MEDITIAMO CON P. GIULIANO GHERARDI
Dal Vangelo di Luca 15,
20
Nella
storia delle parabole evangeliche, penso che questa del Padre misericordioso
sia stata la più "spremuta" sia in campo esegetico-spirituale che in
quello pedagogico psicologico.
C'è
sempre un qualcosa di nuovo, un annuncio permanente di una misericordia che
sconvolge ogni criterio, che rompe i confini, rovescia le certezze e scandalizza
anche “quelli di casa”. Attraverso la
Parola del Figlio conosciamo il volto vero del Padre. E in
definitiva, come ben ci dona il Giubileo che stiamo vivendo, è proprio questa
la missione del Figlio: far conoscere il Padre misericordioso. Questa è la vita
eterna: “che conoscano te, l'unico vero
Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3).
Siamo
di fronte ad una pagina di straordinaria bellezza e profondità, "un
vangelo nel vangelo" ed è propria di Luca lo “scriba della mansuetudine di Cristo". Due atteggiamenti
balzano subito all’attenzione, due modalità di porsi davanti a Gesù. I
pubblicani e i peccatori "ascoltano" la parola di Gesù, manifestando
così un desiderio di salvezza. I farisei e gli scribi, invece, mormorano,
svelando sospetto e rifiuto. Il motivo del mormorare è dato dalla prassi di
Gesù di "ricevere i peccatori". Il verbo usato dall'evangelista più
che ricevere significa "essere disponibili ad accogliere" ed esprime
attesa e attenta sollecitudine. In Gesù vive un attesa senza pregiudizi e una
disponibilità senza limiti verso l'uomo e in particolare verso l'uomo peccatore,
la donna peccatrice, fino a giungere a sedersi a mensa (con la carica simbolica
di questo gesto) con i peccatori pubblici, con i lontani dalla “Legge”.
Il
peccato del figlio più giovane è un peccato che potremmo definire di pretesa autonomia
e autosufficienza. Egli taglia ogni legame, rinuncia alla casa paterna e non si
riconosce come figlio, e figlio amato. E quindi "partì per un paese lontano". Questa indicazione di luogo non è
solo e tanto geografica quanto morale, spirituale. Egli giunge nella sua corsa
verso il “fondo", a pascolare i porci (animali impuri) e a mangiare
carrube, dopo aver sperperato tutto nella dissolutezza. Ciò che colpisce in
questa prima parte del testo è il "silenzio" del padre, rispettoso
della tua libertà, che si "annulla" di fronte alla tua scelta e
divide le sue sostanze. Questo é già un atto di misericordia: pretendere tanto
e per di più con i1 padre ancora in vita, è un anticipare la morte del padre.
Qui il figlio si dimostra già un “avventato" uno "scapestrato"
che vuole auto-gestire il grande dono della vita, ma ora muore perché lontano
dalla fonte della vita: il padre, la casa! Alle porte del caos più totale ha
però un bagliore di luce: “Rientrò in se
stesso”. E' davvero la conversione? E' genuino pentimento?
Il
figlio maggiore è sempre rimasto in casa ma, purtroppo solo fisicamente. Come
il minore anche lui non conosce il padre e quindi quando torna il fratello
degenere non può capire la gioia, anzi: "Si arrabbiò e non voleva entrare". Cosa fa il padre? "Uscì a pregarlo" e ad ascoltarlo:
"Ecco, io ti servo da tanti anni e
non ho mai trasgredito un tuo ordine, e tu non mi hai mai dato un capretto per
far festa con i miei amici". Questo figlio vive come un servo nella
casa paterna, oppresso sotto un duro e pesante giogo di doveri e, di
conseguenza, il padre è percepito come un tiranno ed ingiusto. “Figlio - risponde il padre - bisognava far festa e rallegrarsi; perché
questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita”. Chiamandolo
"figlio” il padre gli ricorda che il rapporto con lui non può basarsi sul
dare/ricevere ma sulla comunione: "tu
sei sempre con me" e "tutto
ciò che è mio è tuo”. Gli ricorda un'altra cosa importante, che colui che
viene apostrofato come "tuo figlio" in realtà è anche "tuo fratello".
In
questo padre Gesù ha voluto farci contemplare l'icona della misericordia: il Padre e i lineamenti del suo volto. Il
rispetto. Davanti alla richiesta del figlio minore: "Dammi la
parte dei patrimonio che mi spetta", il padre non oppone resistenza, ma
"divise tra loro le sostanze”. Così facendo i1 padre riconosce al figlio
non solo un autonomia economica ma, più profondamente una autonomia
esistenziale. Il termine "ton bion",
tradotto generalmente con "sostanze", significa più esattamente
"vita" e ritorna ove appare evidente che il figlio minore non ha
sperperato solo i beni, ma soprattutto la vita. La speranza. "Quando era ancora lontano, il padre lo vide".
La capacità di vedere lontano "tradisce" ciò che il padre ha
consentito sempre in cuore: il ritorno del figlio. La speranza è la vittoria su
ogni possibile risentimento. La compassione. "Commosso gli corse incontro". I1 verbo “splacnizo” traduce il fremito delle viscere paterne, e ricorda le rahamim (viscere di tenerezza) di Dio. I1 coraggio. Corre incontro al figlio,
atteggiamento poco dignitoso, se non scandaloso, per la cultura dei tempo di
Gesù; solo del suo tempo? Per amare sinceramente bisogna avere molto coraggio.
Coraggio del primo passo, di lasciare i vecchi rancori, l'orgoglio ferito e le proprie
ragioni. Coraggio di gesti accoglienti, ove la distanza è superata
nell'abbraccio che riconcilia. Nella prima creazione narrata in Genesi, Dio
soffia nelle narici dell'uomo il "soffio
di vita", nella "ri-creazione" del perdono "gli si getta al collo e lo bacia". E
il bacio ci fa appartenere a Dio oltre la morte. Questo padre non rimprovera il
figlio, non punisce; anzi non gli lascia neppure dire ciò che egli non pensa
affatto e vi è un crescendo di accoglienza che arriva al dono della veste più bella
(la “prima”, la veste originaria), all'anello (conferimento dei pieni poteri
sui beni paterni) e ai calzari (una libertà ridonata, erano gli schiavi ad
essere scalzi). Il tutto culmina nella festa. Lascia sconcertati un Padre così
e la sua incondizionata misericordia, il “troppo
grande amore” (b. Elisabetta della Trinità).
E’
il Padre che custodisce sempre, nonostante e attraverso noi, la nostra vera
bellezza e dignità di figli ed è sempre pronto e desideroso di riconsegnarcela
in pienezza: questa è la sua più grande gioia. E’ anche la mia di figlia, di
figlio e di sorella e di fratello?
P. Giuliano Gherardi ocd