Seguono oggi, nello stesso capitolo 13 di Matteo che stiamo leggendo nelle eucaristie di queste ultime domeniche, altre tre immagini del Regno di Dio. Dopo quelle della zizzania in mezzo al grano, del granello di senape e del lievito mescolato a tre misure di farina, queste altre tre: quella di un tesoro nascosto in un campo, quella della perla preziosa e, infine, quella della rete che raccoglie ogni sorta di pesci.
Come si può vedere subito e chiaramente, si tratta del Regno di Dio guardato da diversi punti di vista o nei suoi differenti aspetti. Nell’immagine del tesoro nascosto, appare la preziosità del Regno, in quella del commerciante di perle preziose in cerca della migliore, la necessità di continuare a cercarlo e, infine, in quella della rete piena di pesci buoni e cattivi, la necessità di vivere secondo la dignità di quella comunità del Regno instaurato da Gesù.
Per questo, dopo aver ripetuto la necessità di ascoltare con molta attenzione per capire bene (Avete compreso tutte queste cose?), anche se i discepoli hanno risposto di sì, Gesù aggiunge che “ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”.
Cosa vorrà dire Gesù, parlando per la prima e l’ultima volta, di uno Scriba che si è fatto discepolo del regno dei cieli? Originariamente, uno Scriba è un copista o un amanuense molto importante, soprattutto nell’antico Egitto, dove corrispondeva a un esperto nella speciale scrittura geroglifica, conoscitore dei segreti del calcolo, capace di calcolare le imposte, ecc. Tra gli ebrei era principalmente il copista degli Scritti sacri e, posteriormente, soprattutto al tempo di Gesù, si annoverava tra i maestri della Legge (Lc 5,17 e 11,45).
Se, allora, Gesù utilizza questo termine (Scriba) non familiare nel cristianesimo, vuol dire che le sue ultime parole (è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche) non si riferiscono a qualsiasi cristiano ma, in particolare, ai responsabili delle sue istruzioni. Il nuovo e l’antico può forse riferirsi all’insegnamento di Gesù (il nuovo) e a ciò che i profeti hanno detto prima (l’antico), compreso, ovviamente, alla luce della buona notizia (l’euangélion) portata dal Figlio di Dio.
Nelle parole di Gesù, infatti, il nuovo viene prima dell’antico, mentre spontaneamente uno penserebbe che l’antico dovesse venir menzionato prima del nuovo. Sembra, allora, che Gesù voglia dire che molte cose buone sono state dette prima della sua venuta (nella Bibbia e nelle diverse culture, l’egizia, la greca, la romana, la cinese, ecc.) ma che la novità di un Dio che si fa fratello di tutti, è la luce nuova che viene ad illuminare tutte le altre sapienze. Che, tra tutte le più sublimi parole di ogni filosofia o religione il Figlio di Dio incarnato [vedi l’inizio della Lettera agli Ebrei], è la definitiva.
Detto questo sullo Scriba cristiano, torniamo brevemente alle tre immagini (il tesoro nascosto, il cercatore di perle preziose, e la rete che pesca di tutto). Nelle due prime (del tesoro e della perla) si sottolinea, come già anticipato, la preziosità del Regno (la grazia di far parte dei discepoli di Gesù) e la necessità di continuare a cercare il modo migliore di farne parte. Infatti, a differenza di chi trova il tesoro in un campo senza averlo cercato, nella seconda c'è un cercatore di perle. Questo particolare indica l’importanza della ricerca della verità o del bene, perché “chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto” (Mt 7,8). La parabola conclusiva della rete, come quella della zizzania dell’altra domenica, sottolinea l’esclusione dei malvagi.
La distinzione tra pesci cattivi e buoni da parte dei pescatori giudei, dipende forse, da una prescrizione del Levitico, in cui si dice che “fra tutti gli animali acquatici ecco quelli che potrete mangiare: potrete mangiare tutti quelli, di mare o di fiume, che hanno pinne e squame. Ma di tutti gli animali che si muovono o vivono nelle acque, nei mari e nei fiumi, quanti non hanno né pinne né squame saranno per voi obbrobriosi” (11,19-10). Siccome, però, qui i pesci ci rappresentano, la questione non è avere o non avere squame e pinne, ma possedere o cercare gli stessi sentimenti di Cristo Gesù, “il quale, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil 2,5-7)