CONVEGNO PROVINCIALE OCDS
Vorremmo condividere la bella esperienza vissuta lo scorso 17 dicembre a Milano presso la chiesa dei Carmelitani Scalzi del Corpus Domini si è tenuto il Convegno delle comunità OCDS della Provincia Lombarda.
La giornata è stata allietata dalla presenza di un relatore d’eccezione: padre Antonio Sangalli OCD; Vicepostulatore della causa di canonizzazione dei coniugi Martin e di Elisabetta della Trinità.
E proprio sulla figura di Elisabetta padre Antonio ci ha guidato alla scoperta di questa nuova santa e delle sue profonde intuizioni sull’ inabitazione della Santa Trinità nell’anima di ogni uomo e sulla attualità della sua esperienza spirituale nella vita di un laico OCDS
La giornata ha avuto una notevole adesione di partecipanti soprattutto provenienti dalle comunità di Milano, Monza, Concesa, Bologna, Lodi e Piacenza
Un giorno
con S. Elisabetta della Trinità
Padre Antonio Sangalli saluta e ringrazia
i presenti e coloro che hanno partecipato alla canonizzazione di S. Elisabetta della
Trinità a Roma il 16 Ottobre per la presenza numerosa, in questa occasione, di
molti membri dell’Ordine Secolare che hanno partecipato a tutti i momenti dell’evento:
a partire dall’antivigilia della canonizzazione come pure alla veglia nella
chiesa del Sacro Cuore dei Salesiani a Roma, alla canonizzazione di Elisabetta
e infine alla prima Messa di ringraziamento in S. Paolo fuori le mura. Un
ringraziamento di cuore perché, lui dice, ha sentito la presenza della
Provincia più attraverso l’Ordine Secolare che non attraverso sé stesso:
“Vedervi mi ha sinceramente
commosso perché so che avete affrontato disagi notevoli per poter partecipare a
quei giorni molto intensi. Mi spiace perché non riesco ancora a comprendere
come mai Elisabetta della Trinità rimane ancora un po’ in disparte. Certe volte
sembra quasi che la figura di Teresa di Gesù Bambino la fagociti tutta, attiri
tutta l’attenzione su di sé mentre sono
due personalità nel Carmelo che ognuna richiama all’altra pur non essendosi mai
incontrate. Elisabetta leggerà, poco
prima di entrare nel Carmelo di Digione, la “Storia di un’anima”. Sappiamo che
l’ha comperato nella portineria stessa del Monastero di Digione, dopo alcuni
anni quando la mamma ormai le aveva dato il permesso di entrare nel Carmelo a
ventun anni. Vedremo anche di cogliere alcuni aspetti della vita di questa
monaca di clausura molto insolita, perché anche se lei vive pochissimo
all’interno del Carmelo, ne vive il carisma in modo straordinario da laica.
Quindi in modo molto, molto vicina a voi Laici Carmelitani. Mi hanno aiutato
molto quei quindici giorni che ho trascorso a Digione dopo la canonizzazione.
Le monache mi avevano chiesto di essere presente alle varie conferenze, alle
interviste che i giornalisti facevano per cui le monache erano a disagio a
rispondere, sia sul processo come sulla santità di Elisabetta. Loro avevano già
fatto parecchio e chiedevano di avere una voce diversa. Quindi sono partito la
domenica seguente la canonizzazione e sono rimasto per due settimane, fino alla
prima festa liturgica di Elisabetta della Trinità che si è chiusa l’8 di
novembre scorso con l’installazione definitiva delle reliquie di Elisabetta nel
nuovo Reliquiario, che è stato poi deposto sempre nella chiesa di san Michele
in Digione.
