sabato 29 maggio 2021

Meditazioni sul Vangelo della Domenica

 

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Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: "A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo".

In questi pochi versetti del Vangelo di Matteo sono molte le cose da osservare attentamente, a cominciare dal luogo dell’ultimo incontro di Gesù con i suoi. “Gli undici discepoli”, si legge nel Vangelo di oggi, “andarono in Galilea, al monte che Gesù aveva loro indicato”. Non sappiamo di che monte si tratti, ma possiamo supporre che sia lo stesso monte della trasfigurazione, identificato dalla tradizione con il Monte Tabor. Importante però non è il luogo orografico, ma perché l’ultimo incontro di Gesù con i suoi, secondo Matteo, avviene in Galilea, mentre Luca lo pone in Gerusalemme e, come Marco, nel medesimo giorno della Resurrezione.


“Ed ecco”, dice Gesù alla fine del terzo Vangelo, “io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto". E non solo Luca riferisce quest’ordine di rimanere in città, ma che, dopo essere stati condotti verso Betania e aver visto Gesù salire al cielo, “essi tornarono a Gerusalemme” (Lc 24,49.52).

Una contraddizione?

Sì, se noi ci accostiamo ai diversi racconti come se fossero semplici cronache storiche. Da questo punto di vista, non solo in questo caso ma in molti altri, si tratterebbe di sospette contraddizioni. Ma, come sappiamo, i Vangeli non sono semplici libri di storia, ma opere storico-kerigmatiche. Raccontano gli avvenimenti dando loro il significato teologico che ritengono necessario per il pubblico cristiano (giudeo o pagano, per esempio) al quale ogni evangelista si riferisce. Tenendo conto di questo, poco importa che gli apostoli siano andati in Galilea in un secondo momento, e non subito, come farebbe supporre Matteo.

A Luca, per esempio, interessa sottolineare la necessità dell’attesa dello Spirito, perché possano proclamare la buona notizia a tutti, come mettono in risalto i Vangeli di Marco e di Matteo, già esistenti prima del suo che è il terzo. A Matteo, invece, interessa sottolineare il luogo di partenza dell’evangelizzazione, cioè, la Galilea, da dove era iniziato lo stesso cammino del Maestro che, ora, dice loro: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.

È chiaro che non potrebbero andare senza aver ricevuto lo Spirito Santo e che, in Galilea, se non è lì dove sono tornati subito, devono comunque tornare. Infatti, il significato di “tornare in Galilea”, è questo: prima che gli apostoli possano parlare di Gesù agli altri, devono tornare lì e percorrere di nuovo tutto il cammino percorso da Gesù, che avevano seguito fino a Gerusalemme, sebbene aspettandosi un’altra conclusione e non certo la crocifissione. Non è che debbano ripercorrere tutta quella strada a piedi, ma con la mente, ora illuminata dallo Spirito. Quello Spirito che suggerisce loro che Gesù non fu semplicemente il Messia atteso da loro, ma il Figlio che Dio aveva inviato al mondo, per la salvezza di tutti gli uomini. E che era per questo, che aveva accettato di dare la vita.

Se, poi, fosse certo che con “il monte che Gesù aveva loro indicato”, l’evangelista allude al monte della trasfigurazione di Mt 17,1, questo “ritorno” in Galilea risulterebbe ancora più rivelatore. Anche ciò che allora avevano contemplato come qualcosa di molto particolare, ma senza comprendere il vero significato di quella trasfigurazione, ora risulta loro chiaro. Gesù, infatti, è il Messia secondo le promesse della Torah e dei Profeti, rappresentati da Mosè ed Elia apparsi a conversare con Lui, ma è molto di più: è il Figlio di Dio che ha dato la sua vita perché tutti possano vivere con Lui.

Devono ripercorrere, pertanto, questo cammino con l’aiuto dello Spirito che il Figlio – tornato alla destra del Padre – ha mandato, come aveva promesso, anche a loro. Lo Spirito che ha sostenuto anche Gesù dalla Galilea fino alla croce, ora, sostiene anche loro che adesso sono apostoli. Gesù risorto li manda ad annunciarlo e a bagnare (questo il senso del battesimo) tutti coloro che lo desiderano, nel nome del Dio Uni-Trino. “Andate dunque”, dice loro, “e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.

Essere cristiani significa, infatti, venir immersi (battezzati), come figli e figlie in Gesù, nella stessa vita trinitaria. Forse non lo pensiamo, ma quando facciamo il segno della croce, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, per mezzo delle nostre stesse braccia, ci avvolgono del loro amore. Se imparassimo a segnarci più lentamente e pensando a quello che stiamo facendo, saremmo un po' più coscienti di questa presenza che ci abbraccia e ci protegge. Se ci esercitiamo in questo, forse giungeremo a confessare, con la santa carmelitana Elisabetta della Trinità (1880-1906), che il nostro principale esercizio di fede “consiste nell’entrare in noi stessi e perderci nei Tre”.
p. Bruno Moriconi, ocd

Preghiera di Elisabetta della Trinità

Mio Dio, Trinità che adoro!
Aiutatemi a dimenticarmi interamente per stabilirmi in voi, immobile e quieta
come se la mia anima fosse già nell’eternità;
che nulla possa turbare la mia pace o farmi uscire da voi, mio immutabile Bene,
ma che ogni istante mi porti più addentro nella profondità del vostro mistero.
Pacificate la mia anima, fatene il vostro Cielo, la vostra dimora preferita e il luogo del vostro riposo;
che io non vi lasci mai solo, ma sia là tutta quanta, tutta desta nella mia fede,
tutta in adorazione, tutta abbandonata alla vostra azione creatrice.

[…]

O Verbo eterno, Parola del mio Dio! Voglio passare la mia vita ad ascoltarvi,
voglio farmi tutta docilità per imparare tutto da voi.
Poi, attraverso tutte le notti, tutti i vuoti, tutte le impotenze,
voglio fissare sempre voi e restare sotto la vostra grande luce.
O mio Astro amato, incantatemi perché
non possa più uscire dallo splendore dei vostri raggi.

O fuoco consumatore, Spirito d’amore!
Scendete sopra di me, affinché si faccia nella mia anima
come un’incarnazione del Verbo ed io sia per Lui
un’aggiunta d’umanità nella quale Egli rinnovi tutto il suo mistero.

E voi, o Padre! chinatevi sulla vostra piccola creatura,
copritela della vostra ombra, e non guardate in lei che il Diletto
nel quale avete riposto tutte le vostre compiacenze.

O miei Tre, mio Tutto, mia Beatitudine, Solitudine infinita,
Immensità in cui mi perdo, mi consegno a voi come una preda.
Seppellitevi in me perché mi seppellisca in voi,
in attesa di venire a contemplare nella vostra luce l’abisso delle vostre grandezze.