Meditiamo con p. Luigi Gaetani ocd
Carissimi fratelli e sorelle,
la liturgia della Parola di questa 4ª domenica ordinaria rivela che mentre gli uomini fanno storie Dio fa la storia attraverso il Suo intervento profetico, aprendo cammini di umanizzazione e di rivelazione del sogno di Dio sull’umanità (Dt, 18, 15-20).
Nessuno può mettersi in proprio, presentandosi come profeta, annunciando e denunciando cose altre rispetto a quelle che Dio ha intenzione di manifestare. Il profeta, infatti, è un uomo preso da Dio dal popolo e inviato al popolo perché possa dire le parole di Dio senza falsità e interessi personali.
Il nostro mondo ha bisogno di profeti. Non dobbiamo fabbricarceli, inventarceli, dobbiamo solo avere l’umiltà di chiederli, perché è insostenibile l’esperienza di Dio senza la mediazione profetica, dal momento che non siamo in grado di reggere l’impatto con Dio, la sua rivelazione, per quanto limitata possa essere, perché tutta la nostra esperienza è nulla rispetto a quello che Lui è, come un lampo nella notte e i nostri sensi sono nella notte dinanzi al suo splendore (S. Giovanni della Croce). Abbiamo bisogno di profezia, come parola sussurrata o gridata, per accogliere Dio che plana nella vita degli uomini, in mezzo alla loro storia, rivelando il suo mistero.
Senza profezia, inoltre, è insostenibile la stessa esperienza ecclesiale perché il testo in cui Mosè annuncia la venuta di un profeta simile a lui (Dt. 18, 15-20) segue il divieto di cercare la rivelazione divina tramite pratiche esoteriche, divinatorie, tramite personaggi che pretendono di mettere sulla bocca di Dio le loro parole, ingannando il popolo.
Tutte le componenti del popolo di Dio, istituzionali o carismatiche, non sono al di sopra di esso e non sono nemmeno mediatori tra Dio e il popolo, ma sono nel popolo con la responsabilità di manifestare che Dio continua ad amare l’umanità: “Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio” (Os. 11, 1), “Ho fatto sorgere profeti fra i vostri figli e nazirei fra i vostri giovani” (Am. 2, 11).
Il Vangelo di Marco, nella sezione da cui è tratto il testo di 1, 21-28, ci ricorda non solo dove Gesù ha svolto la predicazione profetica: Cafarnao, il villaggio della consolazione; ma descrive anche come si è svolta, attraverso la narrazione di una "giornata" di Gesù, chiamata appunto "la giornata di Cafarnao" ed è una giornata di sabato, come si dice all'inizio e come si lascia capire alla fine (le folle aspettano il tramonto del solo, cioè la fine del riposo sabbatico, per portare gli ammalati a Gesù).
Dobbiamo subito notare che il vero e unico scopo di Marco è quello di illustrare la figura del Cristo. Egli ci presenta in questa pagina la missione di Gesù nel suo duplice aspetto di parola e azione, insegnamenti ed opere di salvezza. A Marco non interessa dirci ora che cosa ha insegnato: gli interessa sottolineare: l'autorità di Gesù nell'insegnare e nel guarire.
"Si mise ad insegnare": qui Marco associa l'attività di insegnare di Gesù con la sua auto-rivelazione, il suo insegnamento è connesso con il suo potere taumaturgico (1,27), e questo suscita grande meraviglia (1,22.27; 6,2; 7,37; 10,26; 11,18).
"Come uno che ha autorità e non come gli Scribi": nella tradizione primitiva la parola "autorità" (dall'ebraico "resut") era riferita all'autorità che aveva un rabbino di imporre una decisione con forza vincolante (cfr. Mc. 11,28.29).
La parola "scriba" corrisponde all'ebraico "soper", un insegnante di rango inferiore a quello di un rabbino. Gesù quindi sarebbe stato posto a confronto con tali insegnanti di grado inferiore che non possedevano questa "resut" (autorità).
In Marco tuttavia "autorità" (dal greco "exousìa") implica l'autorità messianica che Gesù esercita di fatto (2,10; 3,15; 6,7; 11, 28-33). Il suo insegnamento costituiva un esercizio di quella stessa autorità con la quale egli distrusse il potere di satana. E' significativo, quindi, il fatto che il primo miracolo di Gesù è un esorcismo, un segno evidente che se il regno di Dio è vicino, anzi è presente in Gesù, allora il potere del demonio è ridotto all'impotenza.
I miracoli, quindi, hanno un valore di rivelazione, sono al servizio della fede e non danno una certezza diversa dalla fede, non rivelano un Dio diverso. Sono a servizio di Gesù, di un Dio che si rivela sulla croce; non eliminano la croce, ma rivelano che in essa è presente la vittoria di Dio.
Due particolari funzioni dei miracoli nel racconto di Marco meritano di essere sottolineate:
La prima è che essi vanno letti alla luce del culmine del vangelo, il mistero pasquale di Gesù. Da una parte, nella storia umile di Gesù, i miracoli sono rivelazioni anticipatrici della sua potenza di Figlio di Dio, risorto. Dall'altra il silenzio che egli impone ai demoni (3, 11-12) e ai risanati (1,44; 5,43; 7,36; 8,26) serve a far risaltare che solo nella croce e risurrezione si avrà la piena rivelazione della sua identità di Figlio.
La seconda funzione è l'apertura simbolica. Senza negare la concretezza delle guarigioni, infatti, Marco le intende come "opere di potenza" che lasciano intravedere possibilità più profonde: così la guarigione della suocera di Pietro (1, 29-31) apre alla prospettiva della risurrezione escatologica anticipata nella vita nuova battesimale; la guarigione di un sordomuto (7, 31-37) e dei ciechi (8, 22-26, 10, 46-52) simboleggia l'apertura della fede, le moltiplicazioni dei pani (6, 33-44; 8, 1-10) sono proiettate verso il dono del pane eucaristico.
Le opere potenti di Gesù si aprono così a significare le azioni salvifiche che il Risorto realizzerà nel tempo della Chiesa, rivelano la forza liberante del vangelo di Gesù, una forza terapeutica.
Come la parola di Gesù, anche quelle della Chiesa dovrebbero guarire e purificare. La Chiesa, infatti, non è chiamata ad annunciare una parola sua, ma quella di Gesù, che ci consegna una parola di consolazione, di vita perché è consegna della sua stessa persona.
Annunciare il Vangelo della consolazione e della liberazione non significa annunciare qualcosa di astratto, lontano dalla vita della gente, ma mostrare come Dio è presente nella storia degli uomini, attento alle loro povertà, fino al punto da non poter restare immobile, impassibile, nemmeno di sabato, perché occorre liberare, sanare un uomo.
Quando le parole della Chiesa, invece, sono parole mondane, non sanano, non liberano, non provocano nessuna reazione. No, la Chiesa non può tacere e non può essere tiepida, non può rassegnarsi e nascondere perché il bene va sempre detto, come il male va sempre denunciato, anche quando inchioda la vita. La Chiesa è e deve restare sotto il primato della Parola o non è.
O Signore, trasfiguraci con la misericordia che tocca le profondità della vita e non solo la nostra tenerissima carne ferita.
P. Luigi Gaetani, OCD