II Domenica di Avvento
Anno B
Is 40, 1-5.
9-11; 2 Pt 3, 8-14; Mc 1, 1-8
Meditiamo con p. Aldo Formentin ocd
Con la prima domenica del
nuovo Anno Liturgico siamo entrati tutti nel tempo «forte» dell’Avvento.
Avvento, sappiamo, significa
venuta. Chi sta per arrivare? E se l'Avvento riguarda noi stessi, se noi stessi
aspettiamo qualcuno: chi è che stiamo aspettando? Per noi cristiani – gli unici
al mondo che davvero attendono Uno che sta venendo – l'Avvento è come un
portone imponente che ormai siamo abituati a varcare per entrare nel santuario
affascinati del Dio fatto uomo: il Figlio di Dio fatto Bambino. Ogni anno – a
partire dalla seconda domenica di questo tempo dell’Attesa – varcando la soglia
di questo portone incontriamo due sentinelle che gli fanno la guardia e ci
chiedono perché e con quale sentimento, con quale atteggiamento interiore,
siamo qui a chiedere di entrare. Due figure assai dissimili, che tuttavia si
vedono sempre nelle antiche immagini alla sinistra e alla destra di Colui che è
l'Atteso e infine il Venuto: il Battista e l’Immacolata.
La prima figura – il Battista
– protesa in alto, scarna, un angelo vestito di pelli di cammello, che non vuol
essere nessuno, ma solo una voce che grida dal deserto del mondo e del tempo: «Preparate le vie del Signore!».
L'altra figura – che
incontreremo il prossimo 8 dicembre – è una persona profondamente velata e
ripiegata su di sé, solamente il suo corpo parla visibilmente di colui che ella
attende, e fa risuonare la sua flebile parola: «Ecco, io sono l'ancella del Signore». Ambedue sanno chi stanno
aspettando. Essi sono per il momento gli unici che lo sanno così esattamente e
così pressantemente: essi aspettano nientemeno che Dio. Non un condottiero o un
qualche eroe, non un tempo migliore, una vaga utopia, bensì davvero Dio. L'Emanuele,
il Dio con noi. E questo nella certezza che egli sta direttamente davanti alla
porta, perché tra la preparazione della via da parte di Giovanni il Battista e
della Vergine Maria e la venuta dell'Atteso non può più intervenire nulla che
possa far ritardare, perché l'Avvenimento è già in moto, e nessuno può
arrestarne il cammino…
Il Battista dunque
– in questa domenica – compare nel Vangelo. È e chiama se stesso «una voce nel deserto». Certamente un
deserto è questo mondo, più che mai: «un deserto che cresce» tecnicamente
mediante il disboscamento delle selve che portano la pioggia, contro di cui
tutti i piani per la civiltà e lo sviluppo sembrano non avere risorse… «un
deserto che cresce» spiritualmente con l'inaridimento del «paesaggio
religioso», dal momento che l'umanità non può quasi più ascoltare il richiamo a
«preparare al Signore la strada». La
«voce» risuona nel rumore confusionario dei mezzi di comunicazione di massa,
delle nuove informazioni che precipitano
l'una sull'altra. E se il “battezzatore” compare in stile sorprendentemente
anti-culturale - vestito con peli di cammello e per nutrimento locuste e miele
selvatico -, siamo ormai abbastanza abituati a collocare tranquillamente un
simile comportamento tra le mille mode in mezzo alle quali vive assuefatta l’attuale
nostra società.
Eppure per
noi credenti il contenuto del messaggio del Battista – ne parla anche la prima
lettura – è sempre fonte di seria riflessione. È troppo grande il suo messaggio
per essere attuato domani o dopodomani: che cioè gli Israeliti deportati
possano tornare da Babilonia nella loro patria e ricostruire il loro tempio. Il
messaggio parla di un futuro, che sta sicuramente avvicinandosi, in cui «tutti i mortali vedranno la gloria di Dio»,
Dio stesso raccoglierà l'umanità come un pastore per condurla definitivamente a
casa.
Se la parola del Profeta Isaia
ci porta a guardare la realtà con gli occhi di Dio – come guardandola dall’alto
– noi sappiamo di non avere alcuna vista dall'alto. Come abbiamo sentito
leggere nella seconda lettura… noi contiamo i giorni, gli anni, e sempre i
nostri calcoli si dimostrano falsi: nel corso di tutti i secoli si è predetto
il giorno dell'arrivo di Dio, ed egli non è mai arrivato. Questo perché il
tempo di Dio è diverso dal nostro: «Mille
anni sono per lui come un giorno» [Sal 90,4]. Nel nostro miope mondo si
parla così con superiorità e ironia di «ritardo», di una ingenua attesa della
fine... Ma «il Signore non ritarda nell'adempiere
la sua promessa» [2Pt 3,9]. E caso mai indugiasse occorre attenderlo «perché certo Egli verrà e non tarderà"
[Ab 2,3]. Egli è un Dio in avvento sempre: il nostro Dio è un Dio - «che Viene » [Sal 49,3] – e trae continuamente a riva come un pescatore la
rete gigantesca della storia del mondo.
Questo evento
di fine dei tempi dev'essere proclamato da un «alto monte» come messaggio di gioia. Alla luce della venuta del
Figlio di Dio nella nostra carne, la confusa
storia del mondo con le sue colline e depressioni - strade molto tortuose! - si
rivelerà alla fine come la via piana e diritta su cui Dio è da sempre passato:
«perché egli ci ha amati per primo» [1Gv
4,19]. La storia, così come noi stessi la viviamo, sembra correre incontro a
immense catastrofi… Eppure, vista dalla sua fine – con gli occhi di Dio – appare
come una sicura e amica strada di casa… Strada
nella quale mentre noi discorriamo e discutiamo insieme Lui ci incontra Gesù in
persona, si accosta e cammina con noi [cfr Lc 24,15]. E ci rincuora: «alzatevi e levate il capo, perché la vostra
liberazione è vicina» [Lc 21,28]. Il fatto che noi possiamo pensare la fine
del mondo solo in modo catastrofico non turba né il piano di Dio, né la fiducia
dei cristiani. Nella certezza che con la venuta dell’Emanuele Dio cammina con loro
come un pastore con il proprio gregge - «Il
Signore è il mio pastore [Sal 22, 1] - i cristiani – come scrive Pietro nella seconda
lettura – hanno unicamente da cercare di essere, quando Dio verrà, «senza macchia» … e di «essere trovati in pace». [ cfr 2Pt 3,14
].
Perché l’Avvento ci prepari a
vivere «senza macchia» e a «essere trovati in pace» quando anche noi
come i pastori incontreremo – a Natale – «Maria
e Giuseppe e il bambino, che giace nella mangiatoia» [Lc 2,16] vogliamo
fare nostra l’esortazione che S. Elisabetta della Trinità suggeriva alla sorella
Guite in attesa di un figlio:
«Oh, lasciati pervadere tutta da
Dio, invadere tutta dalla sua vita divina, per donarla al caro piccolo che
verrà alla luce colmo di benedizione!
Pensa che cosa doveva essere
nell’anima della Vergine allorché, dopo l’Incarnazione,
possedeva in sé il Verbo incarnato, il Dono di Dio.
In che silenzio, in che
raccoglimento, in che adorazione doveva seppellirsi nel fondo della
sua anima per stringere quel Dio di cui Essa
era la Madre!
Mia piccola Guite, Egli è in noi. Oh, teniamoci strette a Lui.
In questo silenzio, con questo
amore della Vergine, è così che passeremo l’Avvento, non
è vero?» [Lettera, 22.11.1903]