Un giorno uno della folla disse a Gesù: "Maestro, di' a mio fratello che divida con
me l'eredità". Da parte sua, Gesù gli rispose: “O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?”.
Il problema era la distribuzione delle terre tra i figli.
Essendo grande la famiglia, c’era il pericolo che l’eredità si dividesse in piccoli
frustoli di terra che non avrebbero potuto garantire la sopravvivenza di quei
beni. Per questo, per evitare la disgregazione dell’eredità e mantenere vivo il
nome della famiglia, il primogenito riceveva il doppio degli altri figli (cfr.
Dt e 2Re 2,11), come può essere avvenuto nel caso di quell’uomo desideroso di
recuperare la sua parte. È solo un’ipotesi sulla circostanza, del resto, senza
particolare incidenza sul significato del dialogo tra quell’uomo e Gesù.
Nella risposta di Gesù (“O
uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?”)
risalta la coscienza che Egli ha della sua missione in questo mondo, ove non è stato
inviato dal Padre per risolvere semplici controversie tra i parenti per ciò che
deriva dai beni materiali. Sono cose che devono risolvere tra loro. Il Figlio
di Dio è venuto per insegnare come amministrare la vera ricchezza, cioè, la
propria vita, perché ciò che importa è guardarsi da qualsiasi cupidigia.
Infatti, “anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli
possiede”. Una verità che Gesù cerca di
spiegare per mezzo della parabola che segue immediatamente il colloquio con
l’uomo in conflitto col suo fratello.
La missione di Gesù non consiste nel sostituirsi a noi e
risolvere magistralmente problemi familiari e sociali, ma nell’illuminarci sul
senso profondo della vita. Bisogna ricordarsi di ciò che ha detto a proposito della
preghiera. Possiamo chiedere qualsiasi cosa, ma Dio ci darà solo cose veramente
buone e lo Spirito per comprenderle. Con questa parabola vuole dirci che
la ricchezza di una persona non sta nel possedere molte cose, ma nell’essere
ricca dentro, cioè, nell’essere una presenza positiva.
Chi pensa solo a possedere (accumulando molti beni), dimentica l’importanza di vivere come
figlio del Padre, cioè, ricco agli occhi
di Dio. Da parte sua, con la sua condotta, prima che con le sue parole,
Gesù insegna che chi vuole essere il primo, deve voler essere l’ultimo. Che è
meglio dare che ricevere. Che il più grande è chi si considera il meno
importante. Che salva la sua vita solo chi è capace di donarsi per gli altri,
perché solo questo (ciò che ha dato di sé) rimane per sempre.
La parabola tratta, cioè, della stoltezza dell’avidità, di
quel desiderio imperioso di accumulare beni senza freno. Questa ambizione non
solo mette i beni materiali al posto di Dio, ma è anche un atto di totale
indifferenza verso le necessità degli altri, ai quali il protagonista della
parabola non dedica neppure un momento di attenzione.
È vero che la parabola non parla di ingiustizia o di cattiveria
da parte del ricco proprietario terriero, e non è per questo che vi è detto stolto. Né tanto meno perché non sia un buon amministratore!
Risulta essere stolto, perché vive
solo per se stesso, fa progetti solo per se stesso, e perfino si congratula con
se stesso.
Questo, è il suo problema!
Come dimostra la sua morte improvvisa, è solo! Colui che
sembrava così assennato nel coltivare i suoi campi si rivela un povero sciocco
che si auto condanna al nulla. Infatti, come dichiara Gesù altrove, "che
giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde o rovina se
stesso?" (Lc 9,25).
Qui, alla fine della parabola, proprio mentre quel
proprietario terriero si va dicendo che ha beni accumulati per molti anni che
gli permetteranno di riposare, mangiando, bevendo e banchettando felicemente,
Dio gli dice: "Stolto, questa notte reclameranno la tua anima, e di chi
sarà quello che hai messo da parte?”. Mentre l'uomo della parabola si sente
dire questo, Gesù conclude: "Così è di chi accumula tesori per
sé e non si arricchisce presso Dio".
Essere "ricchi presso Dio" significa condividere
con gli altri, pensandoli come il Padre di tutti li pensa e ci pensa.