Meditiamo con P. Joseph dell'Immacolata Concezione (Heimpel) ocd,
Domenica VI, Tempo ordinario, Anno B, 11 febbraio 2018 Mc 1,40-45
Cari fratelli e sorelle in Cristo! Seguiamo
in queste prime domeniche del tempo liturgico “ordinario” il vangelo di Marco
sull'inizio della “vita pubblica” di Gesù. Tra i quattro evangelisti, egli è
dal punto di vista retorico, letterario e anche teologico - dottrinale il più
essenziale. Ma, quale “parola profetica” ispirata dallo Spirito Santo (2Pt
1,20s.), si scoprono nel testo di Marco dei tesori inesauribili di sapienza di
Gesù Cristo, “Figlio di Dio” (Mc 1,1). Anche nel Vangelo di questa domenica,
della guarigione del lebbroso (Mc 1,40-45) troviamo una grande ricchezza
teologica e spirituale. S. Agostino a proposito di quest'episodio rileva la
cornice dell'osservanza della Legge mosaica (De Cons. Ev I,2). Secondo la
lettura sincronica con il Vangelo di Matteo, la purificazione del lebbroso
sarebbe avvenuta dopo il Discorso sulla Montagna (cfr. Mt 8,1-4). Lì Gesù aveva
detto: “Io non sono venuto per abolire la Legge o i Profeti,... ma per dare
compimento” (Mt 5,17). Che cosa prescriveva la Legge mosaica riguardo ai malati
di lebbra? Lo abbiamo sentito nella Prima lettura di questa liturgia
domenicale: “Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo
scoperto... Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà
solo, abiterà fuori dell'accampamento” (Lv 13,45s.). Nel caso che il lebbroso
fosse guarito, la Legge mosaica previde un lungo rito di purificazione (cfr. Lv
14). Gesù e il lebbroso osservano precisamente queste norme. Ma, ovviamente, la
Legge non poteva guarire il malato di lebbra. Gesù quindi dà compimento alle
Legge, purificando effettivamente l'uomo dalla lebbra. S. Paolo lo ha descritto
bene: “Ciò che era impossibile alla Legge (liberare l'uomo dal peccato e dalla
morte), perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile,
mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista
del peccato” (Rm 8,3).
Nei singoli dettagli della pericope, si rivelano poi,
mediante la lettura allegorica e spirituale sempre nuove luci sul mistero della
salvezza. In senso mistico, la lebbra, secondo s. Girolamo, rappresenta il
peccato del primo uomo, che ha reso impura l'umanità in generale (Comm in Marc.
1): la “lebbra” del peccato, lo condanna a stare fuori dell'accampamento,
immagine della Città celeste. In un'altra occasione, Gesù dichiara, qual'è la
vera “impurità”. Non quella esteriore della lebbra, ma quella interiore: “Ciò
che esce dall'uomo è quello che rende impuro l'uomo. Dal di dentro infatti,
cioè dal cuore degli uomini escono i propositi di male: impurità, furti,
omicidi, adulteri, avidità...” (Mc 7,20s.). Il lebbroso del vangelo dimostra
quindi l'atteggiamento adeguato, per passare dallo stato di impurità, allo
stato di purezza e quindi di salvezza. Per essere purificato e poter rientrare
nell'accampamento, il lebbroso viene da Gesù, e lo supplica in ginocchio,
dicendogli “Se vuoi, puoi purificarmi!”. È il contegno del “povero in spirito”
(cfr. Mt 5,3), che contiene, da una parte l'umile riconoscimento della propria
miseria e indegnità: egli è impuro, quindi indegno di avvicinarsi a Gesù e non
può pretendere nessun diritto secondo la Legge. Dall'altra parte, il lebbroso
dimostra la fiducia nella volontà salvifica di Gesù. L'espressione “Se vuoi,
puoi purificarmi” comprende una confessione implicita della divinità di Cristo.
Infatti, il lebbroso non chiede a Gesù di intercedere davanti a Dio per la sua
guarigione, ma chiede Gesù stesso di renderlo puro.
“Se vuoi...”: la forma al condizionale non
esprime un dubbio sulla volontà salvifica di Cristo, ma sottolinea ancora la
consapevolezza del lebbroso della totale gratuità dell'intervento di Gesù; essa
è unita alla fede ferma, convinta, nella Sua potenza salvatrice: “...puoi
purificarmi”. Come in principio Dio ha creato bene ogni cosa, compreso l'uomo,
senza necessità e senza merito dell'uomo (Gn 1,3ss.), così l'Unigenito del
Padre può riportare l'uomo peccatore (impuro) alla purezza originale, senza
alcun merito dell'uomo.