Sono stati dei giorni
intensissimi che mi hanno permesso di scoprire la “laicità impegnata da
carmelitana” di Elisabetta. Abbiamo fatto a piedi tutto l’itinerario che lei
faceva di tutte le famiglie di cui abbiamo traccia nelle sue lettere. Tutte le
famiglie, gli amici, le amiche non solo quelle contemporanee alla sua età,
perché attraverso i figli, i giovani, lei arrivava alle mamme. Con un’amica
carissima, Elisabetta, alla sera dopo aver trascorso insieme un po’ di tempo
durante la giornata, (mai in maniera dissipata, anche quando ballava, danzava,
la sua anima era sempre unita a Dio; nel mondo laicale Elisabetta ha saputo
vivere il carisma carmelitano in pieno prima ancora di entrare in clausura,
prima ancora di vivere da claustrale). Ebbene, quando da casa dell’amica, questa
l’accompagnava a casa di Elisabetta, arrivati a casa Elisabetta tornavano indietro
e Elisabetta accompagnava l’amica a casa! E andavano aventi e indietro per un
certo tempo …… Questo per dirvi come
anche durante la strada, sul cammino, Elisabetta era ascoltata, Elisabetta
educava. Elisabetta ha introdotto il mondo laico nella vita trinitaria di Dio.
Questo mi ha colpito, come mi ha
colpito vedere tutte queste case borghesi, molto belle (esistono ancora, sono
sette, otto case) in cui vivevano queste famiglie che Elisabetta conosceva
(attraverso la mamma ne ha frequentate moltissime anche lei). Del Monastero non
è rimasta pietra su pietra ma i suoi santuari sono queste case che ne
conservano la memoria. Ci hanno portato persino nella soffitta di quelle case
dove Elisabetta, insieme alle sue compagne, si dedicava anche in modo un po’
infantile, alla vita religiosa. Avevano una specie di romitorio, le altre
giocavano, Elisabetta no, Elisabetta non giocava.
Volevo darvi questa immagine di
Elisabetta . Vi è una scena in cui è in parlatorio e parla con la sorella Guite
e col marito. Una carmelitana che, ante litteram, trasmette a sua sorella la
spiritualità che sta vivendo. Questo ci aiuta a capire come la spiritualità
carmelitana non è un carisma chiuso, da sperimentare unicamente all’interno di
una vita contemplativa, di una forma di vita particolare come quella dei frati
e delle monache. Lei parlava della inabitazione della Trinità a sua sorella, al
punto che i figli di Guite, (io ha avuto la fortuna di incontrarne due prima
che morissero) Giacomo e Francesco
parlavano di Guite come della vera santa, la loro mamma era la vera santa, non
Elisabetta.
Questi due figli, che hanno
vissuto abbastanza a lungo, han vissuto tutto il processo di beatificazione e
di canonizzazione, però, sempre, ogni volta che li ho incontrati rivendicavano il
fatto che Elisabetta aveva educato la loro mamma e che la loro mamma ha
assorbito completamente, da laica, da sposa, da vedova. Guite ha avuto undici figli e ha dovuto tirarli
grandi tutti da sola. Tutto questo non le ha impedito di vivere all’interno di
sé il mistero della Trinità, educata proprio a questo. E’ stato posto ( parlatorio
del Monastero )un pannello in bronzo in cui si vede Elisabetta all’interno
della clausura che parla alla sorella e al fratello dall’altra parte, passa
l’educazione forte di Elisabetta. Elisabetta è anche lei in linea verso un
dottorato possibile? Io penso di sì.
Del resto il più grande
scopritore della spiritualità di Elisabetta, il padre Philippon, parlava di
“dottrina” . Nel 1937 scriveva un libro: “La dottrina spirituale di suor
Elisabetta della Trinità”. Sfogliando il libro d’oro della comunità dove vi
erano le firme dei personaggi più illustri che avevano visitato il Monastero,
si trova un ricordo lasciato dal padre Philippon come firma, dove lui auspicava
presto la canonizzazione di Elisabetta. Sono passati invece molti anni, ma
credo che il Signore o Santi ce li consegna quando lo ritiene opportuno Lui
stesso. Ci da i Santi di cui noi abbiamo bisogno nel momento più giusto per la
nostra storia. Anche padre Philippon scriveva auspicando la canonizzazione di
Elisabetta quando ancora non era neanche cominciato il processo che sarà poi un
processo molto lungo, interrotto, ripreso, portato avanti come si sa con i
segni del cielo, i cosiddetti miracoli che quando non accadono, il Servo di Dio
o il Beato aspetta e attende.
