sabato 14 maggio 2022

Meditazione sul Vangelo della Domenica

 



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Quando fu uscito, Gesù disse: "Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33Figlioli, ancora per poco sono con voi [] 34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri".

 




Per capire come Gesù possa dire che, proprio “ora [appena uscito Giuda dal cenacolo per consegnarlo ai giudei che voglio ucciderlo] è glorificato il Figlio dell’uomo [cioè Lui], e Dio è glorificato in Lui”, bisogna riflettere un po' più del solito sul testo.

Solo Giuda è responsabile di aver consegnato Gesù, come solo Pietro è colpevole di non aver avuto il coraggio di riconoscersi suo discepolo, ma bisogna separare la responsabilità oggettiva da quella soggettiva. Obiettivamente, la gravità della consegna di Gesù alle autorità giudee, è enorme e, da questo punto di vista, è certo, come disse Gesù, che sarebbe stato meglio per quell’uomo non essere mai nato (Mt 26,24), ma questo non impedisce che il Signore – che ha dato la vita per l’umanità intera – muoia anche per Giuda.

In ogni caso, non si deve pensare che la consegna di Gesù per mezzo di Giuda alle autorità ebraiche, fosse indispensabile. Prima o poi i nemici avrebbero potuto prenderlo senza Giuda e con tutti i pretesti, dato che lo stesso Gesù, soprattutto negli ultimi tempi, con l’entrata trionfale in Gerusalemme e la purificazione del tempio, non aveva fatto altro che provocare la propria condanna. Venuto al mondo per la salvezza di tutti, nessuno escluso, si era ormai da tempo reso conto che, consegnare sé stesso per la salvezza di tutti era l’unica via da percorrere. Per questo, più volte, aveva detto ai suoi discepoli che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, essere ucciso e risuscitare al terzo giorno (cfr. Mc 8,31). E con sofferta determinazione – secondo Luca 9,51 – aveva preso la decisione di andare a Gerusalemme

Una coscienza e una decisione saggiamente fatte risaltare dall’evangelista del quarto Vangelo che, spiegando il perché della lavanda dei piedi ai suoi discepoli (profezia della sua morte per loro) scrive: “Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò [li volle amare] sino alla fine” (Gv 13,1).

I suoi che stavano nel mondo, in quel momento sono i Dodici, Giuda incluso, quelli cui lava materialmente i piedi, ma rappresentano tutta l’umanità, dato che anche loro sono poveri ignoranti che non sanno né quello che fanno, né ciò che sta facendo Gesù per loro. Il ruolo di traditore è toccato a Giuda, come a Pietro quello di rinnegatore, ma – in assoluto – chi consegna Gesù, dopo che il Padre lo ha consegnato all’umanità, siamo tutti, rappresentati da Giuda, da Pietro e dalle autorità del tempo. Venuto, infatti, nella sua casa [in quel momento nel popolo di Israele, ma che rappresentava tutta l’umanità], i suoi non lo hanno ricevuto, ma Egli, affinché tutti si rendessero conto del suo amore, non ebbe altro modo che lasciarsi uccidere e chiedere perdono al Padre per questa grande ignoranza. [[1]]

Una volta capito tutto questo, risulta chiaro perché Gesù parli della sua morte come di una glorificazione sua e del Padre, proprio nell’ora in cui sta per essere consegnato alle autorità che lo condanneranno. Parole che, oltretutto, sfociano nell’esortazione che fa ai suoi discepoli: “Figlioli, ancora per poco sono con voi […] Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”. Sicuramente quella notte dell’ultima cena, non le compresero neppure i suoi discepoli che, tuttavia, più tardi le avrebbero capite.

Non appena lo Spirito avesse fatto loro capire che la sua condanna sulla croce non era stato un fallimento, ma la vittoria dell’Amore, avrebbero cominciato a capire tutto. Avrebbero capito, inoltre, che all’Amore si può corrispondere solo con l’amore e che intendeva Gesù col dire loro che dovevano amarsi gli uni gli altri “come io vi ho amato”. Ripensare a questo “come io vi ho amato” fece loro capire che non si trattava di un nuovo comandamento, ma di un comandamento nuovo, fondato nell’Amore con cui Dio, nel suo Figlio, ci ha amati e continua ad amarci.



[1] “Dio infatti ha tanto amato il mondo”, aveva detto Gesù a Nicodemo, “da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).