12ss.), è tutta fondata sull’annuncio della Risurrezione di Cristo.
Tra le diverse narrazioni, nei quattro Vangeli, risalta l’episodio dei discepoli di Emmaus. Esso è tanto prezioso per cogliere la continuità e la novità dell’esistenza del Risorto e anche per comprendere come questa novità di Cristo Risorto diventa esperienza e testimonianza dei cristiani. Ovvero, come dal dubbio e dall’incredulità il cristiano giunge alla fede, e così diventa “apostolo”, messaggero di Cristo ai fratelli.
La chiesa che ricorda l'apparizione di Gesù a Emmaus in Terra Santa
Tutto l’episodio storico acquista quindi un senso spirituale eminente, come una parabola valida per ogni persona in cerca di Dio. La “fuga” dei due discepoli da Gerusalemme, la “delusione” per il “fallimento” di Gesù, il misterioso pellegrino che si associa a loro e inizia a spiegargli “ciò che in tutte le Scritture si riferiva a lui”, e cioè, che doveva vincere il peccato e la morte e così liberare l’uomo alla gloria divina, attraverso la passione e la croce, il riconoscerLo nel segno eucaristico e infine la testimonianza della Buona Novella davanti ai fratelli.
Come nelle altre narrazioni delle apparizioni del Risorto, emerge la fatica nel raccontare la figura del Risorto. Joseph Ratzinger rileva, che proprio questo balbettare – anche contraddittorio – dei testimoni del Risorto diventa la prova della veridicità di queste testimonianze: “Nella contraddittorietà dello sperimentato che caratterizza tutti i testi [narrazioni della Risurrezione], nel misterioso insieme di alterità e identità si rispecchia un nuovo modo dell’incontro, che apologeticamente appare piuttosto sconcertante, ma che proprio per questo si rivela maggiormente come autentica descrizione dell’esperienza fatta” (Gesù di Nazaret, II vol., p. 296).
Mentre i discepoli camminano e discutono, Gesù si avvicina e cammina con loro. “Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo”. Non erano gli occhi del corpo, ma gli occhi interiori: gli “occhi del cuore”, impediti per l’incredulità, così dichiara S. Gregorio Magno (hom. 23). Gesù non apre loro subito gli occhi, come fa al cieco nato, ma, riepilogando le testimonianze delle Scritture su di lui, fa ardere i loro cuori. La fede è un camminare con il Signore, che si associa come pellegrino a noi pellegrini in terra, mediante la sua parola e i suoi sacramenti; ed è un camminare verso il Signore che si rivelerà pienamente al tramonto della nostra vita. Mediante la lettura credente, la Parola di Dio diventa Parola viva, diventa “pedagogia divina”, che porta il cristiano alla conoscenza delle vie del Signore, spesso segnate da fallimenti, dalla sofferenza, da ciò che umanamente può sembrare una “passione inutile”, insensato. La parola, il “logos” di Dio “riscalda” il cuore del credente e lo fa ardere della nostalgia di Dio. “Resta con noi, perché si fa sera, e il giorno ormai è al tramonto”: è questo cuore ardente di “sete di Dio”, che prima ancora di identificare pienamente Gesù Risorto, avverte la sua misteriosa vicinanza.
Ma è tuttavia solo nel momento della “frazione del pane” - segno eucaristico – che i discepoli lo riconoscono. Per i Padri della Chiesa si esprime in questo passo la dinamica della fede, ossia come il credente giunge dall'atto di fede alla conoscenza di Cristo: L'ascolto della Parola di Dio fa ardere  d'amore di Dio il cuore dei due discepoli. Ma è il momento dello “spezzare il pane”, mentre si nutrono di Cristo nel pane eucaristico, quando riconoscono il Signore. Certo, è una conoscenza, che mantiene sempre il suo carattere trascendentale, “inafferrabile”. L'evangelista lo sottolinea: “Ma Egli sparì dalla loro vista”.
 Ancora Papa Ratzinger, commentando questa pericope lucana, descrive questo riconoscere Cristo nel mistero eucaristico: “Il Signore sta a tavola con i suoi come prima, con la preghiera di benedizione e lo spezzare il pane. Poi sparisce davanti alla loro vista esterna, e proprio in questo scomparire si apre la vista interiore: lo riconoscono. È un vero incontro conviviale e tuttavia è nuovo. Nello spezzare il pane Egli si manifesta, ma solo nello sparire diventa veramente riconoscibile” (Gesù di Nazaret, ibid. p. 299).

