Ancora parole dure
di Gesù che, però, per intenderle bene, è necessario notare ancora una volta quando
e perché le pronunzia. Gesù, infatti, è ancora in cammino verso
Gerusalemme e molti lo seguono senza averne minimamente capito la motivazione
che lo spinge verso la città santa.
Molti si aspettano qualche miracolo speciale a, altri, che si mostri
finalmente come il Messia atteso. I Suoi discepoli sperano soprattutto questo,
e di essere i primi a seguirlo nelle sue vittorie, sperando di ottenere un
posto tra i suoi dignitari. Se non proprio i primi due posti (uno alla sua
destra e uno alla sua sinistra), come avevano chiesto i due figli di Zebedeo,
Giacomo e Giovanni, almeno qualcosa di rispettabile.
Gesù, invece, come ha detto spesso senza essere capito, si reca a
Gerusalemme dove sarà preso, condannato e crocifisso. In unione con la volontà
del Padre, ha deciso di andare sino in fondo al cammino e di accettare la
condanna come occasione per mostrare quell’amore per tutti, che non è riuscito
a far capire con la sola predicazione. Gli costerà sofferenze e lacrime che,
già ora, tengono la sua anima nella tristezza che culminerà nel Getsemani e
sulla croce. Sarà proprio da lassù, tuttavia, che chiederà il perdono per
tutti, perché non sanno capire altro e, magari, non capiranno neppure quello.
Ora, mentre è ancora in cammino, voltandosi indietro e vedendo tutte
queste persone che lo seguono, buone ma inconsapevoli, vuole che sappiano,
anche se queste, al momento, non possono e non vogliono capire, cosa significa andargli
dietro. “Se uno viene a me e non mi ama più di
quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e
perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (v. 26).
Dal punto di vista dei più grandi doveri umani e cristiani, padre e
madre, fratelli e sorelle saranno sempre al primo posto. “Se qualcuno non ha cura dei suoi, soprattutto di quelli di casa”, leggiamo infatti, non
solo nell'Antico Testamento, ma anche nella prima lettera a Timoteo, “ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele " (5,8). Con questo linguaggio paradossale, Gesù vuole
dire, tuttavia, che mettersi dietro a Lui significa cominciare a vedere tutto
dal Suo punto di vista e del Padre che lo ha inviato per la salvezza di tutti.
Seguire Lui
significa lasciarsi guidare dallo stesso amore e, pur continuando a fare le
cose che si debbono fare, mettere davanti a tutto la volontà di Dio che, in
fondo, coincide anche con il nostro vero bene e la nostra piena realizzazione.
Un atteggiamento, riassunto dall'immagine della propria croce da
prendere, che comprende tutto ciò che la vita chiede per portarlo avanti come
Gesù ha portato avanti la sua missione. Per questo dice: “Colui che non
porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo” (v. 27).
I due esempi che seguono sulla necessità di non iniziare a costruire
una torre se non si hanno abbastanza soldi, o di dichiarare una guerra senza i
soldati necessari, servono a Gesù per far capire che anche se si decide di
seguire Lui, bisogna pensarci bene. Non
si tratta di essere devoti a Lui o di aggiungere preghiere a quelle che già facciamo,
ma di essere pronti a vivere per gli altri e, se necessario, anche a dare la
vita.
Giovanni e Giacomo gli assicurarono di saper bene che sedersi uno alla
sua destra e l'altro alla sua sinistra significava essere pronti a bere il suo
calice (a condividerne la sorte), ma solo quando lo Spirito scoprì loro chi era
veramente Gesù e cosa aveva fatto per la salvezza di tutti, capirono cosa
significava condividere la vittoria di Gesù e "andare dietro a lui".
Non si tratta di voler essere
crocifissi come Gesù o uccisi come i martiri, né di voler aiutare Gesù, ma di
riconoscere, la propria croce, nella nostra reale esistenza, e di portarla,
oltre che con il suo aiuto, come suoi discepoli. La nostra croce è, infatti, quella che siamo
invitati a prendere "ogni giorno" (Lc 9,23), consapevoli che, come
disse lo stesso Gesù, "a ogni giorno basta la sua pena" (Mt 6,34).