Dopo questa breve parentesi
introduttiva e interlocutoria mi pare importante fare un’altra precisazione.
Elisabetta della Trinità non sviluppa una dottrina specifica sulla misericordia
come siamo abituati a vedere negli scritti di santa Teresa di Gesù Bambino. Gli
scritti di Elisabetta sono molto meno numerosi, meno diffusi di quelli di santa
Teresa. Elisabetta dobbiamo imparare a conoscerla attraverso le sue lettere,
attraverso le lettere che ha scritto a tantissimi personaggi che hanno avuto a
che fare con lei. Una vita, quella di Elisabetta della Trinità, dove la parola
“misericordia” viene usata tantissimo quasi sempre abbinandola a “miseria”. In
parecchi suoi scritti voi troverete le parole “miseria e misericordia” messe
una accanto all’altra. La miseria, l’abisso della nostra miseria, dirà, non
farà altro che richiamare su di noi l’abisso della misericordia di Dio.
Vorrei cercare di cogliere con
voi la sproporzione di questa parola (Elisabetta l’ha colta completamente), la
sproporzione immensa, indescrivibile di quello che è la misericordia.
Elisabetta non aveva a disposizione la Bibbia come l’abbiamo noi oggi, per cui
è sorprendente scoprire come lei la citi anche in latino. Cita alcune frasi in
latino per le quali certamente si è fatta anche aiutare per capirne i concetti.
Lei aveva a che fare con una
parola molto forte che nei suoi scritti ritorna diverse volte, la parola
“troppo”, che non è “tanto” ma “troppo”. Questa parola in Elisabetta trova una
storia un po’ particolare perché lei
fonda questo smisurato amore di Dio sull’errore di traduzione della Bibbia. Lei
aveva in mano “la Vulgata”, il testo di san Girolamo dove lui spiega il passo
famoso del Vangelo di Giovanni dove dice che Dio ha tanto amato il mondo da
dare il Figlio suo. Questa è una delle frasi capitali. Elisabetta è legata
strettamente a san Paolo e all’evangelista Giovanni che sono i due capisaldi di
tutta la sua dottrina che fonda, che trova le radici in san Paolo e san
Giovanni evangelista.
Se Teresa di Gesù Bambino è
affascinata dalla lettura delle lettere di Paolo ai Corinti, Elisabetta da
parte sua è affascinata soprattutto dalla lettera agli Efesini che diventerà il
testo cardine di tutta la sua spiritualità, di tutto il suo amore al Dio Trino
e Uno. Diventerà una familiarità estrema fino a chiamarli “I miei Tre”, e
questo lo deduce tutto dalla Scrittura. Lei si trovava a misurarsi con questa parola
di Giovanni in latino e in francese: “Dio ci ha amato troppo”, come era
tradotto da Girolamo.
Cosa è il “troppo”? Questo vorrei
aiutarvi a capire. Il troppo di questo amore, esagerato, di Dio. Come fare a
capirlo? Parto da un fatto di cronaca nera per aiutarci a capire l’eccesso
dell’amore, un amore ingiustificato, che non ha un fondamento nella ragione, che non ha
fondamento logico, è sproporzionato! E’ di fronte a questo che Elisabetta
rimane sconcertata e lo spiegherà in tutti i modi a tutti: Ama la tua miseria,
ama il tuo peccato. Cerchiamo di capire queste frasi paradossali: ama la tua
miseria, la tua piccolezza, la tua fragilità perché la MISERICORDIA si esercita
lì.
