MEDITIAMO CON P. ALDO FORMENTIN
QUINTA DOMENICA DI QUARESIMA
1s 43,16-21; Fil
3,8-14; Gv 8,1-11
La misericordia è il futuro della nostra libertà
« Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo,
perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante
il limite del nostro peccato»
[Papa Francesco, Misericordiae Vultus n.2]
1.
«Neanch’io ti
condanno».
Tutti i testi di questa Domenica additano nel futuro la
salvezza di Dio, che crea la realtà nuova verso cui noi camminiamo. E questo
proprio come preparazione alla settimana di passione. È proprio qui che la «realtà nuova», la salvezza definitiva
viene realizzata. Anzi, tutta la nostra vita dovrà consistere nell’accostarci a
questa azione di Dio.
Il Vangelo ci mostra dei peccatori che
di fronte a Gesù accusano un’altra persona peccatrice. Gesù, che scrive per
terra, è come assente. Solo due volte interrompe il suo silenzio: la prima, per
raccogliere accusatori e accusata nella comunione della colpa:“Chi di voi è senza peccato getti per prima
la pietra contro di lei”; la seconda volta - non potendo più nessuno
accusare un altro - per manifestare il suo perdono: “Donna dove sono? Nessuno ti ha condannata?... Neanch’io ti condanno”.
Di fronte al muto dolore di Gesù per tutti, anche ogni accusa
deve ammutolire, poiché «Dio ha rinchiuso tutti nella stessa
disobbedienza», non per punirli – come gli accusatori vorrebbero – ma «per aver misericordia di tutti» (Rm
11,32). Che nessuno possa accusare la donna lo si deve non soltanto alle prime
parole di Gesù, ma di più alle seconde. Egli, infatti, ha patito per tutti per
acquistare per tutti il perdono del cielo e – a causa di questo – nessuno può
più accusare l’altro davanti a Dio.
2.
«Dimentico ciò
che sta dietro di me».
Paolo nella seconda lettura è del tutto
sopraffatto dal perdono che Dio dona attraverso la passione e la risurrezione
di Gesù. Nessun’altra cosa ha ancora valore accanto a questa verità: tutto
viene gettato via come «spazzatura» per raggiungere l’evento della Passione e
della Pasqua di Cristo. “Per lui ho lasciato
perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed
esser trovato in lui… perché io possa conoscere lui, la potenza della sua
risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte
nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti.”
Egli sa che tutto questo che è successo è il nostro vero
futuro verso cui camminiamo, a cui andiamo incontro. E camminando su strada
diritta, senza guardare né a destra né a sinistra: solo con la «mèta davanti agli occhi»!
E siccome la mèta è presenza – l'uomo è da Cristo già «afferrato» – occorre corrergli incontro,
senza l’idea di aver lui stesso afferrato. Paolo lo afferma due volte: “Non ho certo raggiunto la mèta, non sono
arrivato alla perfezione, ma mi sforzo per conquistarla … non ritengo ancora di
averla conquistata”…
Il cristiano non
guarda indietro, ma sempre in avanti: tutta la sua esistenza riceve il suo
senso da questa corsa. “So soltanto questo:
dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di
fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in
Cristo Gesù”.
Se noi andiamo incontro a Cristo, ogni sguardo indietro alla
colpa commessa per crucciarci di essa non può che far danno, perché essa è
perdonata!
3.
«Ecco, faccio una
cosa nuova».
La prima lettura ci ricorda che già
l'Antico Testamento ha fatto dello sguardo verso l’avanti un comandamento: «Non ricordate più le cose passate, non
pensate più alle cose antiche».
In Israele era un costume profondamente inciso quello di
ripensare all'inizio della salvezza, alla liberazione dall'Egitto, certamente
con l'idea che questa memoria dell'inizio dovesse fortificare la fede nel Dio
che ora camminava con il popolo. Ma Dio non vuole che essi restino fermi a
questo sguardo all'indietro, soprattutto non ora che questo sarebbe un
ripensare al tempo dell’esilio: egli promette una «cosa nuova». Qualcosa che viene già in primo piano: “Proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?”.
La sua venuta si può proprio «notare»… come nel Nuovo Patto lo Spirito Santo,
che viene donato ai credenti come «caparra» per la vita eterna.
Così Dio apre una via per Israele attraverso il deserto della
storia verso la salvezza: “aprirò anche
nel deserto una strada”. E per noi, che siamo salvi proprio attraverso il
suo perdono, apre una via verso l'eterna beatitudine…
Ed è proprio l’esperienza
di questa beatitudine che S. Teresa di Gesù ci insegna quando nel Libro della
sua Vita scrive: “Mi conforta sentir
battere l’orologio, perché mi sembra di avvicinarmi un pochino di più al
momento di vedere Dio, costatando che è passata un’ora di vita”![V 40,20].
L’Addolorata ci accompagni lungo la Via Dolorosa in questo
Tempo di Passione, affinché il seguire l’Uomo dei Dolori – Gesù – confermi in
noi la certezza della possibilità di una vita sempre piena di speranza, di un
futuro per noi buono… Risorto!