“Il mio regno non è di questo mondo”
33Pilato allora rientrò nel pretorio,
fece chiamare Gesù e gli disse: "Sei tu il re dei Giudei?". 34Gesù rispose: "Dici questo da
te, oppure altri ti hanno parlato di me?". 35Pilato disse: "Sono forse io
Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa
hai fatto?". 36Rispose Gesù: "Il mio regno non è di questo mondo; se il
mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché
non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù". 37Allora Pilato gli disse: "Dunque
tu sei re?". Rispose Gesù: "Tu lo dici: io sono re. Per questo io
sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla
verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce". [38Gli dice Pilato: "Che cos'è la
verità?".]
“Re dei Giudei” non è un titolo cristiano. Sono quelli che lo
hanno consegnato a Pilato che lo hanno presentato così per motivare la sua
condanna come uomo pericoloso anche per la dominazione romana. Per questo, alla
domanda di Pilato che gli chiede questo (Sei tu il re dei Giudei?) Gesù gli
risponde: “Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?”.
Una domanda, con la quale Gesù, da accusato diventa
inquisitore e Pilato si vede costretto a difendersi. “Sono forse io Giudeo?”
risponde. “La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa
hai fatto?”. Ed è allora che Gesù, come riconoscendo l’estraneità culturale di
Pilato nella sua condanna, lo va ad istruire. “Il mio regno”, gli dice, “non è
di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori
avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non
è di quaggiù”.
Le autorità sacerdotali di Israele lo hanno consegnato [lo
stesso termine riferito al “tradimento-consegna” di Giuda Iscariota] con il
pretesto che Gesù stia tentando di diventare il Messia, cioè “re dei Giudei”,
un re che, in pratica, si metterà contro i romani.
La regalità di Gesù, al contrario, non è di questo tipo, ma
solo spirituale. La sua sovranità viene dall’alto. Gesù non può esercitarla con
atti di forza visibili perché, da una parte, non ha soldati e, dall’altra,
neppure desidera chiamare in sua difesa gli angeli. Nato da donna e fattosi,
eccetto il peccato, in tutto come noi, Gesù desidera realizzare la sua opera di
pace senza nessun privilegio, cioè, nella condizione di nostro fratello
maggiore.
Ascoltando quella precisazione di Gesù che, tuttavia,
ammette di avere un certo potere regale, Pilato riprese l’argomento: “Allora”,
gli disse, “tu sei re?”. “Tu lo dici: io sono re”, rispose Gesù. “Per questo io
sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla
verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”. Se dopo la
moltiplicazione dei pani, Gesù, “sapendo che venivano a prenderlo per farlo re”
(Gv 6,15), si era ritirato sul monte, ora che sta per manifestare quale sia il
suo modo di esserlo, cioè dando la vita, difende questo titolo.
Il povero Procuratore romano, non essendo suo discepolo, non
“è della verità”, ascolta la sua voce, ma non capisce né può capire. Anche
perché la verità di cui parla Gesù non può essere definita con parole. Per
questo, alla ulteriore domanda di Pilato (“Che cos’è la verità?”), Gesù rimane
in silenzio e non parla più. La Verità, come sanno i credenti, è lo stesso Gesù
e per comprenderlo c'è solo un modo, stare con Lui e accettare la sua regalità
di amore. Desiderare, concretamente, che Gesù sia sempre di più nostro Re,
l’unico che serve con verità piena, cioè con la propria vita, la verità della
nostra.
Una curiosità!
Anagrammando, su suggerimento di un antico monaco copista,
la domanda di Pilato (“che cosa è la verità”) come la leggeva nell’antica
versione latina (QUID EST VERITAS?), questo sarebbe il risultato: EST VIR QUI
ADEST (è l’uomo che è qui, Gesù). Al Procuratore romano Gesù non lo disse, ma
noi lo sappiamo e vogliamo apprenderlo ancora di più, regnando come Lui e con
Lui.
Festa di Cristo Re
L’anno 325, nel primo concilio ecumenico celebrato nella
città di Nicea, in Asia Minore (l’attuale Turchia), si definì la divinità di
Cristo con queste parole: “Cristo è Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero”.
Nel 1925 (1600 anni dopo), Pio XI proclamò che il miglior modo perché la
società civile ottenga “giusta libertà, tranquillità e disciplina, pace e
concordia” è che gli uomini riconoscano, pubblicamente e privatamente la
regalità di Cristo.