Vi lascio la pace, vi do la mia pace
23Gli rispose Gesù: "Se uno mi ama, osserverà la mia
parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso
di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate
non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. 25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paraclito,
lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa
e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. 27Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il
mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28Avete udito
che vi ho detto: "Vado e tornerò da voi". Se mi amaste, vi
rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. 29Ve l'ho detto
ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.
Come altri passaggi del quarto Vangelo,
anche questo è abbastanza difficile da districare, ma lo tentiamo ugualmente.
Per prima cosa bisogna sapere che Gesù sta rispondendo a Giuda, “non
l’Iscariota”, che nel versetto precedente (il 22) gli ha chiesto: “Signore,
come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?” Non si sa bene chi
sia questo Giuda che, in alcune versioni, al posto della precisazione (“non
l’Iscariota”) se ne trova un’altra (“il Cananeo”). Forse è il “fratello” di
Gesù (Mc 6,3; Mt 13,55) autore della lettera omonima, o Giuda di Giacomo (Lc
6,16).
Tuttavia, nonostante questa
incertezza sull’identificazione del personaggio, rimane l’importanza della sua
domanda e, soprattutto, della risposta di Gesù che spiega il perché di questa
distinzione tra “i discepoli” e “il mondo”. “Se uno mi ama, osserverà la mia
parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso
di lui”, rispose, infatti, Gesù, aggiungendo, inoltre: “Chi non mi ama non
osserva le mie parole”.
I discepoli si suppone che amino,
mentre il mondo [che qui rappresenta gli oppositori] no. “Chi mi ama [il
discepolo], osserva la mia parola”, dice, infatti, Gesù. “Chi non mi ama [il
mondo]”, aggiunge, “non osserva le mie parole”. Con questo, Gesù vuole dire che
non basta che Egli si riveli, e neppure che Egli ami, se nessuno è interessato
a questo. Bisogna essere disposti a relazionarsi con chi ci offre il suo amore
e, come conseguenza, amare a nostra volta, come risulta da ciò che Gesù va
aggiungendo: “Chi mi ama, osserverà la mia parola”. Sì, perché non c'è un amore
unidirezionale che raggiunga il suo scopo salvifico. L’amore deve essere
corrisposto o, almeno, capito col desiderio di corrispondervi.
Paolo lo dice chiaramente con
queste parole, belle e categoriche allo stesso tempo: “Se parlassi le lingue
degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba
o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi
tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da
trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche
dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma
non avessi la carità, a nulla mi servirebbe” (1Cor 13,1-3).
Che Gesù dica che la parola che
stanno ascoltando i suoi discepoli non è sua, ma del Padre che lo ha inviato,
serve per comunicare tutto ciò che significa la sua incarnazione come
intenzione salvifica presa insieme dal Padre e da Lui (suo Figlio) che, come ha
detto in altra occasione, sono “una cosa sola”. Naturalmente, per capire questo
occorre un aiuto molto forte. C'è bisogno dello Spirito Santo che è l’Amore tra
il Padre e il Figlio. Gesù lo sa molto bene e lo aveva spiegato ai discepoli di
allora e, ora, lo spiega a noi, ascoltatori del Vangelo: “Vi ho detto queste
cose mentre sono ancora presso di voi”, aveva detto loro, “Ma il Paraclito, lo
Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e
vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”.
Questo insegnamento giunse per la
prima volta il giorno di Pentecoste, quando lo Spirito risvegliò, nel cuore di
Pietro e di molti altri discepoli riunti nel Cenacolo, il ricordo di tutto
quello che Gesù aveva fatto e insegnato insieme alla comprensione
dell’importanza della sua morte sulla Croce. Accadde anche a ciascuno di noi nel
momento in cui diventammo credenti, ma l’ascolto dello stesso Spirito deve
ripetersi tutti i giorni, nella preghiera, nella lettura dei Vangeli e lungo
tutta la giornata.
Gesù termina lasciando ai suoi
discepoli la sua pace che non è la semplice assenza di guerra (“Non come la dà
il mondo”, disse), ma la pienezza alla luce della sua salvezza. Termina con
questo dono della pace e con un’assicurazione affinché, in sua assenza, i
credenti non si turbino né si sgomentino. “Vado e tornerò da voi”, dice loro.
Anche i primi discepoli non torneranno più a vederlo come lo hanno conosciuto e
toccato stando e mangiando con Lui, ma li assicura: “Ecco, io sono con voi
tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). E lo Spirito, se ci
facciamo caso, continua a ricordarcela, questa assicurazione.
Ciò che Gesù aggiunge (“Se mi
amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di
me”) non vuol dire che il Figlio sia inferiore al Padre, se non nel suo
procedere da Lui, ma che, benché in Lui si sia manifestato Dio (Gv 1,18), il
Padre e lo stesso Figlio, sono molto più di ciò che si può vedere con gli occhi
del corpo. Per questo Gesù dice che, anziché rattristarsi, i discepoli
dovrebbero rallegrarsi. Torna al Padre ed è da lì che la sua presenza accanto a
ciascuno sarà ancora più piena di quanto lo sia stata sulla terra. “Ve l'ho
detto ora, prima che avvenga”, li assicura “perché, quando avverrà, voi
crediate”.