Vi racconto questo fatti di
cronaca di qualche anno fa. Due fatti di cronaca che aiutano a illustrare
questo abisso di misericordia col quale Dio ci ama, questo “troppo” dell’amore
di Dio. Qualche anno fa, la tv e i giornali hanno parlato a lungo del duplice
omicidio che due ragazzini, Omar e Erika, avevano commesso a Novi Ligure. A me
ha colpito il troppo amore di questo padre per sua figlia. “Se voi che siete cattivi siete capaci di dare cose buone ai vostri
figli….” . Guardate questo padre che non è mai apparso in nessuna
trasmissione televisiva per parlare di quello che era successo. Questo padre,
che dopo aver assistito alla condanna della figlia, ritorna nella propria
villetta da solo, senza farsi aiutare da nessuno e lava tutto il sangue della
moglie e del figlioletto. La casa era un disastro, tutti i muri imbrattati di sangue.
Ha pulito tutto da solo. Pensate che atto d’amore, che meditazione! Ecco
l’incredibile. Non solo ha pulito e lavato tutto, ha ridipinto la casa con gli
stessi colori di prima, quasi a dire: non voglio dimenticare quanto è successo.
E’ tornato ad abitarci e quando il tribunale ha parlato della figlia ha detto: “io
devo pur difenderla, anche al limite da sé stessa e quando la guardo mi chiedo
dove ho sbagliato “.
Se Dio di fronte a tutti i nostri
crimini si chiedesse, come questo papà, dove ho sbagliato la risposta sarebbe:
il troppo amore. Questo papà che ragione ha di agire così? Difendere ad ogni
costo la figlia che gli ha ucciso la moglie e il figlioletto. Se quest’uomo è
stato capace di tutto questo cosa farà mai Dio nei nostri confronti.
Questo per farci capire lo
scandalo; ci scandalizza che questo papà si comporti così! La figlia è stata
condannata ma il papà non l’ha mai abbandonata. Lei si trovava in una comunità
di rieducazione dalle parti di Brescia e il giorno prima che venisse liberata,
dopo aver scontato la sua pena, i giornalisti cercavano di fotografarla
all’interno della struttura di recupero dove si trovava. Sul Corriere della
Sera hanno pubblicato una fotografia di Erika che camminava per caso nel
cortile adiacente la cucina davanti alla pattumiera. Davanti ai piloni del
pattume c’era una statua di santa Teresa di Gesù Bambino! Fotografata dai
giornalisti, c’era una statua a grandezza naturale di Santa Teresa di Gesù
Bambino. Quasi a dirci: seduta anche lei alla tavola dei peccatori, a mangiare
lo stesso cibo.
Teresa di Gesù Bambino e
Elisabetta della Trinità dove prendono questa ampiezza di questo amore
misericordioso? Teresa alla fine della sua vita non dirà più la preghiera per
convertire i peccatori, si siederà alla tavola e dirà: abbi pietà di noi! Si
mette dentro anche lei. Stupendo atto di condivisione. Non è un modo di dire;
condivide il dubbio, condivide l’aridità, la prova della fede con chi la fede
l’ha persa, con chi la fede non ce l’ha. Si siede e dice al Signore: “abbi misericordia
di noi, rimandaci giustificati tutti dalla tua giustizia, non dalla nostra che
non è perfetta .
Elisabetta è colpita da questo
amore esorbitante di Dio. Ha una coscienza così acuta che condivide con
chiunque incontra.
Un altro aspetto che mi ha scioccato
della misericordia del Signore è questo fatto che vi racconto per scioccare
ciascuno di voi. Un pugno nello stomaco. Abbiamo appena finito un Giubileo
sulla Misericordia e cosa non ha fatto papa Francesco! Ogni settimana ha
visitato le persone più lontane, i sacerdoti che si sono sposati, che hanno
fatto famiglia, che non sono regolari, sono in una situazione estrema di
fragilità e di difficoltà. Lui è andato a stare a casa con loro e noi, magari,
ci siamo anche scandalizzati.
Ebbene, vi scandalizzo di più.
Voi sapete che Edith Stein è stata uccisa, gasata nel campo di concentramento
di Auschvitz. In quei campi ha perso la vita anche padre Massimiliano Kolbe,
dichiarati entrambi Santi dalla Chiesa. Il comandante del campo di
concentramento di Auschivitz Rudolf Hoss venne, alla fine della guerra,
arrestato e condannato a morte, imprigionato in attesa della sua esecuzione.