La preghiera colletta della III domenica di Pasqua (A) riassume molto bene questa grazia pasquale: il dono dello Spirito di Cristo che scaturisce dalla Parola e dall'Eucaristia e trasforma il credente in un autentico cristiano, testimone coraggioso di Cristo. Domandiamo a Dio questo grazia per la Chiesa, per i cristiani di tutto il mondo: “O Dio... donaci il tuo Spirito, perché nella celebrazione del mistero eucaristico riconosciamo il Cristo crocifisso e risorto, che apre il nostro cuore all'intelligenza delle Scritture, e si rivela a noi nell'atto di spezzare il pane”.
P. joseph Heimpel, ocd

domenica 23 aprile 2017

Gesù viene incontro ai nostri dubbi


Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 20, 19-31).

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!» Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!» Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Il Risorto è presente nella sua Chiesa! La Pasqua non è conclusione di una storia…non è il “lieto fine” di una vicenda dolorosa…la Pasqua è nuovo inizio di una presenza che fonda una comunità di uomini e donne rinnovati dalla misericordia e colmati del bene supremo cui ogni uomo anela: la pace.
La Pasqua è dono di pace, ma è un dono di cui Gesù, entrando nel cenacolo in quella sera del primo giorno dopo sabato e dicendo “Pace a voi”, mostra il prezzo: le sue mani e i suoi piedi feriti, il suo cuore trafitto! Questo è il prezzo della pace e dell’uomo nuovo: un prezzo che Gesù mostra senza rinfacciare il dolore, senza rinfacciare l’abbandono, senza rinfacciare i tradimenti.
Le piaghe del Crocefisso sono al cuore della Chiesa perché al cuore di essa c’è l’amore fino all’estremo (cfr. Gv 13, 1) di Lui che l’ha creata e santificata.
Il Quarto Evangelo non ci dice che Gesù “apparve” (e neanche “venne”!), ma che Gesù “stette in mezzo [a loro]” (“éste eis tò méson”): Pasqua è, dunque, apertura di un tempo nuovo ed ulteriore, un tempo in cui si può sperimentare una presenza stabile, sicura, estesa; una presenza che la Chiesa può gustare senza più limiti di spazio e di tempo. Una presenza che c’è, e che si rinnova di continuo aprendo il tempo all’eterno… e questo in ogni giorno della storia.
L’evangelo di questa domenica ci dice che il Risorto stette in mezzo ai suoi la sera del giorno della Risurrezione e otto giorni dopo… Il giorno dell’incontro rinnovato con il Risorto è così l’ottavo giorno: se ci riflettiamo, però, l’ottavo giorno in sé e per sé non esiste (i giorni sono 7!); l’ottavo giorno è allora dizione che ci rivela che il tempo del Risorto, il tempo in cui Lui ormai sta nella sua Chiesa, è un tempo oltre il tempo: nel tempo c’è uno sprazzo di eterno che è la sua presenza, che viene a donare pace e viene a cercarci con le sue piaghe; la sua presenza trascina la storia verso l’oltre della storia, verso l’eterno.
I discepoli presenti in quella sera di Pasqua accolgono quella presenza e la riconoscono. Colgono anche la richiesta del Risorto alla loro vita di Chiesa: annunziare l’evento pasquale come luogo di misericordia e di perdono, mostrando il volto di una comunità di uomini riconciliati dall’amore fino all’estremo di Gesù.
I Dieci (Tommaso è assente) accolgono quell’invito ad essere testimoni della Risurrezione e della speranza; questo è possibile solo annunziando la remissione dei peccati con la propria vita. Annunziare la remissione dei peccati è compito ecclesiale cui adempiere con tutta la vita della Chiesa, che il Risorto ha posto nel mondo come comunità riconciliata e riconciliante.
