domenica 25 settembre 2022

Meditazione sul Vangelo della Domenica



Di fronte a una parabola come quella del povero Lazzaro, non bisogna commettere l'errore di dedurre che l'insegnamento sia semplicemente quello che appare come giustizia umana. Non dobbiamo pensare, cioè, che il ricco crapulone che ha goduto di tutto in questo mondo dovrà soffrire all'inferno nell'aldilà, e solo il povero Lazzaro, che è stato tormentato in questo mondo, andrà giustamente a godere del paradiso. È spontaneo e consolante, per chi soffre, pensarlo e desiderarlo. Questo è ciò che si pensa in ogni società e in ogni religione, ma il lettore cristiano del Vangelo non può pensare che il Figlio di Dio sia venuto al mondo solo per insegnare una consolazione così elementare.

 Infatti, prendendo alla lettera l'antico insegnamento della stessa Sacra Scrittura che leggiamo in Dt 28,3-4, il ricco avrebbe potuto pensare che la sua fortuna fosse un chiaro segno della benedizione di Dio, mentre la miseria del povero mendicante fosse invece una maledizione. "Sarai benedetto nella città e benedetto nella campagna. Benedetto sarà il frutto del tuo grembo, il frutto del tuo suolo e il frutto del tuo bestiame, sia i parti delle tue vacche sia i nati delle tue pecore.

 Prendendo alla lettera testi come questo (come fanno i predicatori televisivi di alcune sette pentecostali che mostrano le loro auto e le loro ville come prova di ciò che Dio ha dato loro in cambio della loro fede in Lui), si potrebbe concludere che i ricchi sono tali perché sono premiati dal Signore e i poveri sono tali perché sono (di qualcosa) puniti.

 Ci sono, tuttavia, anche altri insegnamenti nelle Scritture. Secondo Lev 19,9-10, ad esempio, una parte del raccolto deve essere condivisa con i poveri e, nello stesso libro del Deuteronomio dove abbiamo letto le parole sopra citate sulla benedizione della ricchezza, possiamo leggere queste altre che incoraggiano, invece, la generosità: "Se vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso in una delle tue città nella terra che il Signore, tuo Dio, ti dà, non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso, ma gli aprirai la mano e gli presterai quanto occorre alla necessità in cui si trova. Bada bene che non ti entri in cuore questo pensiero iniquo: È vicino il settimo anno, l'anno della remissione"; e il tuo occhio sia cattivo verso il tuo fratello bisognoso e tu non gli dia nulla: egli griderebbe al Signore contro di te e un peccato sarebbe su di te. Dagli generosamente e, mentre gli doni, il tuo cuore non si rattristi. Proprio per questo, infatti, il Signore, tuo Dio, ti benedirà in ogni lavoro e in ogni cosa a cui avrai messo mano. Poiché i bisognosi non mancheranno mai nella terra, allora io ti do questo comando e ti dico: Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nella tua terra" (Dt 15,7-11).

 Si capisce allora perché, alla richiesta del ricco che si trova all'inferno di inviare un testimone per avvertire i suoi parenti ancora in vita di ciò che li attende se non cambiano strada, Abramo risponda che "hanno Mosè e i profeti: li ascoltino. Se non ascoltano Mosè e i profeti, anche se un morto risuscita dai morti, non lo ascolteranno".

 La soluzione è proprio qui.

Anche se un uomo morto risuscitasse, non succederebbe nulla, perché tutti continuerebbero a guardare, diciamo così, il proprio ombelico. Da parte sua, Gesù non è venuto a spaventare coloro che fanno il male con il pericolo dell'inferno, ma a dire e mostrare come fare buon uso della nostra intelligenza in quanto figli di Dio stesso. "Fatevi amici con le ricchezze di questo mondo" (Lc 16,9), aveva appena detto nella precedente parabola dell'amministratore infedele. Malvagio, ma, dal punto di vista del suo interesse, molto saggio.  

 Il seno di Abramo e l'inferno, dove finiscono rispettivamente il povero affamato e il ricco ghiottone, non rappresentano né la salvezza né la dannazione eterna. In virtù della richiesta di perdono di Gesù al Padre sulla croce, speriamo che la dannazione non tocchi né a noi né a nessun altro. Ciò che Gesù dice attraverso la parabola è un severo monito a non credere che la felicità risieda nel mangiare e nel bere spudoratamente, "perché", come si legge nella conclusione del primo dei Salmi, "il Signore conosce la via dei giusti, mentre la via degli empi si sgretola da sé" (Salmo 1,6).

 Gesù vuole dirci che vivere da figli dello stesso Padre, seguendo il suo esempio, significa, per quanto è possibile, donarsi e servire gli altri. Che ciò che ha valore nella vita e che rimarrà nostro per sempre è solo ciò che abbiamo dato agli altri. Quando Gesù raccontò la parabola, nessuno sapeva che Egli era il Figlio di Dio fattosi povero per rendere tutti ricchi e che - a questo scopo - si sarebbe lasciato prendere perfino la vita. Lui, invece, sapeva e sa tuttora che neppure la sua risurrezione sarà sufficiente, nemmeno per coloro che affermano di credere in Lui, se non si svegliano alle necessità dei loro fratelli e sorelle. Gesù è morto anche per i ricchi cinici, ma vorrebbe che il suo esempio fosse valido anche per loro, affinché il Regno di Dio crescesse, così (attraverso la generosità), su questa terra.

 A questo, infatti, si riferisce il "sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra", che chiediamo ogni giorno nel Pater. E.… confessiamolo! Tutti noi, nonostante la risurrezione di Cristo in cui crediamo e proclamiamo, siamo ancora un po' ingordi e un po’ cinici. Affinché la nostra vita corrisponda a ciò che crediamo, dobbiamo uscire dalla sterilità dell’accumulo, reale o desiderato che sia, per farci utili.