Mentre attendeva l’esecuzione capitale chiese di confessarsi, non trovarono
nessun sacerdote disposto a farlo, nessun sacerdote disposto ad ascoltare la
sua confessione. Certo le ferite in quel momento erano molto vive, aperte,
dolorosissime. Milioni di persone uccise, gasate, fatte fuori con la
superficialità più disgustosa. Lui si ricordò, però, di aver risparmiato una
volta un sacerdote. Avevano arrestato una comunità di Gesuiti a Cracovia, molti
sacerdoti deportati ad Auschvitz ma il Superiore della casa non era presente al
momento dell’arresto. Quando si accorse, tornando a casa, che tutti i suoi
confratelli erano stati deportati si presenta anche lui al campo di
concentramento. Lo portano davanti al comandante del campo il quale lo guarda e
lo manda a casa. Lo manda via, non lo arresta nonostante avesse dichiarato di
far parte della comunità e di esserne il Superiore. Non se la sentiva di
abbandonare i propri amici e confratelli al destino che già prevedeva quale
sarebbe stato.
In carcere, il comandante si è
ricordato del nome di questo sacerdote e chiede ai guardiani del carcere di
andarlo a cercare. Lo trovano in Polonia, a Cracovia, e accetta di venire a
confessare quello che chiamavano “animale”, non criminale. Dopo la confessione
il sacerdote assolve il condannato a morte da tutti i suoi peccati. Un po’ ci
ruga ma se vogliamo che ci rughi un po’ di meno proviamo a pensare a chi è il
primo canonizzato da Gesù stesso, il primo che entra con Lui in paradiso.
Vorrei provare a farvi cogliere
attraverso questi aspetti la grandezza del cuore di Elisabetta e di Teresa che si allarga a questa ampiezza di misericordia. Più che
farvi vedere dove Elisabetta parla di questo o di quello, non è una dottrina, è
un’esperienza che fanno queste donne ed è l’aspetto più bello, quello mistico.
L’esperienza dell’amore di Dio che riverbera nel loro cuore e loro non sanno
fare altro che allargarlo ulteriormente. La misericordia.
Ebbene questo comandante riceve l’assoluzione dei suoi peccati e il
giorno dopo il confessore ritorna per portargli la comunione prima che venisse
impiccato. La guardia del carcere ricorda di non aver mai visto nulla di più
bello: l’animale in ginocchio che piangeva come un bambino che stava per fare
la sua prima comunione. E’ andato all’impiccagione con Gesù Cristo in gola,
l’hanno giustiziato, appeso alla forca, non dobbiamo scandalizzarci. La Chiesa
ortodossa, più che la nostra latina, al buon ladrone ha dato anche un nome, Disman
il buon ladrone, la Chiesa, lo mette
sempre nei santi ma fuori dal gruppo perché è un santo anomalo, un santo che
non ha fatto un lungo tirocinio di conversione; si è convertito insieme a Gesù
Cristo in estremis: “oggi sarai con me in Paradiso”.
C’è una bellissima raffigurazione
del Paradiso, un’icona che raffigura il Paradiso dove si vede san Pietro che
per la prima volta sta aprendo il Paradiso, ha in mano la chiave e tutti i
santi dietro di lui che aspettano di entrare e lui tiene per mano. E’ la
comunione dei santi: che lui tiene per mano l’altro, è una cordata, sono tutti
concordi, vogliono tutti la stessa cosa. San Pietro tiene per mano san Paolo,
san Paolo tiene per mano gli apostoli e gli apostoli tengono per mano tutta
questa catena. Non c’è prospettiva nelle icone russe, per cui si vedono tante
aureole con queste testoline che escono da questa catena immensa di tutti
questi che aspettano di entrare. Ma quando entrano, sulla soglia, c’è seduta
colei che non ha fatto peccati: la “tutta santa”. E’ sulla soglia seduta
circondata dagli angeli ma dietro di Lei, perché è entrato prima, c’è il buon
ladrone per cui la Madonna sarebbe entrata dopo, secondo questa raffigurazione.