Di fronte al lebbroso risalta quanto mai maestosa,
sublime la figura di Gesù Cristo: “Gesù ebbe compassione, tese la mano, lo
tocco e gli disse: «lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve
da lui...”. S'impone quasi da se il senso spirituale di quest'espressione: Dio
“compatisce” la sua povera creatura umana, che ha perso la sua bellezza
originaria di immagine di Dio; è caduta nell'impurità e coperta di piaghe
sanguinanti e purulente. Ma quella di Cristo non è una compassione meramente
sentimentale, che rimane inerte, bensì Lo fa “toccare” il lebbroso. I Padri
della Chiesa rilevano a riguardo, che il gesto ha un valore pedagogico per i
discepoli di Cristo, che avrebbero dovuto continuare l'opera di Cristo fino ad
oggi: Gesù stesso non aveva bisogno di toccare il malato fisicamente, lo poteva
guarire anche a distanza, come in altre occasioni nel Vangelo. Lo toccò per
insegnare agli apostoli di avvicinarsi e “toccare” con partecipazione personale
le ferite degli uomini. L'amore di Dio deve essere “tangibile”, nell'azione
pastorale della Chiesa. Ancora si manifesta come la nuova Legge, di Cristo, supera
quella antica, di Mosè. Mentre anticamente il sacerdote non poteva toccare le
piaghe dei lebbrosi; se no, restava “impuro”, quindi escluso anche lui
dall'accampamento, fino alla sera (Lv 22,6), Gesù non solo non resta impuro, ma
il suo tocco purifica il lebbroso (cfr. S. Giovanni Crisostomo, hom 21 super
Matth.). Questa Legge nuova determina il rapporto dei pastori della Chiesa
rispetto alle persone in uno stato di “impurità” o emarginazione di qualunque
genere, fisiologica, culturale, morale: la Chiesa è mandata da Dio, non ad
escludere gli “impuri”, come la sinagoga, ma a curare le loro piaghe e farli
rientrare nell'“accampamento” di Dio.
Nell'espressione: “«lo voglio, sii purificato!». E
subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato” ridonda il racconto
della creazione: “E Dio disse, «sia la luce», e la luce fu”, e quel che segue
(Gen 1,3ss.). La parola di Cristo si effettua all'istante. Oramai però, rispetto
al racconto della creazione, la Parola di Dio è divenuta ancora più “umile”:
essa non sospende e non passa sopra la volontà della creatura, ma in un certo
senso, come, è avvenuto al momento dell'Annunciazione, la salvezza “si
incarna”, cioè si realizza solo quando l'uomo dice il suo: “sia fatta secondo
la tua volontà”. S. Beda lo esprime così: la purificazione non è solo opera del
Signore, ma anche effetto della fede del lebbroso (Comm. In Mc, c. 9). La
salvezza cristiana non toglie la libertà della creatura, ma la esalta. Il
Signore compie la salvezza, quando l'uomo si avvicina a Cristo, chiedendogli
umilmente e con fiducia: “se vuoi, puoi salvarmi”.
Poi, subito, il Signore ammonisce il lebbroso guarito
“guarda di non dire niente a nessuno”, e lo manda dal sacerdote per compiere il
rito di purificazione, “come testimonianza per loro”. Ancora appare il
riferimento alla Legge mosaica: Gesù non ha tolto nemmeno uno iota o un segno
dalla legge (cfr. Mt 5,18). Anzi, esorta chi lo interroga: “se vuoi entrare
nella vita, osserva i comandamenti” (Mt 19,17). Sorge però, nella lettura
semplice del brano, un dilemma: come poteva il lebbroso guarito tacere il fatto
della guarigione? Era talmente palese che non poteva rimanere nascosto. Come
sempre nelle parole e nei gesti di Gesù s'intrecciano il senso storico con gli
insegnamenti morali, sempre attuali. Possiamo rilevarne tre.