La pace del Risorto, che raggiunge il cuore dei discepoli chiusi in quel cenacolo che è diventato la loro “tomba”, li fa partecipi della Risurrezione di Gesù: erano “morti” per la paura e per la disperazione, ma l’ingresso di Gesù apre loro nuovi orizzonti di vita e dà loro un compito preciso: testimoniare la novità! Essi lo fanno subito con Tommaso, e lo fanno anche con insistenza. Giovanni, infatti, usa qui un imperfetto per parlare della loro testimonianza: “gli dicevano” (“élegon oûn autõ”)! Il loro è annunzio reiterato ed insistente, ma Tommaso è un fallimento! In verità, anche loro non dovevano aver accolto la testimonianza di Maria di Magdala se Gesù li ha trovati “seppelliti” a porte chiuse: questa volta, però, non è la testimonianza di un singolo ma è la testimonianza della Chiesa, di tutta una comunità credente…
Dalle labbra di Tommaso rimbalza una sfida: vuole vedere anche lui, vuole toccare; vuole, in fondo, più degli altri! Tommaso poteva essere il primo dei nostri fratelli, condividendo la nostra fede al buio, una fede senza vedere; e invece no! Ha voluto aver bisogno del vedere; ha voluto essere più fratello di Pietro, di Giovanni, di Giacomo e degli altri che fratello nostro! Certo, è nostro fratello nel dubbio e nella fatica di credere!
Il dubbio… nel nostro mondo pare che avere dubbi sia molto meritorio; in realtà – spesso – risulta molto comodo, e così si fa passare il dubbio per espressione di maturità, di non creduloneria, di indipendenza. Molti sono onestamente dubbiosi e tormentati dal dubbio; per tanti, invece, il dubbio diventa un paese di disimpegno! Se Cristo è risorto, nulla può essere più come prima… ma se mi rifugio nei meandri del dubbio, allora tutto può rimanere sospeso nel mediocre, rendendo possibile rimandare decisioni e definitive prese di posizione.
Tommaso, dunque, è uno che sta imboccando questa via mortifera, una via che è anche via di peccato poiché lui è lontano dalla Chiesa proprio la sera di Pasqua, ma soprattutto perché non crede alla testimonianza della Chiesa: il suo è un peccato prima contro la Chiesa e poi contro Dio… Tommaso però viene cercato nel suo peccato da Colui che ormai sta nella Chiesa, e che egli ha rifiutato rifiutando la Chiesa.
E Gesù stette di nuovo in mezzo a loro! Tommaso ora – cercato – si arrende… ma si arrende al vedere? Tommaso si arrende in primo luogo dinanzi all’essere stato cercato e amato sul terreno della sua incredulità, del suo peccato. Tommaso si arrende a Colui che è tornato all’ottavo giorno solo per cercare lui, l’incredulo che ha sfidato Dio.
“Signore mio, Dio mio” grida Tommaso, facendo esplodere nel Nuovo Testamento la più grande confessione di fede cristologica! E da quelle labbra arrese all’amore, questa parola grande e semplice rimbalzerà sulle labbra di tutte le generazioni cristiane: generazioni più beate di Tommaso perché credono senza vedere, ma beate con Tommaso perché – come lui – amate e perdonate da Colui che ormai sta nella Chiesa, e spinge la Chiesa ad essere dimora di misericordia, dimora di fratelli tutti peccatori perdonati, tutti chiamati a perdonare e perdonarsi.
Così, e solo così, il mondo crederà senza vedere, senza vedere le piaghe del Risorto ma vedendo il frutto meraviglioso di quelle piaghe: una comunità di uomini e donne che, perdonati, si perdonano. Ecco l’unica cosa che la Chiesa deve mostrare!
p. Giorgio Rossi, ocd