Il buon ladrone ha preceduto tutti, è già dentro, è entrato tutto sporco
com’era, con un piccolo straccetto attorno ai fianchi e la sua croce in mano.
Ha abbracciato anche lui la croce come Cristo, non ha stramaledetto quel luogo
in cui è stato crocifisso.
Qualcuno erroneamente lo chiama
fortunato ma, non dico che l’ha guadagnato perché anche lui entra
gratuitamente, Gesù ha detto: “chi vuol venire dietro me prenda la sua croce
…”; quindi è dentro con la sua croce quella vera, fisica, materiale che ha
avuto la sorte di condividere insieme a Cristo.
La “misericordia”, il Vangelo, la
mette già al primo istante della morte di Cristo; in quel momento già salva. In
quel momento Cristo introduce insieme a sé stesso: “oggi sarai con me ….”;
penetrati nel Regno senza le chiavi di Pietro. E’ teologia dipinta però ci fa
vedere l’umanità, la larghezza del cuore.
Abbiamo visto la sproporzione di
questa “misericordia” di cui abbiamo appena trascorso e terminato un anno
Giubilare. Non possiamo trovare dentro la misericordia una reazione logica e
pensare che la misericordia fa a pugni con la giustizia, anche perché il Papa
ricorda spesso che la giustizia è il minimo della misericordia, mentre il
massimo della grandezza della giustizia è la misericordia. Il modo massimo di
essere giusti è quello di essere misericordiosi.
Io non sto toccando Elisabetta,
ma volevo innanzitutto scuotere la nostra tranquillità di fronte a questa
parola “misericordia”. Allora possiamo entrare in merito alla misericordia come
l’ha sentita, come l’ha vissuta, entrare in alcune espressioni di Elisabetta
della Trinità. Vi dicevo come mi dispiace che questa nostra consorella, questa
amica che ci accompagna da tanto tempo, ha bisogno di essere conosciuta molto
di più. Nell’ambiente sacerdotale spesso la si conosce ma molto
superficialmente. Bisognerebbe ritornare a leggere gli scritti, che non sono
difficili, e approfondirli di conseguenza. Molte delle sue lettere sono
completamente indirizzate a sua sorella Guite oppure a degli amici. Sono
pochissime le lettere indirizzate alla comunità, alla Superiora; essendo in
clausura le sorelle vivono spesso nel silenzio e si scrivono per dirsi delle
cose. Basta ricordare che il “Manoscritto B” di santa Teresa di Gesù Bambino,
sono due lettere che lei ha scritto alla sorella Maria che abitava qualche
cella più in là. Per fortuna che ha scritto perché se avesse raccontato noi non
avremmo avuto questo meraviglioso scritto di spiritualità che è un capolavoro,
un’opera d’arte.
Di questa frase che io cito
spesso: “Ama la tua miseria perché su di essa si esercita la misericordia del
Signore”, vorrei farvi vedere il contesto, la lettera nella quale Elisabetta la
scrive. E’ la lettera n. 276 del 10 Ottobre 1906, lei muore a Novembre dello
stesso anno; bisogna contestualizzare per capire.
Elisabetta sa che il suo tempo si
è fatto breve, che se ne sta andando e scriverà il suo testamento: “Lascio la
mia fede a ….”. Non alle consorelle del monastero ma a noi, i laici, per chi fa
questa esperienza di Dio, neanche per sé stessa. Vuole lasciare a noi la
possibilità di viverla, di incontrarla, di poterla fare e la scrive all’amica
Germana.
