III Domenica Tempo Ordinario
I due brani della Liturgia di questa domenica, uno
dell'Antico Testamento che contiene la promessa e uno del Vangelo che contiene
la realizzazione, annunciano la gioia per la presenza del Messia. Il profeta
esulta per la gioia che Dio dona nel presente. La memoria del passato per
l’infelicità per la schiavitù, l’oppressione e le tenebre, lascia il posto alla
liberazione, alla festa, alla letizia e alla luce. Al popolo che cammina nelle
tenebre, incatenato e desolato verso l’esilio, la vera notte dell’abbandono e
della perdita di ogni riferimento verso Dio, il profeta annuncia la liberazione
e il ritorno in patria in gioia. Il contrasto tra le tenebre e la luce evoca
anche il sorgere del sole a cui la mentalità del tempo paragonava l'avvento del
re. Viene così preparato l'oracolo sul fanciullo regale che segue nel testo e
non è compreso dalla lettura.
Non c’è nessun momento nel cammino personale o
comunitario in cui non ci sia un annuncio di liberazione, di gioia. Dio era
sempre vicino, sempre accompagnava il popolo, anche se questo non ne faceva
esperienza. La presenza di Dio, custodita nella memoria delle sue promesse, ci rende
attenti ad ogni voce di gioia, di liberazione per far vivere la vita come una
festa, un regalo di Dio.
Il vangelo di Matteo riprende questo testo di Isaia a
proposito del ministero di Gesù in Galilea. La terra di Zabulon e di Neftali
situata a nord ovest del lago di Tiberiade è la regione chiamata anche via del
mare perché collegava la costa dalla Galilea con Damasco; è anche la stessa
regione chiamata territorio dei gentili perché abitata da una popolazione mista
di pagani e ebrei. Gesù inizia la sua vita pubblica e la sua predicazione
richiamando l’annuncio di liberazione e di gioia del profeta Isaia, proprio
nella regione che un giorno vide le schiere degli ebrei prendere la via
dell'esilio. La presenza di Gesú in questo luogo appare all'evangelísta come il
« sí » di Dio alle sue promesse: « Perché si adempisse ciò che era stato detto
per mezzo del profeta Isaia ». Le
annotazioni geografiche hanno lo scopo di sottolineare l'adempimento della
profezia messianica di Isala.
Gesù è presentato come il messia che insegna e
guarisce, due temi che saranno ripresi nel discorso delle beatitudini e
nell'esperienza dei miracoli. Le domeniche tra l'Epifania e la Quaresima
presentano il compimento delle profezie in Gesù. Gesú è la grande luce spuntata
per ogni uomo: « lo sono la luce del mondo ». Cosa significa la luce? Significa la via, la verità e soprattutto la
vita, la sicurezza del cammino da percorrere, l’amico che ci accompagna e ci
porta a Dio: «Nessuno può venire al Padre se non per mezzo mio» (Gv. 14, 6). Ma
il compimento delle promesse in Gesù è anche la gioia. Tutto il senso della sua
vita sembra racchiuso in queste parole pronunciate alla vigilia della sua
morte: « Perché la mia gioia sia in voi »; « perché la vostra gioia sia piena »
(Gv. 15, 1 1; 16, 24). La parola stessa
« Vangelo » significa buona novella, cioè annuncio di letizia e li gioia. «
Sono venuto a portare la vita », dice Gesú Gv. 10, 10) e la gioia non è altro
che la vita, la pienezza della vita. San
Paolo esortava i discepoli dicendo: « Fratelli, siate lieti, ve lo ripeto,
siate lieti » (Fil.1,4).
Questa letizia e gioia intuirono i primi quattro
discepoli quando udirono il predicatore della Galilea che li invitava a
seguirlo: Venite, seguitemi, Vi farò pescatori di uomini. La novità di è
l’iniziativa di Gesù a seguirlo. Gesù chiama, sceglie i discepoli, quelli che
egli volle. Teresina ne parla come del mistero della sua vocazione carmelitana
e del mistero delle grazie divine che comprende di aver ricevuto.
Ogni credente si trova con i primi quattro discepoli
in quel giorno ad ascoltare l’invito di Gesù: Vieni, Seguimi. Non c’è gioia
maggiore nella vita del comprendere di essere sotto lo sguardo del Signore. Ma
questo significa che il Signore che mi ha invitato a seguirlo continua a
chiamarmi ogni giorno, continua ad accompagnarmi nella vita anche in quei
momenti in cui non capisco, non voglio capire e tutto mi sembra così oscuro. La
gioia dilata poi il cuore quando si capiscono i doni di Dio nella vita. Più
comprendiamo le grazie che Dio ci ha fatte, più dovremmo ringraziare. In un
testo teresiano letto male e tradotto peggio si legge: “Quanto più avremo
compreso di aver ricevuto, tanto più ci saranno date maggiori o minori grazie”
(quinte dimore del castello interioe). La liturgia ci aiuta ricordandoci che “è veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e
fonte di salvezza, lodarti e ringraziarti sempre per i tuoi benefici, Dio
onnipotente ed eterno. Tu non hai bisogno della nostra lode, ma per un dono del
tuo amore ci chiami a renderti grazie; i nostri inni di benedizione non
accrescono la tua grandezza, ma ci ottengono la grazia che ci salva, per Cristo
nostro Signore” (Prefavio IV).
San paolo parla del discepolato, di chi e chiamato a
seguire Gesù, come del collaboratore della gioia di Gesù. Se non dà gioia, il
Vangelo non è vangelo, ma solo una costruzione umana. San Paolo definisce la
gioia come primo dei frutti dello Spirito, seguita a ruota dalla pace (Gal
5,22).
Gesù porta a compimento la sua promessa: “La mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia
piena” (Gv 15,11). Come non ricordare la prima santa cilena, Teresa de los
Andes, che ha coniato la frase: “Dio è gioia infinita”. Ricordiamoci di quel bellissimo testo che dice: « La
gioia del Signore è la nostra forza » (Neh. 8, 10).
P. Fabio Pistilio ocd