martedì 1 novembre 2022

Meditazione sul Vangelo della Solennità di Tutti i Santi

 PADRE BRUNO MORICONI CI ACCOMPAGNA CON LA SUA MEDITAZIONE SUL VANGELO DI QUESTA SOLENNITA'


Per poter capire il senso profondo delle Beatitudini, bisogna tener presente che non si tratta di proposte ascetiche o di impegni etici, ma di ideali da leggere alla luce di come le ha vissute Gesù. Rispecchiano, infatti, i tratti del Suo volto, di Gesù povero, di Gesù sofferente, di Gesù mite, di Gesù affamato e assetato di giustizia, di Gesù misericordioso, di Gesù puro di cuore, di Gesù operatore di pace e, infine, di Gesù perseguitato.  

È di massima importanza, dunque, leggere attentamente l’inquadratura scenografica con cui inizia il capitolo del Discorso della montagna di Matteo. “Vedendo le folle”, scrive, infatti, l’evangelista, “Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli”. Le folle, erano, dunque, rimaste ai piedi del monte, quando Gesù “si mise a parlare e insegnava loro [ai discepoli che gli si erano avvicinati] dicendo [le beatitudini]”. Le folle sono presenti e costituiscono sicuramente la preoccupazione costante di Gesù come dimostra in tante altre occasioni, ma – a parte l’impossibilità di farsi sentire da chi gli stava ormai lontano – secondo l’esplicita annotazione di Matteo, ma anche di Luca nel brano parallelo, Egli dirige il suo discorso, per il momento, ai soli discepoli.

“Gesù”, scrive Luca, “alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi che adesso avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete. Beati voi quando gli altri vi odieranno e vi rifiuteranno, quando vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché la vostra ricompensa è di certo grande nei cieli. Allo stesso modo, infatti, si comportavano i loro padri con i profeti” (Lc 6,20-23).

L’introduzione di Matteo, come abbiamo appena ricordato, è ancora più plastica di quella di Luca e questa precisazione è molto importante, non perché, la predicazione di Gesù in generale e le Beatitudini in particolare, siano dirette solo ad alcuni privilegiati. Il ringraziamento che Gesù, in Mt 11, innalza al Padre in un’altra occasione per aver tenuto nascoste le cose del regno ai sapienti e ai saggi e averle rivelate ai semplici, sarebbe lì a smentirlo categoricamente. Il discorso è, tuttavia, rivolto ai “discepoli”, poiché solo come tali, conoscendo Gesù, saranno in grado di capire ciò che Egli aveva detto quel giorno. 

Gesù sa che il suo discorso, benché non erudito, non lo può comprendere nessuno, neppure i dodici discepoli, ma lo rivolge a loro poiché solo come tali [in quanto lo seguono da vicino e soprattutto perché lo vedranno dare la vita per l’umanità] saranno in grado di capire. Sapranno che quelle “beatitudini”, al momento utopistiche e perfino pericolose, vanno comprese alla luce del comportamento del Maestro. Il suo linguaggio, infatti, non è soltanto nuovo, ma provocatorio e, se considerato in astratto e senza riferimento al suo esempio, perfino fonte di false interpretazioni.

Dire che i poveri, quelli che piangono e gli affamati sono beati in quanto tali è, infatti, proprio il contrario di ciò che Gesù vuol dire. Non solo queste affermazioni sarebbero contrarie alle benedizioni legate all’antica alleanza che promettono prosperità e vita a chi si mantiene fedele al Signore, ma sarebbero pericolose anche se suonassero solo in chiave consolatoria e la consolazione e la beatitudine fossero da riferire a una ricompensa nell’altra vita e non al “Regno di Dio” cui Gesù è venuto a dar inizio sulla terra. La beatitudine di Gesù, infatti, è per questa vita, come ha dimostrato, fra gli altri e in modo eccezionale, san Francesco che l’ha cantata addirittura come “perfetta letizia”.

Senza Gesù, sarebbero veramente oppio e avrebbe avuto ragione Marx a reputarle opportunistiche espressioni religiose volte a consolare i poveri. Il cristianesimo non sarebbe altro che una religione e, come tale, potrebbe perfino - come è accaduto in certa predicazione al sorgere delle problematiche sociali moderne - giungere a scoraggiare i poveri, in base ad un presunto piano provvidenziale, dal desiderare di uscire dalla loro condizione. La povertà, se non è una scelta di austerità per qualche motivo spirituale, è solo causa di sofferenza e, come fanno giustamente i buoni missionari, deve essere combattuta con l’istruzione e ogni altro mezzo di promozione sociale.

Certo, i poveri di cui nessuno si occupa sono oggetto speciale dell’amore di Dio, ma non è certo questo ciò che Gesù vuole proporre come tipico della sua sequela e, quindi, come beatitudine. Si tratta di un capovolgimento radicale dei valori, ma non in senso puramente materiale. Dio, come dimostra lo stesso Gesù con il suo comportamento, è per ogni categoria di persone - non esclusi i benestanti come Nicodemo, Matteo, la famiglia di Betania, e altri. Sono molti i testi antico testamentari sui poveri come oggetto particolare della benevolenza divina, ma le beatitudini vanno molto più nel profondo e riguardano l’uomo come tale.

Qualunque sia la sua condizione sociale, chi vuol essere discepolo di Gesù, deve essere distaccato da tutto o, come indica l’aggettivo aggiunto da Matteo alla prima beatitudine, povero “in spirito”, ossia, disposto alla condivisione.