Vediamo alcune lettere scritte a
questa amica. La Lettera del 10 Ottobre dice: “Sorellina (chiamarla così voleva dire mettersi sullo stesso piano,
stabilire con lei un rapporto quasi carnale, non è parente ma sorella, piccola
sorella, indica una familiarità,sorella d’anima, l’amicizia che diventa
fraternità), perché Elisabetta ha un
legame con questa persona, tra le due anime c’è un’affinità quasi da DNA. Ma
DNA spirituale perché sentono Dio allo stesso modo, alla luce dell’eternità perché lei sta andando verso la vita ,
l’amore, “non muoio vado verso la luce, l’amore, la vita”). “Il buon Dio mi fa comprendere molte cose “ (l’esperienza
di Elisabetta che non sta scrivendo quello che ha letto in un libro, quello che
riceve non lo tiene per sé) “ed io vengo a dirti come da parte sua, di
non aver paura del sacrificio, della lotta ma piuttosto di rallegrartene” (l’autorevolezza
di Elisabetta non è sé stessa, appoggia la propria autorevolezza in Dio – “mi
ha fatto capire, mi ha fatto comprendere “ e questo avvicina molto Elisabetta a Teresa anche se
vanno su due piani diversi. Teresa di Gesù Bambino scrive alla sorella Maria:
“ho compreso che la Chiesa …. , ho compreso”. E’ dentro ad uno slancio di
esperienza di Dio profondissimo, l’ha compreso alla luce di Dio, non lo
comprende semplicemente con l’intelligenza, c’è il cuore che ne fa l’esperienza
più profonda. Quindi comunica quello che sta vivendo: se Dio le ha fatto
comprendere vuol dire che Elisabetta sta vivendo quello che Dio le ha comunicato,
di non aver paura del sacrificio, della lotta ma piuttosto di rallegrarsene. Se
la tua natura è motivo di combattimento, se il tuo carattere, la tua
personalità, il tuo temperamento è motivo di combattimento, non ti piaci, non
ti ami, non ti accetti, non ti vuoi bene, vorresti essere un’altra persona; fra
quello che uno è e quello che vorrebbe essere, il proprio progetto, il proprio
pensiero, la propria immagine santa che ognuno di noi si fa, Elisabetta dice:
butta giù questi castelli per aria fatti di carta velina. “Se la tua natura è un campo di battaglia, non
scoraggiarti, non rattristarti (non mettere giù il muso, non fare il viso
scuro), vorrei dirti, anzi, ama la tua
miseria, perché su di essa Dio esercita la sua misericordia”. Quindi la
miseria cos’è per Elisabetta? E’ questo campo di combattimento dove non vinci
mai, lavori, lavori per cambiare, per essere diversa, per essere migliore.
Questo è un peccato grande, pretendere la perfezione da qualcuno ti getta nella tristezza e ti fa ripiegare
su te stessa, questo non è che amor proprio. Non è altro che egoismo, non è
altro che amore di te, di quel che tu vorresti essere e che non sei e quindi ti
rodi, ti corrodi e diventi acida. Amare la propria miseria, come? Come fare ad
accogliersi? Perché non può essere misericordiosa una persona? Perché non lo è
con sé stessa e quando vediamo una persona dura dobbiamo pensare che non si
vuol bene. Noi lo manifestiamo questo nostro non volerci bene, questa nostra
intolleranza nei confronti degli altri; non è che il sintomo dell’intolleranza
che abbiamo con noi stessi. Che cosa ha capito questa ragazza e quello che sta
scrivendo alla propria amica che era amica di ballo …. La sorella di Elisabetta
suonava il piano anche lei e si è sposata con uno che suonava il violino (anime
musicali). Elisabetta amava la festa, la invitavano di casa in casa, suonava il
pianoforte a partire dall’età di tredici anni. A tredici anni i giornali di
Digione l’hanno elogiata per il suo virtuosismo al piano, suonava gli autori
più belli e tutti la chiamavano per animare le serate danzanti in queste case,
in queste famiglie o anche in pubblico. Divertiva tutti gli altri che si
accorgevano che lei era altrove, che lei era unita a Dio. Questo mi sembra
importante scoprire in Elisabetta, che ci fa capire che non è la struttura del
Monastero ad averla portata a quell’altezza, l’ha aiutata, senz’altro ma è la
vita fuori del Monastero che l’ha condotta alla luce di quella presenza grande
che a partire dalla prima comunione non l’ha più abbandonata. Il grande momento
della conversione di Elisabetta, di temperamento irascibile, violenta. La mamma
ogni tanto le preparava la valigia per mandarla in istituto di correzione. Lei
ballava e la mamma aveva cercato anche di fidanzarla; ne aveva parlato anche
col parroco, ma lei aveva già fatto il voto di verginità. Un giovanotto aveva
cercato di corteggiarla ma tornando a casa, alla propria mamma disse: mamma,
Elisabetta non è per noi!
