sabato 5 novembre 2022

Meditazione sul Vangelo della Domenica


 

L’esistenza di Dio si può dedurre anche dal ragionamento, quantunque, in questa materia di fede, non si arrivi molto lontano. È facendo esperienza del suo intervento nella nostra vita che il Signore diventa il compagno e il sostegno più affidabile della nostra speranza. Questo vuol dire Gesù quando, alla fine della sua risposta ai Sadducei, dice loro che Dio vuole essere cercato nella storia. Dio non è un freddo motore immobile, ma il compagno e il liberatore del popolo di Israele e di tutta l’umanità. Come dirà Santa Teresa di Gesù, non bisogna cercare Dio in cielo, ma bisogna cercare il cielo dove Egli sta, cioè, dentro di noi e nella nostra storia.

 Sì, è proprio questo che vuol dire Gesù ai Sadducei che volevano metterlo in difficoltà con l’ipotesi improbabile di una donna che era stata di sette fratelli, uno dopo l’altro, incapaci, tutti loro, di dare una discendenza al primogenito morto senza alcun figlio. I Sadducei, erano gli unici che continuavano a pensare che la vita rimanesse tutta rinchiusa nei settanta/ottanta anni possibili su questa terra. Non credevano nella risurrezione dei morti e volevano dimostrarlo anche così, con l’esempio di questo caso estremo di una donna con sette mariti.

 Proponendo questo caso, persino con accento un po' morboso, pretendono di far cadere nel ridicolo Gesù e i Farisei che, al contrario, vi credevano. “Alla risurrezione, di chi sarà moglie?”, domandano a Gesù. Tutti l’hanno avuta come moglie, e allora?

 È la loro insinuazione. Gesù però non si lascia mettere alle strette. Generare figli, risponde, non è più cosa del mondo futuro. L’argomentazione è semplice, pur non credendo nella vita futura non è possibile immaginarla uguale alla vita di questo mondo! A questo punto, credo, furono i Sadducei che cominciarono a sentirsi in difficoltà. In una supposta risurrezione, infatti, avrebbero dovuto pensare, non sarebbe più necessario sposarsi, dal momento che, non morendo più, non occorrerebbe neppure generare!

 Non solo la vita eterna è un’altra cosa, ma è lo stesso Mosè – considerato come autorità dai Sadducei e citato in materia di levirato (il dovere di dare un figlio al fratello defunto per assicurargli discendenza) – che, nell’episodio del roveto ardente, “chiama il Signore Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe”.

 Israele, infatti, ha conosciuto Dio, non in base a una riflessione teologica, ma come colui che un giorno era sceso a liberarlo dalla schiavitù dell’Egitto. Un Dio vivo che non vuole la morte di nessuno, ma desidera stare vicino a tutti. “Dio non è dei morti”, conclude Gesù, “ma dei viventi; perché tutti vivono per lui”. Israele lo sa a partire dalla sua storia e il cristiano a partire dalla passione, morte e risurrezione dello stesso Gesù il quale, morendo come noi e risorgendo come Dio, ha eliminato la morte per tutti e per sempre (1Cor 15,54).

Molto importanti sono anche le ultime parole di Gesù: “Perché tutti vivono per lui [Dio]. Parole che suscitano una riflessione esistenziale molto importante, perché la vita ha senso solo se è orientata verso Dio e verso gli altri. Chi vive solo per sé, muore dentro la sua stessa solitudine. Al contrario, chi vive orientato verso il Signore e con Lui, vive già la vita che non finisce mai.

Perché?

Perché siamo già figli di Dio, quantunque non si sia ancora manifestato in pieno ciò che saremo (1Gv 3,2).