sabato 16 settembre 2023

Meditazione sul Vangelo della Domenica

 



Le volte che Pietro, e tutti i discepoli di Gesù, dovrebbero perdonare al loro fratello, sarebbero settanta volte sette, cioè 490 volte, perché il calcolo questo dà. In realtà, Gesù non pensa a questo, perché, sebbene sia moltissimo perdonare 490 volte, mettere un limite al perdono è proprio ciò che il Signore non vuole fare.

Con una probabile contrapposizione alla sfrenata disposizione alla vendetta di Lamec in Gen 4,24 (Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamec settantasette), Gesù vuol dire che il perdono, come il suo, non deve avere nessun limite. Infatti, la parabola che segue del servo senza cuore è il miglior commento a una delle invocazioni del Padre Nostro (E rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori).

Il servo che doveva al suo padrone diecimila talenti e gli erano stati condonati ma, a sua volta, non aveva voluto condonare i cento denari che un suo compagno doveva a lui, ci sembra una persona senza cuore. Ma, attenzione! Gesù sta rivolgendosi a Pietro. E se, in quel momento, sta parlando per lui e gli altri apostoli, adesso, dalle pagine del Vangelo, sta parlando a noi.

Anche il padrone della parabola che chiama il suo svergognato dipendente, sta parlando con noi in nome del Signore che sempre è disposto a perdonarci. Ci ricorda ciò che non dovremmo mai dimenticare. Che anche noi siamo stati perdonati e, inoltre, senza averlo neppure chiesto. Forse non abbiamo debiti tanto grossi come quel servo senza cuore, ma è ciò che Gesù ci ha insegnato a chiedere nel Padre Nostro: “Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

Una responsabilità molto grande, ma è questa capacità di perdonare sempre ciò che qualifica lo sforzo cristiano. Una cosa per nulla facile, soprattutto quando la colpa commessa è umanamente insopportabile e la ferita non cicatrizza mai. Ma, non dobbiamo sbagliarci. Il perdono che Gesù vuole dai suoi discepoli, non si riferisce ai sentimenti, ma alla volontà. Le ferite rimangono e nessuno ci chiede che torniamo a fidarci di uno che ci ha ingannato o ha ucciso nostro figlio. Questo di solito lo chiedono soltanto i giornalisti più sciocchi quando vanno a intervistare le povere vittime di perdite tanto grandi.

In casi gravi come questi, ma anche in altri meno gravi, ciò che richiede Gesù è il desiderio di perdonare, fatto preghiera. Il desiderio di poter arrivare un giorno a non odiare, neppure quelli che ci hanno fatto molto male. La ferita rimane, ma, con l’aiuto di Dio, e il tempo necessario, potremo diventare capaci di dire al Signore, senza timore di mentire, “rimetti a noi i nostri debiti, Padre, come anche noi li abbiamo rimessi [vogliamo rimetterli] ai nostri debitori”.

Le ferite non sono sparite neppure dal corpo glorioso di Gesù, ma Lui, nonostante tutta l’ingiustizia che vedeva in loro, dalla croce, anche per chi lo stava condannando, disse: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).