sabato 9 aprile 2022

Meditazione sul Vangelo della Domenica delle Palme



 Domenica delle Palme
 

28Dette queste cose, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. 29Quando fu vicino a Betfage e a Betania, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli 30dicendo: "Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. 31E se qualcuno vi domanda: "Perché lo slegate?", risponderete così: "Il Signore ne ha bisogno"". 32Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. 33Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: "Perché slegate il puledro?". 34Essi risposero: "Il Signore ne ha bisogno". 35Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. 36Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. 37Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, 38 dicendo: "Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!". 39Alcuni farisei tra la folla gli dissero: "Maestro, rimprovera i tuoi discepoli". 40Ma egli rispose: "Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre". (Lc 19,28-40)
Il Vangelo di oggi – domenica delle Palme – è il racconto della Passione (Lc 22,14-23,56) che – senza bisogno di commento – si offre, nella sua interezza, per essere ascoltato attentamente e meditato personalmente. Qui preferisco commentare il Vangelo che si legge prima di iniziare la processione delle palme (Lc 19,28-40) e che racconta l’entrata di Gesù a Gerusalemme e la sua accoglienza da parte della gente semplice e umile che, contro l’opinione delle autorità religiose, lo riconosce come Messia “figlio di Davide”.
«Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore»
L’espressione “dette queste cose” con cui inizia il racconto si riferisce alle parole pronunciate da Gesù, alla fine della parabola delle dieci mine che termina con questa sentenza: “A chi ha sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha”. “Dette queste cose”, scrive Luca, “[Gesù] camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme”.
Questo camminare davanti agli altri discepoli e il salire verso Gerusalemme 
 è molto importante nel terzo Vangelo, tutto strutturato come un unico viaggio di Gesù iniziato in 9,51 con queste incisive parole: “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, indurì il suo viso e si diresse verso Gerusalemme”.
Si stavano avvicinando a Gerusalemme, ci informa l’evangelista, passando per Betfage (casa dei fichi) e Betania (casa dei poveri o di Anania), dove Gesù si incontrava a volte con Marta, Maria e Lazzaro, suoi amici. Due luoghi che, giungendo da Gerico dove erano stati fino ad allora, sono gli ultimi villaggi prima di giungere alla cima del monte degli Ulivi, dalla quale si ammira la città in tutta la sua splendida ampiezza. Tra il monte e Gerusalemme sta il torrente Cedron e, prima di scendere per poi salire alla città, Gesù ordina a due dei suoi discepoli di andare a cercare un puledro sul quale desidera salire.
In quel momento Gesù, nonostante ciò a cui andrà incontro tra pochi giorni, non è triste come sì, lo sarà poco dopo, quando, avvicinandosi di più alla città e vedendo l’ostilità dei capi contro di lui, pianse sopra di lei profetizzando l’assedio dei romani che “non lasceranno pietra su pietra”, per non aver riconosciuto il tempo della visita di Dio (vv. 41-44).
Non si conosce il luogo di questo “villaggio di fronte”, al quale Gesù invia i due discepoli a slegare il puledro; forse può essere un villaggio sulla stessa cima del monte. Ciò che interessa è il puledro e il fatto che nessuno vi è mai salito. Perché? Perché, secondo Numeri 19,2 e Deuteronomio 21.3, un animale destinato al culto non deve aver portato il giogo. Da parte sua Zaccaria 9,9, riferendosi direttamente all’ingresso del Messia, aveva profetizzato: “Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina”.
I due discepoli incaricati da Gesù andarono al villaggio indicato dal Maestro e, dopo aver detto ai padroni dell’animale che ne aveva bisogno il Maestro (“Il Signore ne ha bisogno”, dissero) lo presero e lo condussero a Gesù che li aspettava. Tutto ciò che segue dopo aver messo dei mantelli sull’animale affinché Gesù vi salisse, sembra accadere spontaneamente: molti addobbarono il cammino con i loro mantelli, altri con rami tagliati nel campo e chi precedeva e seguiva, andava gridando: “Benedetto colui che viene il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!
La collocazione dei mantelli ai piedi della cavalcatura di Gesù ricorda l’accoglienza di Ieu appena unto re di Israele nell’815 a.C. (2Re 9,11-13) e ai farisei sembra pericoloso che Gesù permetta che acclamino anche Lui come “il re che viene nel nome del Signore”. “Maestro”, gli dicono, “rimprovera i tuoi discepoli”. È l’ultima volta che Luca, nel suo Vangelo, fa comparire i farisei, quasi volesse scagionarli dalla partecipazione al processo di Gesù, mostrando una certa simpatia per loro; è il solo evangelista, infatti, che racconta di inviti a Gesù, da parte di qualcuno di loro a pranzare nella sua casa (Lc 11,37 e 14,1). Un occhio di benevolenza per i farisei si era manifestato anche nell’episodio in cui alcuni di loro si erano avvicinati a Gesù per consigliargli di andarsene dalla Giudea perché Erode minacciava di ucciderlo (13,31)[1].
Anche quando, adesso, alcuni farisei gli dicono di far tacere i discepoli che lo acclamano come “il re che viene nel nome del Signore”, è possibile che lo facciano solo per evitare che le autorità romane pensino a Lui, come a un ribelle pericoloso. Non possono immaginare, che Gesù si stia incamminando proprio a dare la vita per il riscatto di tutti. In quel momento non possono saperlo i farisei, come, pur portandolo in trionfo, non lo sa neppure la gente né gli stessi discepoli.
Quando, però, l’evangelista, circa trent’anni più tardi, riferisce la risposta di Gesù a quei farisei (“Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre”), i cristiani che leggono il suo Vangelo sanno già molto bene ciò che il Maestro voleva dire. Sanno che questa espressione, presa dal Profeta Abacuc (2,11), esprime la buona notizia che sta giungendo a tutto il mondo. La Buona Notizia (Euangélion) che nella pienezza dei tempi il Figlio di Dio, affinché il suo amore giungesse a tutti, si è lasciato prendere la vita. Non aveva scritto, Luca, che un giorno, Gesù si era fatto serio e aveva intrapreso il suo viaggio verso Gerusalemme?



[1] Questa simpatia è probabilmente dovuta al fatto che Luca, collaboratore e amico di san Paolo (2Tm 4,11) conosce bene l’orgoglio dell’Apostolo di essere stato fariseo, come confessa chiaramente ai Filippesi: “Circonciso all’ottavo giorno, della stirpe di Israele, della tribù di Beniamino, ebreo figlio di ebrei; in quanto alla legge, fariseo” (Fil 3,5; cf. At 23,6 e 26,5).