In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: "Vado a prepararvi un posto"? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: "Mostraci il Padre"? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch'egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».
La
liturgia di questa domenica pare che ci porti indietro rispetto alla Pasqua
perché ci è presentato un tratto dei cosiddetti discorsi di addio di Gesù
nel Quarto Evangelo. In realtà quei discorsi ci spalancano in pieno il dopo-Pasqua: in
quelle pagine l’evangelista, con l’artificio letterario di discorsi
testamentari, ci presenta le promesse e gli sconfinati orizzonti che l’andata
via di Gesù, il suo “esodo” da questo mondo al Padre (cfr. Gv 13, 1),
aprono alla storia, ad ogni uomo.
Le
parole che Gesù pronuncia nel brano di oggi iniziano con una parola chiave per
il Quarto Evangelo, una parola che ci deve essere molto cara: “moné”,
cioè “dimora”, è la promessa che nella casa del Padre ci sono molte dimore,
e Lui le prepara per ciascuno di noi; è parola chiave per Giovanni perché
correlata al verbo più amato dal Quarto Evangelo, “ménein” che significa
“rimanere”, “dimorare”, “restare”. La dimora che Gesù va a preparare con il suo
“esodo” è la radice della possibilità che ci è data qui, nella nostra vita di
credenti, di dimorare, rimanere in Lui, e fare della nostra vita un dimorare
stabile nell’amore di Dio.
Le
grandi auto-rivelazioni che ci sono in questa pagina sono provocate da due
domande di Tommaso e di Filippo. Qualcuno ha ipotizzato che Giovanni ricalchi
qui l’ “haggadàh” (lett. “racconto”) della cena pasquale
ebraica, in cui i piccoli fanno domande che hanno il preciso scopo di far
avanzare e provocare il racconto dell’esodo fatto da chi presiede la cena. Qui
avviene proprio così: le domande permettono a Gesù di pronunziare queste due
grandi parole auto-rivelative.
Tommaso
chiede quale sia la meta del Suo esodo (“Non sappiamo dove vai e come
possiamo conoscerne la via?”), avendo detto Gesù –
precedentemente – che di quella meta essi “conoscono la via”. E’ così,
essi conoscono la via poiché hanno conosciuto Gesù, e a pieno lo conosceranno
nell’esperienza pasquale, in cui definitivamente capiranno la sua
identità. La via, dunque, non è una dottrina, non è un comportamento
etico, non è una sapienza iniziatica come potevano pensare quelli che erano
adusi a sentir parlare di religioni misteriche, a quel tempo molto
diffuse. La via è Lui, la via è la sua carne di uomo, la via è la sua
vita concreta, è l’amore con cui Lui la sta vivendo, “fino all’estremo”
(cfr. Gv 13, 1). E’ la via perché è la verità; ed è la verità non
perché dica delle verità o perché trasmetta una dottrina, ma perché è Lui
stesso la verità. Lui è la verità dell’uomo, Lui è l’uomo in pienezza, è l’uomo
capace di vere relazioni con Dio, con la storia, con gli altri, con la sua
stessa umanità. Gesù è la verità perché Lui è la fedeltà che non si spaventa
dell’infedeltà, e d’altro canto, in ebraico i concetti di verità e fedeltà
sono coincidenti! Gesù è la vita perché la vita è Dio, e Lui ha
posto la vita di Dio nella carne dell’uomo; e la sua carne apre ad ogni carne
la vita di Dio, che è la comunione trinitaria, è l’amore che
“circola” tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo! E questa vita la si
accoglie solo se si accoglie Lui…
La
domanda di Filippo, invece, si inscrive all’interno del grande desiderio
dell’uomo, e in particolare dell’uomo biblico, di vedere Dio, di
vedere l’“oltre”! La domanda di Filippo ci conduce ai vertici della rivelazione
del Nuovo Testamento: Dio finalmente si è reso visibile! Visibile non in
visioni spettacolari, straordinarie, numinose; non in teofanie simili a quelle
che la Prima Alleanza ci descrive, a partire dal roveto ardente (cfr. Es
3, 1-6) ai fenomeni del Sinai (cfr. Es 19, 16ss), dalle visioni come
quelle di Isaia (cfr. Is 6) a quelle di Ezechiele (cfr. Ez 1) o
di altri profeti… Qui Gesù parla di un vedere che ha per oggetto un uomo, solo
un uomo! Dio si è mostrato tutto in un uomo! E’ straordinario!
