Meditiamo con p. Claudio Truzzi ocd
“Gesù trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e i cambia valute
seduti al banco. Fece allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori
dal tempio... , e disse: – Portate via
queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato –... (Giovanni
2, 13-25).
Il punto di vista peggiore per
la scena dei mercanti del tempio è
senza dubbio quello dello spettatore che “non
c'entra” con quanto
accade.
Viene istintivo mettersi in un
angolo, su un gradino, in disparte. E vedere, con malcelato compiacimento, Gesù che fa piazza pulita.
Già. La cosa riguarda sempre gli
altri. Magari i preti con le loro tariffe per matrimoni e funerali; o coloro
che vendono medagliette e ceri nelle botteghe accanto ai santuari...
Noi siamo lì di passaggio. E commentiamo “ben gli sta”, “l'avevo sempre detto, io, che
ra una vergogna, una cosa intollerabile”...
Con un atteggiamento del
genere, non afferriamo il significato dell'episodio. Siamo come i soldati
romani di sentinella sulla torre Antonia, che non misurano la portata
dell'avvenimento.
Nessuno può ritenersi dispensato da quella
pulizia.
Chi di noi è sicuro di non essere un
frequentatore “abusivo” del Tempio?
Chi può sostenere di non essere andato
qualche volta a mercanteggiare con Dio?
Chi non ha mai preso la strada
della chiesa soltanto per sentirsi a posto, tranquillo?
Il gesto di Gesù lo si comprende soltanto se ci
si colloca tra i destinatari della sua ira.
Il Tempio è “purificato” –
adesso che sono stati abatuti fuori i mercanti –
a patto soltanto non entrino coloro che si ritengono “puri”.
Ancora. Ciò che colpisce nelle parole di
Gesù è l'alternativa “casa del Padre mio” (o “casa di preghiera” secondo Marco) e “luogo di mercato” (o “covo di briganti, stando al
testo di Marco).
Non c'è posizione intermedia.
Il Tempio che non è “casa
di preghiera”
diventa inevitabilmente “luogo
di mercato”.
Se non vi si celebra la
liturgia della gratuità
del dono di Dio, si celebra il mercato.
O i riti di Dio o quelli del
denaro.
Il mercato, in fondo, consiste
nell'utilizzare il nome di Dio per operazioni in cui c'entra il denaro. Una
specie di etichetta sacra che dovrebbe nascondere i prodotti dell'avidità umana. Una copertura divina su
traffici ed interessi meschini.
Mercante, però, non è soltanto colui che ricava
guadagni dal tempio, ma anche onori, carriera, titoli, voti, privilegi.
Dio non accetta “genuflessioni”
vuote; non consente di sostituire con un “omaggio religioso”
ciò che è dovuto al prossimo.
Ciò che viene condannata è la frequentazione del Tempio
come rifugio (ecco la caverna, il covo che mette al riparo i delinquenti).
Ciò che vene denunciato è l'aspetto securizzante delle pratiche religiose.
Ciò che viene sconfessato è la pietà come alibi. Per cui uno può illudersi di andare nella casa
del Signore e riciclare –
con qualche offerta e preghiera –
una condotta fondamentalmente cattiva e contraria alle esigenze della
giustizia, dell'onestà
e della carità
verso il prossimo.
Un culto di questo genere è un culto menzognero e la
sicurezza che uno ne ricava è
una flso sicurezza.
Come ricorderà Gesù stesso; “Non chi dice Signore, Signore entrerà
nel Regno dei cieli, ma chi fa la volontà
del Padre mio”.