Elisabetta ha vissuto con i “tre”
dentro il mondo. Quando entrerà in clausura capirà benissimo che tutta la
struttura la aiuterà, ma l’aiuterà perché lei, l’esperienza, l’aveva già vissuta a casa.
Aveva la proibizione, dalla mamma, che ha fatto di tutto per cercare di
distogliere la figlia, di andare al Carmelo. Distoglierla da questa idea che la
figlia ha cominciato a coltivare dall’età di sette-otto anni quando confidò al
canonico amico di famiglia, con grande stupore della mamma, che da grande
sarebbe stata Religiosa. Da qui la grande realtà che il figli non sono nostri,
i figli non ci appartengono, i figli appartengono a Dio. Noi siamo solo uno
strumento attraverso il quale il Signore li ha messi al mondo, ma non sono
nostri, non ci appartengono.
Elisabetta ci dimostra che non è
necessario andare in Monastero per poter praticare, lei lo insegnava a tutti.
Alla sua amica insegnava come progredire in questo rapporto con Dio che non può
crescere se manca questa “misericordia” nei tuoi confronti, questo amore della
tua piccolezza, della tua miseria e di quello che tu sei. Noi invece siamo
innamorati di ciò che non siamo e continuiamo ad inseguire quello per cui,
forse, non siamo neanche fatti. Qui sarebbe interessante vedere la vita di
Leonia, l’altra sorella di Teresa di Gesù Bambino che la sua miseria non l’ha
subita, l’ha scelta. Non ha subito i propri limiti, non ha subito l’essere
inferiore alle sue sorelle, non si è fatto l’animo cattivo con l’essere
invidiosa, gelosa di quello che le altre avevano e lei no. Non ha subito tutto
questo ma lo ha scelto, ha scelto di proposito l’ultimo posto che nessuno le
avrebbe mai rapito, ha scelto di trafficare l’unico talento ricevuto e di non
seppellirlo
. I talenti noi
non sappiamo come Dio li distribuisce. Alla scuola di Teresa di Gesù Bambino,
sua sorella, rientrerà in Monastero, riprenderà in mano tutta la sua vita e
lentamente ha deciso di rimanere sulla soglia della casa del Signore, neanche
di entrare più di tanto. Quando si scegliete l’ultimo posto, si è sicuri che
non lo ruba più nessuno, mentre è più
facile che rubino il primo! Non c’è
concorrenza, dice il Vangelo, “gli ultimi saranno i primi”. Elisabetta scrive
l’esperienza che ha vissuto
profondamente.
Continuiamo con la lettera: “Nelle ore tristi (cioè nelle ore in cui
non ami la tua miseria) va a rifugiarti
nella preghiera del tuo Maestro. Sì sorellina, sulla croce egli ti vedeva,
pregava per te, e questa preghiera è estremamente viva e presente davanti al
Padre. E’ questa che ti salverà dalla
tua miseria “. (In queste poche righe la parola “miseria” ritorna ben tre
volte). “Più senti la tua miseria, più
deve crescere la tua fiducia, perché Lui solo è il tuo sostegno.”
N. B. La trascrizione non è stata rivista dal
relatore. Ringraziamo Giusy Cirillo per
la trascrizione e la Comunità di Bologna per aver evidenziato con le magnifiche
foto le tappe della vita di S. Elisabetta.
- la presentazione dell’incontro,
- la locandina dell’incontro
- gli appunti della relazione
- l'audio della conferenza