Se
non si capisce questo, nulla si capisce del cristianesimo, e nulla si capisce
della portata rivoluzionaria e sovversiva della rivelazione cristiana; l’antico
e bellissimo grido dell’uomo “Mostraci il tuo volto, Signore!” (cfr. Es
33, 18; Sal 105, 4; Sal 27, 8) riceve qui una risposta davvero inattesa,
straordinaria: “Chi vede me, vede il Padre”. Ecco la “visione” di
Dio: il volto di Cristo! Vedere Cristo e la sua umanità è vedere Dio… è
qui la grande novità e la sovversione del cristianesimo! Qualcuno ha detto che
qui sta la grande desacralizzazione di Dio, della “religione” che cessa di
essere perciò “religione”… E’ vero! E’ proprio così! Dio non va più cercato nel
miracolistico, nello splendore accecante e che fa paura, ma va cercato tutto
nel volto di un uomo e – di conseguenza – nel volto di ogni uomo!
Se
Gesù narra Dio attraverso tutto ciò che è, attraverso ciò che fa, attraverso
ciò che dice, questo si riverbera sul volto dell’uomo tout-court…d’altro
canto, la prima parola del Decalogo con il divieto di fabbricare immagini
di Dio (cfr. Es 20, 4ss) era certo una prescrizione per combattere ogni
idolatria, ma aveva al fondo la consapevolezza che l’immagine di Dio nel mondo già
c’è: è l’uomo creato a Sua immagine. Ora, in Cristo Gesù questo assume una
pregnanza eccezionale, e quel volto santissimo, quell’umanità
santissima, ci invita di continuo a cercare Dio nel volto dell’uomo che
Egli ha assunto, ed ha assunto per sempre! Il Figlio Risorto, infatti, è uomo
e uomo per sempre!
Gesù
narra il Padre con le parole e le opere e qui, a Filippo, Gesù lo dice con
chiarezza: “Le parole che io vi dico non le dico da me; il Padre che è in me
fa le sue opere”. Lui è la Parola del Padre, Lui è l’agire del
Padre, un agire che è tutto amore, un agire che si rivela offerta totale della
vita!
La
liturgia di questa domenica ci suggerisce che questa narrazione del
Padre, che questa via, verità e vita che è Gesù, può e deve essere resa
presente e tangibile alla storia dalla Chiesa. La Chiesa ha una vocazione:
essere la vicenda pasquale di Gesù nella storia, in ogni oggi della
storia.
L’elezione
dei sette diaconi che Atti ci racconta nella prima lettura di oggi va proprio
nel senso di continuare a narrare all’uomo la tenerezza di Dio, che
provvede con amore al bisogno dei poveri e che ormai lo fa attraverso il corpo
di Cristo che è la Chiesa: è attraverso l’umanità piena dei
credenti che Cristo continua a narrare il Padre. E’ l’edificio di Dio che è la
Chiesa, fatto di pietre vive – come scrive l’autore della Prima
lettera di Pietro nella seconda lettura – che mostra il volto di Dio alla
storia.
La
via, la verità e la vita, la narrazione cioè del Padre che è
Cristo, sono state consegnate alla Chiesa, ai credenti in Lui, a quelli che
– dimorando in Lui – hanno scelto come via della loro umanità,
come verità della loro esistenza, come vita che dia senso alla
loro vita, Colui che – narrando Dio – ci ha narrato l’uomo. E all’uomo ha
consegnato il compito di continuare questa narrazione con la “potenza” della
sua Pasqua, con una “potenza” in-credibile al mondo, una “potenza” crocefissa,
mondanamente perdente…ma una “potenza” amante e perciò salvifica!
Lo
sguardo fisso alla dimora preparata dal suo amore, e nel cuore un unico grande
desiderio: dimorare in Lui!
p. Giorgio Rossi, ocd