MEDITAZIONE
In questa pagina del Vangelo di Giovanni quelli che ci rappresentano sono alcuni greci che sono saliti a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Sono dei pagani convertiti al giudaismo e avendo sentito parlare di Gesù desideravano vederlo da vicino. Lo chiesero a Filippo, il quale lo disse ad Andrea e insieme andarono a dirlo a Gesù.
Ci aspetteremmo che Gesù rispondesse che potevano condurli a Lui, come nel caso del cieco di Gerico o dei bambini che desideravano avvicinarsi a Lui e i discepoli non volevano che lo disturbassero. Ma qui non si tratta, né di bambini né di malati, ma di adulti sani che devono sapere, che voler vedere Gesù, vuol dire conoscerlo fino in fondo. Manca poco alla sua passione e devono esserne coscienti tutti, a cominciare dai discepoli più vicini, i Dodici. Anche loro non lo comprenderanno, ma Gesù parla loro affinché nel giorno in cui lo Spirito li illuminerà sul valore della sua morte, si ricordino che Egli era andato coscientemente incontro a questa sorte. Lo aveva già detto chiaramente un giorno: “Nessuno me la toglie, la vita: io la do da me stesso” (Gv 10, 18).
Questi pellegrini greci desiderano vederlo? Sappiano allora, ciò che gli avverrà tra poco. Non è più il tempo di ammirare prodigi, ma solo ciò che spaventa lo stesso Gesù. Questo vuole dire Lui quando, a Filippo e ad Andrea venuti a parlargli di quei greci, risponde che “è venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato”. Parla di glorificazione, ma questo non significa ciò che si può pensare spontaneamente. Si tratta della gloria che nasce dal morire affinché altri possano vivere. “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore”, aggiunge, “produce molto frutto”.
Parla di se stesso in vista del giorno in cui, soprattutto i discepoli, lo capiranno. Per questo prosegue dicendo: “Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà”.
Dice questo per loro e per noi, senza, tuttavia, nascondere neppure i propri conflitti interiori. “Adesso”, dice, infatti, “l'anima mia è turbata”. Confessa di essere turbato, ma anche qui – come nel momento della sua agonia nel Getsemani dirà al Padre “non la mia volontà, ma la tua” – dopo essersi interrogato sull’opportunità di chiedere di essere liberato da quella terribile sorte, aggiunge subito la sua disponibilità. “Adesso”, ammette, “l'anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora?”. In tutto come noi, sarebbe questa, anche per Gesù, la richiesta da fare. “Ma proprio per questo sono giunto a quest'ora!”. E aggiunge: “Padre, glorifica il tuo nome”.
La gloria del Figlio e la gloria del Padre sono una cosa sola e, come dirà in un’altra occasione, “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15, 13). Infatti, quando Egli chiede che il Padre glorifichi il suo Nome, una voce dal cielo afferma che è Lui, colui che è glorificato: “L'ho glorificato e lo glorificherò ancora!”. Questa voce, disse allora Gesù alla gente che pensava fosse un tuono, “non è venuta per me, ma per voi”.
E va loro spiegando che quanto sta per avvenire, li spaventerà, ma che un giorno lo capiranno. “Ora”, dice, parlando della sua morte, “è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”.
Potrebbe aver parlato ancora del serpente di bronzo elevato nel deserto, come aveva fatto con Nicodemo, poiché l’elevazione alla quale si riferisce non è neppure qui la sua ascensione al cielo, ma quella della croce. Infatti, l’affermazione di Gesù (“quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”), l’evangelista la spiega così: “Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire”. Su quel patibolo dal quale continua ad attirare tutti a Sé.
Bruno Moriconi, ocd
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