DOMENICA DELLE PALME
Iniziamo la grande
settimana, la più grande. La settimana piena di stupore e di sangue, di amore e
di emozioni. Iniziamo la settimana Santa. E noi lo facciamo oggi celebrando
l'entrata messianica di Gesù a Gerusalemme. In ricordo del suo trionfo,
benediciamo le palme e leggiamo il racconto della sua passione e della sua
morte. Ci prepara ad ascoltare questo passo del Vangelo, il profeta Isaia con
il suo terzo cantico: il servo sofferente di Jahvè. L'intera gloria di
questo servo sta nello spogliarsi completamente, nell'abbassarsi, nel
servire come uno schiavo, fino alla morte. “Proprio dell’amore è abbassarsi”
(santa Teresina). Ed ecco, l'amore si è manifestato con più forza sulla croce.
Dalla croce è scaturito il grido di fiducia filiale nel Padre.
Procediamo in ordine.
“Benedetto colui che
viene,… A morte costui! Dacci Barabba!”
Era, ormai, vicino alla
discesa del monte degli Ulivi, quando, tutta la folla dei discepoli, esultando,
cominciò a lodare Dio a gran voce, per tutti i prodigi che avevano veduto,
dicendo: «Benedetto colui che viene; il re, nel nome del Signore». La
gente elogia, agita in alto i rami strappati dalle palme e dagli ulivi, estende
i propri mantelli al passaggio del Maestro di Galilea. Piccola gloria prima
della tragedia, fragile riconoscimento prima del furore. Certamente, Gesù sa e
sente ciò che sta per capitare. Troppo oscillante il giudizio dell'uomo, troppo
vagabonda la sua fede (Curtaz P.).
Ed è sempre così la gente; quella di ieri e quella di oggi. Passa dal delirio
dell'acclamazione, alla violenza che distrugge, e, in questo mutar di umori,
tenta di risucchiare chi non ha la forza di restare se stesso e si lascia
travolgere e condurre, anche là, dove, forse, non sarebbe mai voluto andare.
Secondo Luca, Pilato
parlò loro volendo rilasciare Gesù. “Ma essi insistevano a gran voce, perché
fosse crocifisso, e le loro grida crescevano. Pilato, allora, decise che la
loro richiesta fosse eseguita...”. Così, Gesù sale verso il Calvario,
dove la sua missione giungerà a compimento. Anche perché è proprio qui che Lui
griderà per tutti, per me e per te, quel:
“Padre perdona loro, perché non sanno
quello che fanno”
In questo anno
straordinario di misericordia, arriva dritto al cuore questo grido di Gesù.
Anche perché “il perdono viene sempre prima di tutto. Forse, non potremmo
sopportare, di ascoltare il racconto, della passione di Cristo, se non
iniziassimo con il perdono. Prima ancora che pecchiamo, siamo già
perdonati...Il perdono, è là, che ci attende..." (Padre Radcliffe T.
in “Le sette parole di Gesù in croce”). È il gran dono che spalanca,
davanti ai nostri occhi, il Mistero del Dio che soffre e muore. Il mistero
insondabile di quel dono d'amore che è la redenzione. È il centro della
rivelazione. Da qui riparte tutta la Storia di una umanità risanata, resa
capace di vivere la riconciliazione con gli altri uomini che, in Cristo,
diventano fratelli.
Il perdono è quel segno
inequivocabile e definitivo del fatto, che Dio ci ha accolto, e sempre ci
riaccoglie in Cristo. Non è come abbiamo fatto noi. Quindi fermiamoci con
Un po’ di silenzio!
In questa celebrazione,
secondo la liturgia della Messa, dopo “Detto questo spirò”, noi ci
inginocchiamo e ci immergiamo in un silenzio meditativo. Questo istante di
silenzio totale è indispensabile a ciascuno di noi. Infatti, davanti a questo
racconto, non possiamo che stare in silenzio. Un silenzio che non ci chiude in
noi stessi, ma apre il cuore alla contemplazione dell'amore estremo di Dio.
