sabato 29 gennaio 2022

Meditazione sul Vangelo della Domenica

 


 




Non è costui il figlio di Giuseppe?

 

21Allora cominciò a dire loro: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato". 22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: "Non è costui il figlio di Giuseppe?". 23Ma egli rispose loro: Certamente voi mi citerete questo proverbio: "Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria!". 24Poi aggiunse: "In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. 25Anzi, in verità io vi dico: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. 27C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naaman, il Siro". 28All'udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. 30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino. 31Poi scese a Cafarnao, città della Galilea, e in giorno di sabato insegnava alla gente. (Lc 4,21-30)



Attenzione!

Le parole con le quali inizia la lettura del Vangelo di oggi sono le stesse con le quali terminava quello della scorsa domenica (Allora cominciò a dire loro: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”). Come ben sappiamo, oggettivamente, in questa affermazione di Gesù c'è tutto: con Lui si compie la profezia di Isaia e molto più di quanto ci si attendeva. Il Messia è Lui, non bisogna attenderne altri. Giovanni Battista, nel vedere che Gesù si cura più dei peccatori che dei “giusti”, non dovrebbe aver timore, non si è sbagliato.

Il problema è soggettivo!

Siamo noi, rappresentati quel sabato, nella sinagoga, dai compaesani di Nazaret. Hanno appena ascoltato Gesù e, in un primo momento, lo lodano. “Tutti gli davano testimonianza”, scrive l’evangelista, “ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca”.

Come rattristarsi, infatti, per così buone notizie, nell’ascoltare che sta per compiersi l’anno di grazia del Signore, annunciato dal profeta? Certo che si rallegrano, ma pensando bene a ciò che ha detto Gesù, cioè, che sopra di Lui si è posato lo Spirito, la contentezza svanisce lentamente. Poco prima, al termine della lettura del profeta, l’evangelista aveva annotato che “nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di Lui” (v. 20), ma ora la stessa gente si rende conto di conoscerlo bene quel lettore. Guardandosi, allora l’un l’altro, cominciarono a dirsi: “Non è costui il figlio di Giuseppe?”.

È uno scandalo intollerabile!
Gesù è uno del popolo, figlio di Giuseppe il falegname, e non è possibile che – come dirà Natanaele nel quarto Vangelo – da Nazaret possa uscire qualcosa di buono. E ciò che sorprende, in quel caso, è che lo stesso Gesù gli darà ragione, riconoscendo in quel discepolo un vero israelita che conosce bene la Legge, rappresentata da quel fico sotto il quale dice di aver visto quel futuro discepolo (Natanaele).

Ricordo quell’incontro di Gesù perché è utile per capire ciò che avvenne nella sinagoga di Nazaret quel giorno. Vedendo Natanaele che stava avvicinandosi, Gesù disse che si trattava di un vero israelita, nel quale non c’era inganno e, chiedendogli costui, sorpreso, come lo conoscesse, il Maestro gli rispose: “Prima che Filippo ti chiamasse, ti ho visto quando eri sotto il fico”. Sentendosi allora riconosciuto, Natanaele riconobbe a sua volta Gesù come il Messia.

Lo riconobbe, tuttavia, senza sapere veramente chi avesse riconosciuto, come gli fece capire lo stesso Gesù con queste parole: “Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!”. E aggiunse: “In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo” (Gv 1,50-51). Parole che indicano la necessità – per conoscere chi è davvero Gesù – di aspettare la sua manifestazione finale sulla croce. Infatti, solo in quel momento, il centurione che stava di fronte alla croce, vedendo come Gesù era spirato, disse: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio” (Mc 15,39).
 
Ecco, per il momento, i compaesani di Gesù sanno soltanto che è figlio di Giuseppe e, come Natanaele, non possono neppure pensare che Dio, per salvarci, abbia voluto che suo Figlio nascesse da una donna e si presentasse come uno di noi obbligato Egli stesso a lavorare come falegname (Mc 6,3). Qualcosa hanno saputo di Gesù, e come si dice che nella vicina città di Cafarnao abbia fatto qualcosa di straordinario, in maniera provocatoria, gli chiedono che almeno faccia cose simili anche tra i suoi (“Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria!").

È proprio qui che ci imbattiamo in qualcosa che dobbiamo capire se vogliamo che ciò che ha detto e realizzato Gesù, possa modificare la nostra vita. Gesù non può fare nulla se non confidiamo in Lui come la vedova di Sarepta, “al tempo di Elia”, confidò nel profeta e come il lebbroso Naaman il siro, ai tempi di Eliseo. Erano due stranieri ma credettero più degli israeliti, rappresentati in quel momento dai Nazaretani che, allo stesso tempo, lo abbiamo detto, ci rappresentano.
Sentendosi offesi per questo paragone con pagani ritenuti migliori di loro, quelli di Nazaret reagirono in modo esagerato. “Si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù”. Probabilmente noi non saremmo arrivati a tanto, ma ciò che bisogna ritenere è che Gesù, aprendosi il passo tra loro proseguì il suo cammino. Quel giorno “scese a Cafarnao, città della Galilea, e in giorno di sabato insegnava alla gente”, ma non ha più cessato di proseguire il suo cammino per bussare alla porta di ciascuno di noi, “affinché gli diamo alloggio”, come direbbe San Giovanni della Croce.