MEDITIAMO CON P. RODOLFO GIRARDELLO
DOMENICA XII
(19 giugno 2016)
Ci avviciniamo alla festa di S. Pietro, nella
quale ricordiamo la professione di fede che, secondo il vangelo di Matteo (16,
13-21), il primo degli apostoli fa di Cristo (“Tu sei il Cristo, il Figlio di
Dio”) e la promessa della consegna delle “chiavi” che Gesù, con straordinaria
fiducia verso un uomo tanto fragile quale è Pietro, gli fa in contraccambio, sapendo che tanto la
professione quanto la promessa sono legate alla bontà e grazia del Padre
celeste.
Nel vangelo di Luca (9, 18-24)
proposto in questa domenica si ritrova lo stesso episodio della professione, ma
in modo abbreviato e con elementi diversi rispetto a Matteo. Infatti l’evangelista
Luca, per mettere in luce l’importanza di questo momento, sottolinea che il dialogo di Gesù con gli
apostoli avviene dopo che Gesù ha pregato. In Luca la preghiera scandisce
sempre i momenti decisivi della missione pubblica del Maestro, come per esempio
quando egli compie la scelta dei suoi apostoli (Lc 6,12).
Gesù dopo il colloquio con il
Padre riprende l’interrogativo che già i discepoli, dopo essere stati salvati
dalla tempesta sul lago, si erano posti: “Chi è dunque costui?”(Lc 8,25). Essi,
senza sapersi rispondere, gli hanno già concessa la propria fiducia e sono
andati ad annunciare il Regno, accettando le sue severe norme di comportamento
in quella spedizione missionaria(Lc 9, 1-6). Ma tuttavia non hanno ancora
capito neanche il fatto strepitoso della moltiplicazione dei pani perché non
hanno colto il significato profondo che Gesù intendeva dare a quel miracolo
inaspettato (Lc 9, 10-17).
Ora però è Gesù che pone la
domanda, per dare alla fine lui stesso la risposta giusta. Gli apostoli tentano,
sì, nella persona di Pietro, un primo approccio al mistero di Gesù. E il loro
giudizio si distingue nettamente dalle opinioni correnti, perché la gente comune
è esposta alle impressioni viscerali e alle deduzioni più varie, che sono anche
ovvie in chi non ha un rapporto vivo e
familiare con il Maestro (e Gesù lo sa: non per niente ha scelto i Dodici che
stiano con lui abitualmente, cosa che risulterà
fondamentale quando si tratterà
di testimoniare soprattutto sulla risurrezione).
Nella struttura che Luca dà al
dialogo di Gesù con i suoi possiamo rilevare un crescendo in quest’ordine:
prima la gente che definisce Gesù un profeta, poi gli apostoli che dichiarano
che egli è il messia, infine Gesù stesso che si presenta come “il Figlio
dell’uomo” che deve morire e risorgere: e Figlio dell’uomo corrisponde a Figlio
di Dio, come temono i suoi nemici che lo crocifiggeranno per questo e come riconoscerà
con umiltà il centurione.
Impressiona qui quell’incalzare
di Gesù che, conoscendo bene i Dodici, li vuole snidare e chiede netto a loro: “E per
voi chi sono io?”, perché è magari evidente anche per essi che non sono come
gli altri e non possono rimanere in una posizione di incertezza e attesa.
La rivelazione piena però della profonda
identità di Gesù è rimandata volutamente da Gesù stesso a dopo la risurrezione.
Gli apostoli lo vedono come il messia, anzi Pietro lo chiama “Figlio del Dio
vivo” tanto che Gesù, dice il vangelo, “ intimò loro di non dirlo a nessuno”;
ma sappiamo dall’evangelista-apostolo Matteo che Pietro stesso, che ha pur parlato
sotto l’ispirazione del Padre Celeste, non coglie il valore della sua
confessione e per primo reagisce male alla previsione sia della morte
ignominiosa che della resurrezione gloriosa di Gesù. Cioè egli resta ancora
lontano dal progetto di Dio e quindi dalla vera persona di Gesù; e il Maestro,
che non vuole suggerimenti quando l’apostolo torna ad obiettargli da piccolo
uomo, gli dice con durezza: “Via da me, Satana! Tu sei un ostacolo per me,
perché non pensi come Dio, ma come gli uomini”.
Pietro pensa da semplice uomo,
mentre tutto è più grande, è divino: sia la realtà di Gesù Figlio di Dio, sia
la sua capacità di donarsi a noi fino a confondere la nostra miope
intelligenza. Infatti il compimento del progetto di Dio nella persona del suo
Amato Figlio passa per la passione e chi potrebbe umanamente immaginarlo? E’
vero che anche noi uomini capiamo che non c’è amore più grande di chi dà la
vita per un altro. Ma Luca insiste particolarmente sulla “necessità” della
passione del messia (cfr 13,33), necessità che non significa una decisione
arbitraria del Padre, quasi che voglia a tutti i costi un’esperienza dolorosa
del Figlio, e neppure significa una visione fatalistica della vicenda umana di
Gesù, ma rivela lo stile “eccessivo” di Dio che agisce sempre al di là di ogni previsione e ogni merito
dell’uomo.
L’uomo non deve accontentarsi di
quello che il suo sguardo limitato gli permette di vedere: deve entrare nella
logica di Dio, che in un certo modo sarebbe anche la logica del buon senso,
come Gesù fa notare: “Che giova infatti all’uomo se guadagna il mondo
intero e perde e rovina se stesso?” (Lc
9, 24-25). Sul piano semplicemente umano è da stolti trascurare se stessi per
chissà quale successo (“guadagnare il mondo intero”). Ma bisogna che andiamo
oltre per non rischiare di cercare solo noi stessi e non già Dio: “Chi vorrà
salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la
salverà”. Con quel “per me” Cristo quale vero Figlio di Dio ci ricorda che bisogna
che ci mettiamo sul nuovo piano del
rapporto nostro con lui e che facciamo
spazio a lui, poiché da vero Salvatore restituisce l’uomo all’uomo quando questo
gli si consegna e vive per lui. “La vita per me”: ecco l’ideale che Gesù ci
consegna.
p. Rodolfo Girardello ocd