OMELIA
DI DOMENICA 4 GIUGNO 2017
SOLENNITA’
DI PENTECOSTE
La Parola di Dio della Solennità odierna
di Pentecoste ci offre l’occasione per una visione a 360 gradi del mistero
celebrato. Da una parte, il racconto dell’evento posto all’inizio degli Atti degli Apostoli (Prima Lettura) in cui si dimostra come
la festa già esistente nella tradizione ebraica acquista un significato
completamente nuovo presso la comunità cristiana. Dall’altra, la pagina del Vangelo in cui viene presentato il dono dello Spirito Santo non come
relegato ad un preciso momento storico, ma al mistero di ciò che opera Dio nella vita e nella storia di
chi apre il suo cuore alla sua azione. Un mistero che trova il proprio
fondamento e il suo significato profondo nella morte e risurrezione di Gesù. Ed è su questo punto che vorrei
fissassimo oggi la nostra attenzione. Giovanni, infatti, nel Vangelo intende presentare proprio il
forte legame che c’è tra la
morte-risurrezione di Gesù e il dono dello Spirito Santo collocando l’evento lo
stesso giorno di Pasqua: «La sera di quel
giorno, il primo della settimana … venne Gesù, stette in mezzo e disse loro:
“Pace a voi!”».
Mi limito a sottolineare soltanto due passaggi del racconto evangelico.
Il primo: il saluto di pace che Gesù
dà ai discepoli indica la possibilità di una pienezza di vita (= shalòm)
che solo lo Spirito del Cristo risorto
vincitore sul peccato e sul male può donare. La dimostrazione di questa
vittoria sono i segni della morte sul corpo di Gesù: non sono più delle piaghe,
ossia ferite che non riescono a guarire, ma cicatrici, cioè ferite rimarginate;
ciò che è stato causa di morte diventa fonte di vita. Se vogliamo la vera pace,
occorre allora impegnarci in questa lotta
contro il peccato per cui ci viene donato lo Spirito. Per questo Gesù
affida ai discepoli la missione di
proseguire ciò che Lui stesso ha ricevuto dal Padre: l’opera di “perdonare i peccati”, ossia di
trasformare le piaghe in cicatrici, guarendo in radice quelle ferite causate
dal peccato che possono continuare ad uccidere.
La seconda
sottolineatura viene a ricordarci comunque che ogni opera di guarigione è frutto solo dell’azione dello Spirito Santo, è Lui il protagonista assoluto, i discepoli sono
semplici strumenti. E l’opera da Lui compiuta – sempre che noi non ci opponiamo
- non è un semplice rimedio o
aggiustamento, ma è una vera nuova
“creazione” che dà origine ad una umanità rinnovata in cui, appunto, vige
la “legge dello Spirito”. Si spiega così l’allusione esplicita al gesto
simbolico del “soffio divino”,
quello stesso che troviamo nel racconto della creazione: «Detto questo, soffiò e disse loro: “ricevete lo Spirito Santo”». Viene
usato infatti lo stesso verbo, assai raro, che troviamo in Genesi 2,7 per
indicare il soffio vitale infuso dal
Creatore all’uomo plasmato dalla terra. Questo soffio vitale di Cristo risorto
infuso in noi innanzitutto nel Battesimo,
viene come alimentato in ogni altro Sacramento, in particolare nella
Celebrazione Eucaristica. Ma è soprattutto il Sacramento della Penitenza a richiamare la motivazione iniziale del
dono dello Spirito: quello di perdonare i peccati: «A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a
cui non perdonerete, non saranno perdonati». Non si tratta di un potere
decisionale dato ai discepoli, perché la ripetizione al negativo serve semplicemente
per dire che il Sacramento è elemento indispensabile ed efficace per ricevere
il perdono di Dio. Si tratta infatti di un dono-per
e quindi non può essere preteso, ma ricevuto
a fronte del nostro sincero pentimento.
In conclusione, raccogliamo allora l’invito
a non lasciarci sfuggire l’occasione di rivivere l’esperienza della Pentecoste
affidando il nostro cammino di fede all’azione
potente dello Spirito Santo che ancora
oggi continua ad operare nella misura in cui, lottando contro il male, desideriamo
fortemente la pace del Signore che
ci fa “vivere davvero”, e non il nostro semplice “quieto vivere” che ci
permette a malapena di sopravvivere.
Padre
Piergiorgio Ladone, ocd