sabato 10 giugno 2023

Meditazioni sul Vangelo della Domenica

 

Per non cadere in un culto dell’Eucaristia (la “Santissima Eucaristia” il “Santissimo Sacramento”) quasi fosse cosa diversa da Gesù, dobbiamo soffermarci bene sulle parole con le quali il Maestro parla di sé come Pane della vita. “Io”, dice, “sono il pane vivo che è disceso dal cielo”. Come si può vedere, non è il pane che devi guardare, ma Lui, Gesù (Io sono il pane della vita).

 Gesù è il pane che fa vivere per sempre e se, nell’Eucaristia, non ci incontriamo personalmente con Lui, mangiamo solo pane, anche se consacrato. È unicamente l’incontro intimo con Gesù personalmente presente, ciò che fa vera la “Comunione”, anche se la sua presenza “in corpo, anima, sangue e divinità” nel pane e nel vino consacrati non sia da intendere nel senso materiale, ma spirituale. Come, infatti, insegna Paolo, “si semina un corpo naturale e risuscita un corpo spirituale” (1Cor 15,44). Un concetto che si applica a noi, ma che vale prima ancora per Gesù risorto per aprirci lo stesso cammino.

 Gli accidenti non cambiano e, comunicandoci, continuiamo a gustare sapore di pane e di vino. Al punto che potremmo dubitare dei miracoli eucaristici per i quali il pane si sarebbe convertito in carne viva, perché il Risorto ora non ha questo tipo di sostanza materiale. Detto questo, chi siamo noi per impedire al Signore di dare segni visibili, perfino di questo tipo, per suscitare la fede della gente? Anche nei Vangeli si racconta che Gesù risorto mangiava con i discepoli, nonostante come tale (risorto) non avrebbe potuto cibarsi di alimenti.

 Come risorto, attraversava di fatto le pareti e molte volte i discepoli non lo riconoscevano neppure, ma volendo assicurarli che era vivo, si faceva toccare e mangiava con loro. Vedendoli spaventati e tremanti di paura, ci racconta Luca, perché pensavano che fosse un fantasma, dopo aver mostrato le mani e i piedi feriti, domandò se avevano qualcosa da mangiare e, offertagli una porzione di pesce, “lo prese e mangiò davanti a loro” (Lc 24,43).

Perché, allora in questo discorso di Cafarnao (parte del quale leggiamo in questa domenica del Corpus Domini), Gesù parla tanto crudamente del bisogno di mangiare la sua carne e di bere il suo sangue?

 Questo linguaggio duro si giustifica solo con la necessità, da parte dell’evangelista Giovanni, di sottolineare che è solo Lui, Gesù, che può donarci la vita. Non dobbiamo dimenticare che Lui, soprattutto nel Vangelo di Giovanni, è la Parola fatta carne che è venuto ad abitare in mezzo a noi. Per questo, parlando di Sé termina dicendo: “Questo è il pane che è disceso dal cielo: non come quello dei vostri padri [la manna], che mangiarono e morirono; chi mangia di questo pane vivrà per sempre.

 Il linguaggio, per gli uditori di allora che non sapevano chi fosse Gesù, risultò duro al punto che anche i discepoli furono tentati di andarsene. Non lo fecero, perché, – per grazia speciale – Pietro poté intuire e dire che solo Gesù aveva parole di vita eterna. Parole che noi capiamo ancora meglio, dal momento che sappiamo cosa vuol dire che la Parola, il Figlio di Dio, si è fatto carne (vale a dire, debole come noi) perché possiamo trovare forza in Lui, nostro fratello maggiore.

 Servirebbe poco partecipare al banchetto dell’Eucaristia, senza lasciare che il Signore entri in comunione con noi in quel momento e nella nostra vita. Fare la comunione non vuol dire ricevere l’Ostia consacrata, come molti pensano e, poco dopo essersi comunicati, vanno a santificarsi con l’acqua benedetta. Vuol dire entrare in comunione con il Signore Gesù che ci ha assicurato la sua presenza al nostro fianco sino alla fine del mondo. Lo stesso Signore Gesù, continuamente, bussa alla nostra porta aspettando che gli apriamo per cenare con noi.

 Nell’ultima cena, infatti, lavati i piedi dei suoi discepoli, Gesù disse alcune parole molto simili a quelle che proferì dopo l’istituzione dell’Eucaristia (“Fate questo in memoria di me”). “Vi ho dato un esempio”, disse dopo la lavanda dei piedi “perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (Gv 13,15).

 Cosa vuol dire, allora: “Fate questo in memoria di me”?

Celebrare messa o lavarci mutuamente i piedi? Tutte e due le cose, è chiaro. Ma la cosa importante, è ricordare che l’Eucaristia è l’incontro sacramentale con Gesù nel suo mistero di salvezza che vuole donarci la forza di amarci reciprocamente a nostra volta. Senza la connessione dei due aspetti, le molte “comunioni” rimangono molte “comunioni”. Chi continua a salvarci è Gesù che – in ogni Eucaristia – continua a chiedere per noi: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). Soltanto se ognuno di noi lo ascolta come chiedendo questo perdono per mezzo di lui, però, può dire che si è comunicato pienamente, che è entrato in comunione con il Signore e lo ha invitato a entrare nella sua vita.