sabato 4 marzo 2023

Meditazione sul Vangelo della Domenica

 




Gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni sono considerati i "più intimi", cioè il piccolo gruppo di testimoni che Gesù sceglie tra i Dodici, affinché vivano con Lui alcune esperienze particolari e profondamente significative per conoscere la sua identità e mantenerne vivo il ricordo dopo il suo ritorno al Padre.

Di fatto, saranno proprio questi ad avere la maggiore autorità nella prima generazione del cristianesimo. Pietro, come guida di tutte le pecore di Gesù. Giacomo, capo della Chiesa giudeo cristiana di Gerusalemme e il primo degli apostoli ad essere ucciso. Giovanni, infine, perché simbolo di ogni discepolo che diviene tale, solo quando si sente “amato da Gesù”, come lui.

Sono tre gli apostoli, e tre le circostanze in cui Gesù prende con Sé solo loro:

- Nella casa dove compie il miracolo della risurrezione della figlia di Giairo (Lc 8, 49-56), perché siano testimoni che, dove c'è Gesù, la morte non ha più l'ultima parola. La bambina, simbolo di tutta l’umanità, non è morta, dice Gesù, ma dorme ed è Lui a risvegliarla.

- Il giorno della Trasfigurazione che leggiamo in questa seconda domenica di Quaresima nella versione di Matteo (17,1-13), perché quei tre sappiano che Gesù non è solo ciò che percepiscono con gli occhi e seguono con le gambe, sperando, al massimo, che sia il Messia promesso per restaurare la libertà del popolo d’Israele, ma molto di più.

- Infine, saranno questi tre che, alla fine, Gesù vorrà con Sé come compagni nell’ora terribile dell'orto del Getsemani (Mt 26,36-46). Affinché non dimentichino quanto gli era costato accettare quella condanna che, tuttavia, aveva abbracciato per dare la vita per tutti.

Sul monte, ora, siamo al secondo momento e i tre discepoli, dopo aver visto che dove passa Gesù, la morte non ha più potere definitivo (il ritorno in vita della bambina di Giairo in Mt 9,23-25), vedono chiaramente la gloria di Dio in Gesù trasfigurato.

Sono, tuttavia, gli stessi che, come abbiamo appena detto, testimoni della notte del Getsemani, dovranno imparare che la vera potenza e la gloria stessa di Dio si manifestano soprattutto nella sofferenza di Gesù accettata per amore loro e di tutta l’umanità. In quel momento - nonostante le ripetute richieste di Gesù perché vegliassero con Lui - questi tre poveri privilegiati non sapranno far altro che dormire.

Gli Evangelisti, tuttavia, non hanno avuto paura di raccontarlo, affinché noi, al contrario di loro in quel momento, impariamo a stare vicino al Maestro in ogni momento. Soprattutto in quello della tristezza e dell’angoscia suprema del Getsemani e della croce, poiché è lì che il suo amore si manifesta in tutta la sua grandezza. Loro, quei tre, lo avrebbero capito dopo la risurrezione di Gesù. Noi lo sappiamo da quando siamo diventati cristiani, ma anche noi dobbiamo ancora impararne tutta la portata e farla parte della nostra vita.

Quel monte, alto, secondo Mt e Lc, è stato identificato con il Tabor e, talvolta, addirittura con l'Hermon, ma gli evangelisti non gli danno alcun nome. In realtà, più che geografica, questa altura va intesa in senso teologico e spirituale, dato che in tutte le culture, il monte indica il luogo della vicinanza a Dio, o dove Dio si manifesta in occasioni speciali, come sul monte Oreb in fondo alla penisola del Sinai.

Al momento della Trasfigurazione, di fronte allo spettacolo di Gesù che si illumina al punto che il suo volto splende come il sole, le vesti si fanno bianche come la luce, e Mosè ed Elia conversano con lui, è naturale che Pietro, interpretando anche il desiderio di Giovanni e di Giacomo, desideri che quanto accade davanti a loro non finisca più. "Signore”, disse, “quanto è bello essere qui! Se vuoi, farò tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia".