- Da parte del lebbroso guarito: egli non doveva
rilevare troppo l'aspetto puramente fisiologico, esterno (e quindi visibile)
della propria guarigione. Era molto più importante, che anche interiormente,
nel suo cuore era stato purificato, ed era tornato nella sua bellezza e nobiltà
di figlio di Dio (cfr. Mc 7,20s.). Tuttavia i doni di Dio fuggono
l'ostentazione e la ricercatezza esibizionistica, ma richiedono la discrezione
e il rispetto del mistero di Dio. Il fatto della guarigione serviva come
“testimonianza per loro”, ossia per il reinserimento dell'uomo guarito nella
società civile e religiosa.
- Da parte degli apostoli, e dei loro successori, Gesù
insegna che essi devono fuggire la tentazione di cercare l'affermazione e la
lode della gente, che inducono alla vanagloria e all'autoesaltazione. “Non dire
niente a nessuno” significa, che l'annuncio evangelico non passa per
l'eloquenza straordinaria o per l'offerta di “effetti speciali”, esteriori, ma
per l'esortazione alla conversione e alla fede nella Parola di Cristo (cfr. Mc
1,15).
-“Non dire niente a nessuno” vuol dire poi, secondo il
Crisostomo, “non anteporre la tua parola (umana), alla Parola di Dio” (cfr. ibi
hom. 21): il semplice fatto della guarigione fisica e spirituale del lebbroso è
Parola di Dio. Chi è stato toccato dalla grazia del Signore deve lasciar
parlare Dio attraverso la testimonianza di una vita pura, rinnovata nello Spirito
del Vangelo, e non banalizzarla, moltiplicando le proprie parole.
“Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a
divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una
città...”. Un altro dilemma: il lebbroso guarito, sembra, non obbedisce al
precetto di Gesù? Dobbiamo constatare subito, che il Vangelo non esprime alcun
rimprovero per questa “disobbedienza”. Se leggiamo poi il passo insieme ad
altri simili, come quello della guarigione del indemoniato di Gerasa, dove
vediamo invece, che Gesù gli dice “Va nella tua casa, dai tuoi e annuncia ciò
che il Signore ti ha fatto, e la misericordia che ti ha usato” (Mc 5,19),
possiamo capirlo come un indicazione molto importante per il rapporto tra i
pastori della Chiesa e i fedeli da loro beneficiati. Vale a dire, è giusto e
doveroso che i fedeli siano riconoscenti e rendano testimonianza di gratitudine
per il bene, materiale e spirituale, che hanno ricevuto dai pastori. Ma è
altrettanto importante che i pastori non pretendano di essere gratificati e
ricompensati dai fedeli, perché in effetti, hanno dato solo quello che hanno
ricevuto loro stessi da Dio. E Gesù dice: “gratuitamente avete ricevuto,
gratuitamente date” (Mt 10,8).
A causa della notorietà della guarigione del lebbroso,
“Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in
luoghi deserti e venivano da lui da ogni parte”. Toccando le piaghe del
lebbroso, Gesù stesso si è reso impuro agli occhi dei giudei osservanti. E
dall'altra parte è la fama di taumaturgo che colpisce e attrae l'attenzione
della gente. Ma ancora vi si rivela un senso morale. La Parola del Vangelo
guarisce le impurità e piaghe degli uomini, ma non si mette in competizione con
le tante parole ed opinioni delle “piazze” della città. Certo, il Signore
chiama tutti, e manda i suoi apostoli in tutte le città e villaggi della
Galilea, così come dopo la Pentecoste, essi avrebbero proseguito
l'evangelizzazione dei centri abitati. Ma l'annuncio del Vangelo richiede
sempre, da chi lo ascolta, di uscire da una quotidianità comoda, da un inerzia
borghese. Oggi, come sempre, chi vuole incontrare Cristo ed essere da lui
“purificato”, deve uscire dalle proprie chiusure e strettezze, ossia,
distaccarsi interiormente dai beni e piaceri del mondo, e “andare in luoghi
deserti”, ossia mantenere il cuore spoglio dal mondo, libero per Cristo. “Se
qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi
segua”, dice Gesù in un altro luogo (Mc 8,34). E così hanno fatto i discepoli
di Gesù e tanti santi nella storia della Chiesa fino ad oggi. Il Signore ci
purifichi ancora dalle nostre impurità del corpo e dell'anima e ci aiuti a
seguirlo e testimoniarlo in una vita evangelica.
P. Joseph dell'Immacolata Concezione (Heimpel) ocd,
Convento S. Torpè, Pisa