L’episodio della moltiplicazione dei
pani è preceduto dal ritorno dei Dodici che Gesù aveva inviato a proclamare il
regno di Dio. All’ascolto di tutto quanto avevano compiuto in quella missione,
Gesù, prendendoli con sé, si era ritirato con loro in un luogo solitario nei
pressi della città di Betsaida. Secondo l’interpretazione esplicita
dell’evangelista Marco in 6,31, aveva voluto portarli con sé in quel luogo
affinché potessero riposare un poco da soli con Lui, ma la gente, resasi conto
della sua partenza, li aveva raggiunti anche là.
Da parte sua, Gesù non solo non si negò
a nessuno, ma accolse tutti e, parlando loro del regno, “sanava quelli che
avevano bisogno di guarigione”. Era quello che faceva sempre, ma quel giorno
non si accorse che il sole cominciava rapidamente a tramontare e che la gente era
molto lontana da qualsiasi villaggio. Se ne resero conto i Dodici che,
avvicinandosi al Maestro, gli dissero: “Congeda la folla perché vada nei
villaggi e nelle campagne dei dintorni per alloggiare e trovare cibo: qui siamo
in una zona deserta”.
Ed è qui che comincia il miracolo della
moltiplicazione dei cinque pani e dei due pesci. Lo avrebbe fatto Gesù, ma
qualcosa si aspettava anche dai suoi discepoli. Mentre, infatti, essi,
preoccupati per l’avvicinarsi della notte gli stavano chiedendo di mandare la
gente a cercare alloggio e cibo prima che fosse troppo tardi, Lui, tranquillo,
rispose: “Voi
stessi date loro da mangiare”.
Gesù, non ha bisogno che glielo dicano,
sa molto bene che i suoi discepoli non hanno che il necessario per Lui e per
loro (cinque pani e due pesci) e che, lì, ci sono migliaia di persone. Perché,
allora, chiede che siano loro a dar da mangiare alla gente? Se sarà Gesù a
moltiplicare quei pochi alimenti, qualcosa di più avrà voluto pur dire! E se
l’evangelista ha voluto lasciare memoria di questa sollecitazione, è perché
deve essere importante anche per noi lettori di oggi. Certamente non ci chiede
il miracolo della moltiplicazione, cosa che può fare solo Lui, ma la
disponibilità a condividere il poco che abbiamo, quella sì, la richiede, e, in qualche modo, ne
ha bisogno.
Può essere, detto tra parentesi, che
neppure il fatto che i pani siano cinque
e i pesci due, sia solo casuale, dal
momento che, sommati, risultano essere sette
elementi. Sette, infatti, non è solo il simbolo della totalità, ma anche la
somma di sei più uno. Sei come i
giorni lavorativi che rappresentano l’uomo,
e uno, il settimo giorno (il sabato),
riposo di Dio e figura della sua presenza in mezzo all’umanità. Cinque pani e due pesci sono poca cosa, sono la provvista per il piccolo gruppo
dei discepoli e il loro maestro, ma uniti alla generosità di Dio sono
importanti. Ai suoi discepoli, preoccupati, forse, di rimanere senza mangiare
essi stessi, Gesù avrebbe potuto dire di non darsi pensiero e fare il miracolo
senza quei cinque pani e i due pesci, ma ha voluto che il miracolo avvenisse
anche per la disponibilità dei suoi a condividere il poco che avevano.
Il miracolo continua con altri
particolari difficili da capire con tutta sicurezza. Il fatto, per esempio, che
Gesù voglia che la gente si segga comoda (“Fateli
sedere”) vuole, forse, sottolineare il contrasto con la cena pasquale
dell’esodo, consumata in piedi e in tutta
fretta, per il pericolo di essere sorpresi dagli egiziani, e insinuare che,
adesso, con il Signore in mezzo a noi, non c'è nulla da temere, mangiando tranquilli alla sua mensa. Volere che i
gruppi siano di cinquanta pare non
abbia alcun riferimento ai gruppi ordinati da Mosè nel deserto del Sinai (Es
18, 25), ma, forse questo sì, al numero massimo di persone, ammesse nelle prime
assemblee cristiane.
Come Gesù aveva comandato, i discepoli
fecero in modo che tutti si sedessero e, allora, prendendo “i cinque pani e i
due pesci, Gesù alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li
spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla”. È evidente
che, alzare gli occhi al cielo,
recitare la benedizione sopra
l’alimento, spezzarlo e darlo ai discepoli, sono tutti elementi
che, insieme al mangiare a sazietà dell’annotazione
finale, non sono gesti fortuiti. Sono piuttosto un esplicito riferimento
all’Eucaristia che gli apostoli e i loro successori, preoccupati allo stesso
tempo che i credenti abbiano il sufficiente per vivere, celebreranno con i
cristiani riuniti nella Cena del Signore.
Come risulta chiaro dagli abusi
denunciati da Paolo (cfr 1Cor 11,17-34), la Cena
del Signore celebrata nelle prime comunità cristiane, era associata a un
pasto completo in comune dove, chi aveva in abbondanza condivideva con i
bisognosi. Solo nei secoli successivi, pur mantenendo l’offerta simbolica dei
doni che, a volte, include anche qualcosa per i poveri, l’Eucaristia è
infelicemente diventata un rituale separato dalla vita. Una celebrazione che
tuttavia – nelle piccole comunità cristiane di un futuro non molto lontano – dovrà
recuperare questa relazione della fede con la vita, e riscoprire che una
eucaristia senza condivisione non ha senso.
Il racconto termina dicendo che “tutti mangiarono a sazietà e furono portati
via i pezzi loro avanzati: dodici ceste”. In altri contesti le ceste dei
pezzi avanzati non sono dodici, ma sette (Mc 8,8) e indicano semplicemente
l’abbondanza che risulta dal mettere a disposizione il poco che uno ha. Qui le
ceste sono dodici, come in Mc 6,43, e
questo indica, ancor più chiaramente, che il piccolo contributo di ciascuno dei
dodici apostoli, unito alla potenza di Gesù, è stato importante.