sabato 26 marzo 2022

Meditazione sul Vangelo della IV Domenica di Quaresima



Un uomo aveva due figli, ma essi non sapevano di avere un padre

1Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: "Costui accoglie i peccatori e mangia con loro". 3Ed egli disse loro questa parabola: […] 11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: "Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta". Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: "Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati". 20Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: "Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio". 22Ma il padre disse ai servi: "Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato". E cominciarono a far festa. 25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: "Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo". 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: "Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso". 31Gli rispose il padre: "Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato"».

Lc 15,1-3.11-32

 

Nel quindicesimo capitolo del Vangelo di Luca sono tre le parabole di Gesù. Le prime due parlano di una pecora e di una moneta rispettivamente perse da un pastore e da una povera donna, ma alla fine gioiosamente ritrovate. “Rallegratevi con me!”, dice il pastore agli amici e ai suoi vicini, “ho trovato la pecora, quella che si era perduta”. “Rallegratevi con me!”, dice la donna alle sue vicine, “perché ho trovato la moneta che avevo perduto”.

L’insegnamento è lo stesso nei due casi: “Così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione”, dice Gesù parlando del ritrovamento della pecora. “Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte”, aggiunge al termine della seconda parabola della moneta che, finalmente, la povera donna ha ritrovato.

Per capire ancor meglio il significato di queste due parabole e, soprattutto, della terza, bisogna tuttavia prendere sul serio ciò che è detto nei primi versetti del capitolo. In effetti, non si tratta soltanto di una semplice introduzione come in altre occasioni nelle quali si dice per esempio, “in quel tempo, Gesù disse questa parabola”, senza altra precisazione. Qui l’evangelista scrive che Gesù narra queste tre parabole, perché lo stanno criticando di occuparsi dei peccatori e di stare con loro. “Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo”, scrive Luca. “I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”.

Gli “ecclesiastici” del tempo non potevano soffrire che Gesù, un Rabbi, perché questo titolo glielo riconoscevano anche loro, passasse il tempo con gente di cattiva reputazione come i pubblicani e altri peccatori. Non potevano sopportarlo e mormoravano contro di Lui. Da parte sua, Gesù, anziché giustificare la sua condotta, raccontò tre parabole. Le prime due, come abbiamo appena detto, per sottolineare la gioia che dà a Dio il ritorno a Lui di un solo peccatore. La terza per dire che Dio aspetta tutti, quelli che pensano di essere buoni come quelli che criticano Gesù (rappresentati dal figlio maggiore) e quelli che se ne sono andati da casa, come i pubblicani e i peccatori con i quali Egli si intrattiene molto spesso (rappresentati dal figlio ribelle e scialacquatore).


In effetti, la parabola non ha come protagonista il così detto “figlio prodigo”, ma un padre che ha due figli a cui vuol bene e che li aspetta, nonostante che, ognuno a suo modo, gli sia ingrato. Che ci sarà maggior gioia in cielo per un solo peccatore che si converte che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione, Gesù lo ha detto, infatti, soltanto per mettere in chiaro la preziosità di convertirsi. In realtà – come risulta evidente dalla parabola, dove il più lontano dal Padre risulterà essere proprio il figlio maggiore, nonostante sia fedele ai doveri e gran lavoratore – non c'è nessuno che non abbia bisogno di convertirsi. Non necessariamente di grandi peccati, ma dell’amore con il quale Dio ci ama e si aspetta di essere amato.

 L’insegnamento della parabola è precisamente questo: il Padre non cessa di attenderci. Nella parabola, il primo a incontrarsi con l’amore di suo padre è quello che, senza alcun rispetto verso di lui, se n’era andato di casa pretendendo, addirittura, la sua parte di eredità senza attendere il testamento del padre. Nonostante questo, suo padre non passava giorno che non stesse al balcone sperando di vederlo apparire all’orizzonte. Infatti, il giorno che decise di tornare, fu suo padre che al vederlo “si commosse, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”.

 Il figlio voleva chiedere perdono, ma a suo padre, rappresentante di Dio, bastò il fatto che fosse tornato a casa e, come sappiamo, restituendogli l’anello di figlio, dette subito ordine di organizzare la miglior festa per celebrarne il ritorno. La reazione del figlio maggiore si capisce, lui non solo non se n’era andato sciupando tutto con donne di mal affare, ma non sapendo gioire con suo padre per il ritorno a casa di suo fratello, mostra di non essere buono neppure lui. Da parte sua, il padre lo ama come l’altro, e gli dice la cosa più bella che, tuttavia, ancora non lo libera dalla sua rabbia. “Figlio”, gli dice, “tu sei sempre con me, e tutto ciò che è mio è tuo”.

 La parabola termina così e non sapremo mai se questo banchetto si fece o no. A Gesù, questo dettaglio, non interessa. Ciò che gli interessa è parlare del Padre che aspetta i due figli senza alcuna differenza. Ha aspettato il più giovane perché se n’era andato da casa, ma, ora inizia ad aspettare l’altro, finché si renda conto che non sta lavorando sotto un padrone, ma in casa sua, dove tutto ciò che è del padre è anche suo.

La stessa cosa, d’altra parte, dovrà imparare quello che è tornato. Per lui, sapendo il male che ha fatto, risulterà più facile, ma, al capirlo, comincerà a lavorare come mai aveva fatto prima. Dal canto suo, rendendosi conto di essere a casa sua, il maggiore continuerà a lavorare, ma di volentieri, senza le ansie e i cattivi risentimenti di prima. Fino ad ora, né l’uno né l’altro si sono comportati come figli, ma il padre continua ad aspettare sia l’uno che l’altro, ossia, quelli che si sono allontanati nel peccato e quelli che sono rimasti a casa operosi, ma solo per timore