Non
sono precetti quelli che Gesù dà ai suoi, e neppure consigli per
chi desidera seguirlo più da vicino in un monastero o in un convento, come sino
a poco fa si pensava. Infatti, i Voti dei consacrati si chiamavano Consigli
evangelici e si identificavano con quelli. Si dimenticava che quando Gesù disse
al ricco: “lascia tutto, vieni dietro a me”, non gli stava chiedendo, né di far
parte dei Dodici, né –anche perché non ci fu vita consacrata sino al termine
delle persecuzioni nel quarto secolo – di entrare in convento.
I consigli del Vangelo non sono
consigli, ma proposte per chi desidera seguire Gesù. La sua proposta è molto
alta, nessuno può presumere di poterla vivere nella sua totalità, ma nessun
cristiano può evitare di perseguirla con umiltà e perseveranza. Essere
cristiano, infatti, vuol dire percepire sempre più chiaramente la chiamata di
Gesù a seguire il suo messaggio, sia che viva in un monastero o in mezzo alla
società. Certamente, non con il radicalismo di San Francesco, ma sempre con
gioia, e non solo nei momenti più o meno sublimi della preghiera, ma nella
realtà della vita quotidiana, spesso buia e poco “spirituale”.
Volendo che capiamo bene questo, Gesù
ci dice: “Avete
inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non
opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu
porgigli anche l'altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la
tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo
per un miglio, tu con lui fanne due. Dà a chi ti chiede, e a chi desidera da te
un prestito non voltare le spalle”. Sono
parole molto esigenti e difficili, ma essere cristiani vuol dire pregare per
poterle attuare, dietro di Lui e con il suo aiuto.
“Avete inteso che fu detto:
Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma”, aggiunge Gesù, “io vi
dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano”.
Non si tratta di un consiglio, e neppure di un nuovo dovere. Si tratta di una
conseguenza di ciò che significa essere cristiani, cioè, fratelli di Gesù e
figli del medesimo Padre. “Affinché” - giustifica, infatti, Gesù, questa
esigenza - siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il
suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”.
Amare quelli che ci amano
è cosa buona, ma – a meno che non si sia anaffettivi – è anche abbastanza normale,
non occorre essere discepoli di Gesù che, non per nulla, aggiunge: “Non
fanno così anche i pubblicani?”. “E
se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario?
Non fanno così anche i pagani?”. Sta bene, ma non è
necessario il Vangelo, per essere gentili e riconoscenti. Chi segue Gesù deve
cercare di agire con lo stesso cuore del Padre, ossia, deve lasciar agire lo
Spirito Santo dentro di lui.
Amare i nemici, non vuol dire andare a spasso
con loro, come se nulla fosse successo, bere birra insieme e invitarli alle
nostre feste. Significa, però, pregare per loro, anche se questo non ci piace affatto,
e pregare per noi stessi, per arrivare ad essere disposti ad aiutarli in caso
di necessità.
Non giungeremo mai alla
perfezione e alla misericordia del Padre, ma l’ideale è questo. Questa è la
stella su cui tener fisso lo sguardo e questo è ciò che Gesù vuole che
percepiamo, guardando al nostro Padre comune che, proprio perché è perfetto, è
misericordioso e fa sorgere il sole e cadere la pioggia sui cattivi
e sui buoni.