La croce è l'immagine
più pura e più alta che Dio ha dato di se stesso. E “per sapere chi sia Dio
devo solo inginocchiarmi ai piedi della Croce” (Karl Rahner). Anche
perché, solo da Lui, il dolore può ricevere luce e conforto. Solo la Croce di
Cristo può trasfigurare il nostro dolore e renderlo fecondo. “Sulla Croce,
d’ogni cosa sta il Signore, sta la gioia pur se gemi nel dolore: essa allieta
di sua luce, essa è via che al ciel conduce” (Teresa di Gesù, in Poesie 19).
Ecco, “la Croce di Gesù è la chiave del paradiso” (san Giovanni
Damasceno), e ce lo testimonia il buon ladrone di questo Vangelo.
Quindi anche noi, Come
suoi discepoli, seguiamolo portando la nostra
“O grossa o piccola,
una croce bisogna portarla” (un detto popolare). E in questo, il profeta
Isaia, nella prima lettura di oggi, ci dà delle preziose indicazioni: “Il
Signore Dio...Ogni mattina fa attento il mio orecchio, perché io ascolti come
gli iniziati. Il Signore Dio, mi ha aperto l'orecchio, e io non ho opposto
resistenza,…”. Anche nella sofferenza, anzi, proprio sulla via dolorosa,
ascoltando il Signore, il nostro abbandono fiducioso in Dio diventa sempre più
pieno. Perciò, al posto del profeta, ognuno di noi può dire: “Il Signore Dio
mi aiuta, per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura
come pietra, sapendo di non restare deluso”.
Tutta la spiritualità
carmelitana e i nostri santi ci insegnano che dalla contemplazione della
passione e morte di Cristo, dall'accettazione umile e fiduciosa del nostro
dolore, sboccia la speranza di una nuova vita. Ci viene in mente la
“conversione” di santa Teresa di Gesù (cfr. V 9, 1). Proprio contemplando un
quadro che rappresentava Gesù flagellato, Teresa percepì che Gesù era davanti a
lei e implorava il suo amore. E fu, per lei, una scoperta dell’assoluta
centralità della preghiera.
Quando accogliamo il
dolore e lo affidiamo, siamo resi capaci di perdonare e donarci. Così, anche la
nostra vita produce inattesi miracoli, prodigi e conversioni, senza che neppure
ce ne accorgiamo. Inoltre,
“Era già verso
mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio”
Forse è una semplice
notazione temporale però, ci riempie di speranza. La tenebra ha il suo limite e
il dolore ha il suo argine. Tre ore può infierire, ma non andrà oltre, il sole
ritorna. Così fu in quel giorno, così sarà anche nei giorni della nostra angoscia
(Ronchi E.). Dopo tre giorni ci sarà
la risurrezione. “Ciò che ci fa credere è la croce, ma ciò in cui crediamo
è la vittoria della croce, la vittoria della vita” (B. Pascal). Aveva
capito tutto questo perfino Jacques Fesch (un condannato a morte, figlio
spirituale di Teresa di Lisieux) quando aveva spiegato come avrebbe camminato
incontro alla morte: “Io tendo una mano alla Vergine e l’altra alla piccola
Teresa: in tal modo non corro alcun rischio, ed esse mi attireranno a sé per
consegnarmi al piccolo Gesù per l’eternità” (in La piccola via della
misericordia 36).
Alla fine, in questo racconto di Luca,
tutto diventa già miracolo. Al servo viene riattaccato l'orecchio, Pilato ed
Erode diventano amici, Pietro piange il suo tradimento, Gesù viene riconosciuto
"giusto" dal procuratore pagano, le donne vengono consolate e
scosse, il ladro appeso alla croce perdonato e la folla torna a casa
percuotendosi il petto (Curtaz P.)…
Quella di Gesù è una morte per amore quindi fa davvero germogliare la vita.
Auguri di Buona settimana Santa a tutti, ricordiamoci che l’ultima parola non
appartiene al Venerdì Santo ma alla domenica di Pasqua!
Padre Hermann ocd (Trieste)
P.S. Come sappiamo, il Vangelo è già lungo quindi, ho cercato soltanto di invitare ciascuno di noi a mettersi davanti a questa Buona notizia. Colgo anche l’occasione per augurare a tutti voi, Buona settimana Santa e Buona Pasqua di Resurrezione!