Marco, a questo proposito, annota che Pietro “non sapeva quello che diceva, perché erano terrificati (ekfoboi)" (Mc 9,6). Una paura che, tuttavia, siamo costretti a non identificare col panico che costringe alla fuga, ma, semmai, con un senso di inadeguatezza o di profondo imbarazzo di fronte al divino. Altrimenti perché chiedere di poter restare? Semmai, con la menzione della paura, annotata anche da Matteo, Marco vuole probabilmente sottolineare [anticipandolo] che Pietro e gli altri due sono incapaci di capire [anche in quell’occasione] come lo saranno al momento della passione.

Potrebbe essere davvero così, dal momento che Luca lo fa annotando che “Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno” anche se, in questo caso, aggiunga che “quando si svegliarono videro la sua gloria” (Lc 9,32). Che la trasfigurazione su quel monte sia, infatti, solo un momento funzionale lo sottolineano tutti e tre gli evangelisti, concludendo l’episodio con la significativa annotazione che, proprio dopo la richiesta di rimanere in quel clima estatico, Pietro, Giacomo e Giovanni "non videro[più] nessuno, se non Gesù solo".

Non solo! Mentre scendono dal monte, Gesù stesso impone loro di non parlare con nessuno di ciò che hanno visto “finché il Figlio dell'uomo non sarà risuscitato dai morti”

Perché?

Poiché, non sapendo che la gloria di Gesù era quella della sua morte, per il momento questi tre avrebbero raccontato solo l'aspetto miracoloso di quell'evento, facendosi false aspettative miracolistiche loro stessi e creandone altrettante tra la gente. Per questo perfino Pietro, per ora, deve tacere e, solo una volta convertito e guidato dallo Spirito Santo, come nella casa di Cornelio a Cesarea marittima, potrà dire a tutti da vero discepolo:

"Voi sapete ciò che è avvenuto in tutta la Giudea, a partire dalla Galilea, a partire dal battesimo che Giovanni ha predicato. Come Dio ha unto Gesù di Nazareth con Spirito Santo e potenza: egli andava facendo del bene e guarendo i posseduti dal diavolo, perché Dio era con lui. Siamo testimoni di tutto ciò che fece in Giudea e a Gerusalemme. Lo misero a morte appendendolo a un albero. Ma Dio lo risuscitò il terzo giorno e lo fece apparire, non a tutto il popolo, ma a testimoni prestabiliti da Dio, a noi che mangiammo e bevemmo con lui dopo la sua risurrezione" (At 10,37-41).

Altri dettagli importanti dell’episodio della Trasfigurazione, sono: il binomio Mosè/Elia, il Monte e la Nube luminosa. Mosè ed Elia, poiché rappresentano le massime autorità dell'Antico Testamento, uno la Torah (il Pentateuco) e, l’altro, i Profeti garantendo, insieme, che Gesù è il vero Messia atteso da Israele e promesso da Dio. Il Monte poiché, in parallelo con l'Oreb, è il luogo della speciale rivelazione di Dio che, qui, ribadisce: "Questi è il Figlio mio, l'amato, il mio prediletto. Ascoltatelo".

La Nube luminosa che copre con la sua ombra i discepoli, è il segno che essi iniziano ad entrare nel Mistero in cui anche noi dobbiamo entrare ogni giorno di più, dal momento che la nostra fede, benché luminosa, è pur sempre una nube. La nube della non conoscenza, come si intitola un celeberrimo trattato mistico scritto da un anonimo inglese (The Cloude of Unknowyng) verso la fine del Trecento da cui imparare che, per giungere a Dio in questa vita non serve l’intelligenza, ma un sincero desiderio di incontrarlo e di conoscerne l’amore infinito.

Quel libro ispira il suo titolo a Mosè che sale sul Sinai per parlare con il Signore e viene coperto, come i tre della Trasfigurazione, dalla nube della presenza di Dio. La nube viene detta della “non conoscenza” poiché, per quanto riguarda noi, si dovrà lasciare tutto, non solo i vizi ed i peccati, ma perfino i pensieri più santi, per permettere a Dio di rivelarsi davvero come Egli è al di là di tutte le nostre teologie. Detto con altre parole, chi entra sotto questa nube dovrà tender al vero dovunque che è in nessun luogo o al nulla, dove si trova il tutto, come insegna San Giovanni della Croce che, sicuramente a conoscenza anche lui di quel libro, scrive: “Per giungere al possesso del tutto, non voler possedere niente. Per giungere ad essere tutto, non voler essere niente. Per giungere alla conoscenza del tutto, non cercare di sapere qualche cosa in niente”
(Primo libro di Salita del Monte Carmelo 13, 11).