sabato 1 luglio 2023

Meditazione sul Vangelo della Domenica









In Lc 14,26, queste parole di Gesù risuonano ancora più forti: "Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, sua moglie, i suoi figli, i suoi fratelli, le sue sorelle e perfino la sua stessa vita, non può essere mio discepolo".

La versione di Matteo è più in linea con il significato semitico di odio, che non significa detestare (sarebbe disumano e contro ogni principio etico!), ma amare meno. Ecco perché, nel testo del primo evangelista letto in questa XIII domenica del Tempo Ordinario, Gesù parla in questo modo: "Chi ama suo padre o sua madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me" (Mt 10,37).

L’esigenza è ancora molto impegnativa, ma ciò che Gesù sottolinea è che chi vuole essere suo discepolo deve sapere che si tratta di una svolta molto seria e condizionante. In termini conosciuti, potremmo paragonarla alla decisione di sposare una persona. Non si tratta di un semplice cambiamento di status sociale, ma di mettere la persona scelta (la donna o l'uomo) al di sopra di tutti gli altri, compresi i genitori, come si legge nel comando primordiale di Genesi 2,24: "Per questo l'uomo lascia suo padre e sua madre e si unisce a sua moglie". Lo stesso vale per Gesù. Una volta che abbiamo deciso di seguire le sue orme come discepoli, non dobbiamo mettergli davanti nient'altro.

La prima conseguenza è questa: non siamo veri cristiani fino a quando tutto il resto non viene posposto alla sequela di Cristo e del suo Vangelo. La seconda si riferisce a ciò che significa seguire Gesù, cioè alla necessità di prendere la propria croce. Sì, perché "chi non porta la sua croce e non mi segue non è degno di me", dice il Signore. Croce non fu probabilmente il termine usato da Gesù, perché nessuno avrebbe potuto pensare alla croce (strumento di condanna maledetto dalla stessa Scrittura) prima di vederla illuminata dalla sua morte per amore e vinta dalla risurrezione. 

Ciò che Gesù intendeva - forse con un altro termine (giogo, ad esempio) - è chiaro nelle parole che seguono: "Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà". Non aggrapparsi alla vita e rinunciarvi per gli altri è proprio quello che ha fatto Gesù, che Dietrich Bonhoeffer ha giustamente definito “Uomo per". Marciando davanti a noi come fratello maggiore, Gesù stesso ci ha dato l'esempio di cosa significa vivere (dare la vita) e non semplicemente sopravvivere (aggrapparsi a sé senza pensare a nessuno).

In un antico libro chiamato Didaché (una raccolta dell'insegnamento dei Dodici Apostoli), scritto all'inizio del II secolo, perfino il Vescovo viene esortato, ad esempio, a offrire la propria cattedra di presidenza a un fratello che arriva stanco da un lungo cammino e non trova altro posto per sedersi e riposare. Da parte sua, San Giovanni Crisostomo, parlando della dignità dell'ospite, arriva a paragonare il calice eucaristico alla coppa d'acqua che si offre a un fratello assetato e bisognoso di riposo. Sì, perché un gesto di carità ha un valore sacramentale e, chiunque sia a compierlo, persino sacerdotale. Gesù stesso ce lo assicura in un altro testo: "Come l'avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40).

Come si vede, quando parla della necessità di portare la propria croce, Gesù non sta pensando a penitenze e mortificazioni, ma al nostro atteggiamento nei confronti della vita. Se siamo generosi e facciamo del nostro meglio per usare il nostro tempo e le nostre forze per il bene degli altri e i doveri del nostro stato, stiamo prendendo la nostra "croce" e ci comportiamo da discepoli. Non dobbiamo fare programmi di penitenza, ma dobbiamo essere pronti ogni giorno a fare bene ciò che ci verrà incontro. Così come chiediamo il pane quotidiano, ogni mattina possiamo chiedere la grazia di essere pronti ad affrontare ciò che la vita ci sta per offrire in quel giorno che sta iniziando.        

In altre parole, Gesù non ci chiede di prendere una croce di penitenza, per quanto pesante possa essere, ma la nostra croce quotidiana (Lc 9,23). Gli evangelisti hanno introdotto la parola croce, affinché volgiamo lo sguardo alla morte per amore di Gesù, ma il rimando è a tutti i compiti che ci raggiungono ogni giorno e che dobbiamo affrontare senza preoccuparci troppo di ciò che ci toccherà il giorno dopo. Infatti, Gesù stesso dice: "Non preoccupatevi del domani, perché il domani si preoccuperà di sé stesso. A ogni giorno bastano le sue pene" (Mt 6,34).