sabato 27 agosto 2022

Meditazione sul Vangelo della Domenica

 



Nonostante fosse stato invitato a mangiare in casa di uno dei loro capi, i farisei osservavano Gesù per vedere se osasse curare, nonostante fosse sabato, l'idropico che gli si era presentato proprio prima di sedersi a tavola. Lo si può leggere nella parte omessa nella liturgia di questa domenica (vv. 2-6):

 Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisia. Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: "È lecito o no guarire di sabato?". Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò. Poi disse loro: "Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?". E non potevano rispondere nulla a queste parole.

 Nonostante questa perplessità, Gesù, dopo aver chiesto ai maestri della legge e ai farisei se fosse lecito curare quel malato, ricordando loro astutamente che nessuno di loro, sebbene di sabato, avrebbe lasciato il suo asino o il suo bue a morire nel pozzo dove eventualmente fossero caduti, senza aspettare alcuna risposta, toccò l’idropico, lo guarì e lo mandò via sano.

 Il fatto che tutti lo guardassero non lo aveva minimamente turbato. Ora, anzi, poco dopo, è Lui a mettersi a osservare gli invitati, molti dei quali, stanno cercando di occupare i posti migliori. Partendo, come usa fare, dalle occasioni della vita reale (il lavoro dei campi, la pesca e, in questo caso, questa ricerca ambiziosa), inizia parlando della vera aspirazione che conta. Avendo notato che quelli che erano stati invitati avevano scelto i primi posti, afferma espressamente l'evangelista, disse loro una parabola.

 L’insegnamento che ne deduce al versetto 11 ("chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato"), è una semplice verità che chiunque può comprendere guardando al proprio ambiente, dove le occasioni di sgomitamento non mancano mai. In questo proverbio, tuttavia, il lettore cristiano del Vangelo trova molto più.  Soprattutto se legge queste parole alla luce del comportamento stesso di Gesù, il quale, come scrive Paolo ai Filippesi, pur essendo Dio, si spogliò di questa dignità, prese la natura umana e si face obbediente fino alla morte sulla croce (cf. Fil 2,6-8).

 Un atteggiamento di vera umiltà dettato dall’amore per l’umanità intera. Una umiltà che, per quanto ci riguarda, emerge anche dalla parabola del fariseo e del pubblicano (peccatore pubblico) al Tempio. Qui, il primo, proprio perché si ritiene impeccabile, è un perdente, mentre l’altro, proprio perché sa di essere indegno, un vincente. "Vi dico che questi [il peccatore]", conclude Gesù in quell'occasione, "se ne andò a casa assolto, e l'altro [il fariseo che si presumeva fosse molto osservante] no. Perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato" (Lc 18,14). 

 Proprio le stesse parole ("chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato"), ma attenzione!

 Non si tratta di una strategia (mi metto per ultimo, così sarò invitato a salire più in alto). Gesù che, come ospite, sicuramente occupa il posto di maggior onore alla tavola di quel maggiorente, non sta proponendo un metodo per ottenere sempre di più, ma indica il cammino che percorre Lui nella vita. La motivazione che spinge a seguir Lui non risiede, dunque, nella speranza di un maggior profitto, fosse pure spirituale, ma nell’amore del bene come tale. Non per meritarsi un premio o meriti celesti, ma per lo stesso amore che muove Gesù verso di noi.  

 Se non si tiene conto che Gesù, pur ironizzando sulle ridicole ambizioni dei commensali di quel giorno, vuole insegnare il proprio modo di intendere la vita, il suo monito ("chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato") potrebbe muoverci al sorriso o, al massimo, costituire una lezione di bon ton. Il lettore, quindi, ma anche i sacerdoti che spiegano questo passo, devono tenerne conto, poiché si tratta sempre dello stesso Vangelo di Gesù e, quindi, della stessa logica.