sabato 19 marzo 2022

Meditazione sul Vangelo della III domenica di Quaresima

 Credete che fossero più colpevoli di tutti?

1In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2Prendendo la parola, Gesù disse loro: "Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4 O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo". 6Diceva anche questa parabola: "Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7Allora disse al vignaiolo: "Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest'albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?". 8Ma quello gli rispose: "Padrone, lascialo ancora quest'anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9Vedremo se porterà frutti per l'avvenire; se no, lo taglierai"". Lc 13,1-9


Sembrano due cose che non hanno relazione tra loro (ciò che dice Gesù sulle due tragedie avvenute a Gerusalemme e la parabola del fico che non dà frutto ormai da tempo), ma, a pensarci bene, ci rendiamo conto che non è così. Osservando bene, si tratta di tre insegnamenti sullo stesso argomento della conversione:
Nel primo Gesù si impegna a mettere in chiaro che nelle avversità che ci possono capitare nella vita, Dio non ha nulla a che vedere. Le cause possono essere naturali (la torre in Siloe che cadendo uccise diciotto persone) o frutto della cattiveria umana (i galilei assassinati da Pilato mentre offrono sacrifici nel tempio), ma mai mandate da Dio. Israele, come tutti continuiamo a farlo istintivamente, lo aveva pensato e anche scritto come parola di Dio[1], ma ora è venuto nel mondo Gesù, Parola unica e definitiva di Dio, come si legge all’inizio della lettera agli Ebrei[2], per dire che non è così che si deve pensare. Dopo tutto, il Signore si era già pronunciato per mezzo del profeta Ezechiele. “Io non godo della morte di chi muore”, aveva detto. “Convertitevi e vivrete” (Ez 18,32).
Parole, queste di Ezechiele, che ci portano a capire il secondo insegnamento di Gesù. Quelli che sono morti per disgrazia o per la malvagità di Pilato, anche se peccatori come tutti, non sono morti per i loro peccati. “Pensate che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte?”, domanda a quelli che erano venuti a riferirgli il triste avvenimento. “No, io vi dico”, aggiunge perentorio. Desiderando, poi, porre fine a questi inutili ed erronei pensieri, parla loro di ciò che veramente importa, ossia, la conversione. “Ma se non vi convertirete”, aggiunse rivolto agli altri che erano venuti a dirgli della torre caduta, “perirete tutti allo stesso modo”. Non tornare al Signore è come morire, voleva dire, e, anche quelle disgrazie, potrebbero essere occasioni per risvegliarsi a questa necessità.
E arriviamo, così, al terzo insegnamento contenuto nella parabola del fico (figura di Israele e di ciascuno di noi). Il suo padrone (figura di Dio), non trovando mai fichi sui suoi rami, dice al suo vignaiolo (figura certamente del Figlio di Dio, cioè di Gesù), che sarebbe ora di tagliare quell’albero inutile. “Ecco”, gli dice, “sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque!”. Attenzione anche a questo, se il vignaiolo è il Figlio di Dio, i tre anni sono il tempo del ministero pubblico di Gesù che, per il momento, non ha convertito nessuno e, umanamente sarebbe già il momento che Dio si stancasse di attendere.

Umanamente!

Ma, siccome il vignaiolo è Gesù che è venuto per salvarci, chiede ancora altro tempo: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”.
Non bisogna pensare, però, che Gesù sia più buono del Padre, come, a volte, pensiamo che la Vergine lo sia più di Gesù e che sia necessario che Lei lo blandisca. Il Figlio e il Padre hanno lo stesso intento di salvare tutti, e entrambi stanno facendo il possibile perché lo capiamo. “Dio infatti ha tanto amato il mondo”, disse lo stesso Gesù a Nicodemo, “da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).
Chiaro che, se non lo capiamo, restiamo inutili come quel fico. Dio dovrebbe tagliarci, se non fosse Colui che non cessa di aspettarci a qualunque ora, come quel padre della parabola del figlio perduto. Ma un giorno dovremo renderci conto di questa attesa e cominciare a lavorare come figli, se ci fossimo allontanati, e non già come schiavi (se fossimo rimasti a casa, ma solo per paura).

[1] “Sono io che do la more e faccio vivere; io percuoto e io guarisco” (Dt 32,39).
[2]“Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo” (Hb 1,1-2).