sabato 1 gennaio 2022

Meditazione sul Vangelo della seconda Domenica dopo Natale






E il Verbo venne ad abitare in mezzo a noi

 

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.  2Egli era, in principio, presso Dio: 3tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. 4In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; 5la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta. 6Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. 7Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. 8Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. 9Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. 10Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. 11Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. 12A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, 13i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. 14E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. 15Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». 16Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. 17Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. 18Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.  (Gv 1, 1-18)

 

 

In principio!

Le stesse parole dell’inizio della Bibbia (Gen 1,1: “In principio Dio creò il cielo e la terra”), anche se con una tonalità diversa. Qui si parla, infatti, della nuova creazione per mezzo dell’Incarnazione del Figlio di Dio, ma il principio non è quello del tempo (la creazione), ma dell’eternità.

 Per tre volte, riferita al Verbo, ritorna la terza persona del greco eimi all’imperfetto (era), ma con tre significati distinti. Il primo, infatti, indica la sua esistenza eterna (In principio era il Verbo), il secondo, la sua relazione col Padre (era presso Dio) e, il terzo, l’affermazione della sua divinità (era Dio).

 Il Verbo (Logos) è la Parola di Dio in azione, ossia, la parola con la quale crea (Gen 1, 3), si rivela (Amos 3, 7-8) e redime (Salmo 107, 19-20). Il testo continua dicendo che “tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste”, ma l’evangelista non parla né in chiave cosmologica né teologica. La sua intenzione è quella di introdurre l’evento dell’incarnazione che dichiara apertamente nel versetto 14, dove si leggono queste parole: “E il Verbo [la Parola per mezzo della quale è stato fatto tutto ciò che esiste] si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”.

 Un’affermazione già implicita nelle parole del versetto 4 (“In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini”) e in quelle del versetto 5 (“le tenebre non l'hanno vinta”), espressione che è, forse, migliore della traduzione tradizionale, sebbene altrettanto vera (“non l’hanno accolta”). Nel senso che, sebbene la luce di Gesù non fu accolta dalla “tenebra” di questo mondo, continua, di fatto, a brillare per sempre.

 Dopo la parentesi dedicata alla venuta e al ruolo del precursore (Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni…) nei versetti 6-8, e la ripetizione con altre parole della luce del Verbo non accolta (vv. 9-10), tutto diviene molto concreto. “Venne fra i suoi”, scrive l’evangelista, parlando del popolo di Israele dove Gesù è nato, “e i suoi non lo hanno accolto” (v. 11).

 Sì, perché è questo ciò che avvenne. Nella sua terra e dal suo popolo, il Figlio di Dio non fu accolto e infine fu condannato come un malfattore. La sua fine, tuttavia, è stata giudicata un fallimento solo agli occhi del mondo, ma non agli occhi dei credenti. Per gli storici del tempo, Gesù fu “un ebreo marginale” (John P. Meier), ma i credenti sanno che, a loro, “ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati(vv. 12-13).

 I credenti giungono a dimostrare con la vita che sono, davvero figli di Dio. Questo, infatti, sembra essere il significato della misteriosa espressione giovannea (ha dato potere di diventare figli di Dio). La distinzione tra quelli sì e quelli no, riguarda solo l’aspetto soggettivo o la consapevolezza operativa. Tutti sono figli di Dio, salvati, dato che Gesù ha dato la vita per tutti, ma pochissimi lo sanno (perfino tra quelli che ne sono informati catechisticamente e teologicamente). Anche questi, purtroppo, non hanno il “potere” (l’exousía), la capacità di agire da figli come i veri discepoli, canonizzati o no, poiché se uno dice di amare Dio, ma non ama il fratello è un mentitore (cf. Gv 4,19-5,4).