Togli prima la trave dal tuo occhio
(Lc 6,39-45)
Togli prima la trave dal tuo occhio!
Non
tutte le parole che dice Gesù devono essere originali. Fattosi in tutto come
noi eccetto il peccato, anche il Figlio di Dio partecipa della nostra cultura e
anche lui raccoglie alcune massime comuni come quelle presenti in questa pagina
di Vangelo. Che un cieco non possa guidarne un altro, che, invece di guardare i
difetti degli altri, dobbiamo guardare i nostri, e che i frutti buoni e quelli
cattivi dipendono dalla qualità degli alberi che, nel male e nel bene, ci
rappresentano, sono cose ben conosciute. È sufficiente la semplice
osservazione, non occorre essere molto intelligenti.
“Molto
tempo fa, il Dio Prometeo, nel plasmare gli uomini”, si può leggere, per
esempio, in una nota Favola di Esopo, “diede
loro due bisacce. In una di queste si
dovevano mettere i difetti altrui e nell’altra, i difetti propri, ma l’uomo
decise di collocare la bisaccia dei difetti altrui davanti e quella dei difetti
propri, dietro le sue spalle. In tal modo, non vedeva mai i propri difetti,
mentre aveva sempre presenti quelli degli altri”.
Ciò che molto spesso succede a molti di
noi, vero? Infatti, tendiamo facilmente a vedere i difetti degli altri e poche
volte i nostri. Non sono, allora, i detti il luogo ove cercare la novità
evangelica di queste parole, ma in Chi le pronuncia e nel valore
che conferisce loro la Sua condotta. Per prima cosa, dobbiamo ricordare che
Gesù ha appena finito di parlare del dovere di essere misericordiosi come il Padre del cielo. Infatti, è per non guardare
al Padre che non abbiamo chiara la vista e, per questo, non
possiamo pretendere di guidare gli altri prima di averlo appreso dal Maestro.
Non per niente Gesù aggiunge che il
discepolo potrà parlare come il suo maestro, solo “quando avrà finito di
imparare”. Cioè, mai, perché rispetto a Gesù, tutti rimaniamo discepoli fino
alla fine della vita. Umiltà, allora, vuol dirci il Signore. Non
pretendiamo di guidare gli altri, perché il Maestro è Lui, né permettiamoci di
correggere gli altri senza pensare ai nostri difetti, forse, molto più
sgradevoli di ciò che ci scandalizza negli altri. “Perché guardi la pagliuzza
che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo
occhio?”, ci dice Gesù, esortandoci, di nuovo, a ricordare la misericordia con
la quale il Padre sempre ci guarda.
La nostra mente deve fissarsi più sui
diecimila talenti che il Padre ci ha condonato che sui cento denari che il
fratello ci deve (Mt 1,23-35)! Solo così, non saremo più ciechi che pretendono
di guidare gli altri. Ipocriti! Se non ci comportiamo così, siamo ipocriti, non tanto perché fingiamo, ma perché pretendiamo di essere buoni quando non lo siamo.
Le immagini che seguono di alberi e
frutti sembrano voler dire altro, ma non è così, dal momento che quando c'è
vero amore del prossimo, gli atteggiamenti pretenziosi di guidare e correggere
gli altri pensando di essere migliori, non hanno più luogo e i nostri frutti
sono buoni. “Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo”, aggiunge
Gesù. Solo se siamo rovi non possiamo produrre fichi, né grappoli se siamo
spine. “L’uomo buono”, al contrario, “dal buon tesoro del suo cuore trae fuori
il bene”.
Come risulta chiaramente, la bontà o la
cattiveria non stanno nelle cose che si fanno, ma nel cuore dal quale escono o
non escono i sentimenti appresi alla scuola di Gesù. Questo, vogliono
sottolineare le Sue ultime parole: “La bocca infatti esprime ciò che dal cuore
sovrabbonda”. Sì, ciò che realmente importa è la bontà dei nostri pensieri.