Dom III, tempo pasquale, A (Lc 24,13-35)
Durante il tempo pasquale la liturgia fa memoria della
“sostanza propria” della “Buona Novella” (euaggelion), ossia la
Risurrezione di Cristo. Infatti, la predicazione degli apostoli, sia agli
stessi giudei che “per mano dei pagani hanno crocifisso e ucciso Gesù, ma che
Dio ha risuscitato…” (At 2,23s.), che ai pagani, come dimostra s. Paolo nelle
sue lettere (ad es. ICor 15,12ss.), è tutta fondata sull’annuncio della
Risurrezione di Cristo.
Tra le diverse narrazioni, nei quattro Vangeli,
risalta l’episodio dei discepoli di Emmaus. Esso è tanto prezioso per cogliere
la continuità e la novità dell’esistenza del Risorto e anche per comprendere
come questa novità di Cristo Risorto diventa esperienza e testimonianza dei cristiani.
Ovvero, come dal dubbio e dall’incredulità il cristiano giunge alla fede, e
così diventa “apostolo”, messaggero di Cristo ai fratelli.
La chiesa che ricorda l'apparizione di Gesù a Emmaus in Terra Santa |
Tutto l’episodio storico acquista quindi un senso
spirituale eminente, come una parabola valida per ogni persona in cerca di Dio.
La “fuga” dei due discepoli da Gerusalemme, la “delusione” per il “fallimento”
di Gesù, il misterioso pellegrino che si associa a loro e inizia a spiegargli
“ciò che in tutte le Scritture si riferiva a lui”, e cioè, che doveva vincere il
peccato e la morte e così liberare l’uomo alla gloria divina, attraverso la
passione e la croce, il riconoscerLo nel segno eucaristico e infine la
testimonianza della Buona Novella davanti ai fratelli.
Come nelle altre narrazioni delle apparizioni del Risorto,
emerge la fatica nel raccontare la figura del Risorto. Joseph Ratzinger rileva,
che proprio questo balbettare – anche contraddittorio – dei testimoni del
Risorto diventa la prova della veridicità di queste testimonianze: “Nella
contraddittorietà dello sperimentato che caratterizza tutti i testi [narrazioni
della Risurrezione], nel misterioso insieme di alterità e identità si
rispecchia un nuovo modo dell’incontro, che apologeticamente appare piuttosto
sconcertante, ma che proprio per questo si rivela maggiormente come autentica
descrizione dell’esperienza fatta” (Gesù di Nazaret, II vol., p. 296).
Mentre i discepoli camminano e discutono, Gesù si
avvicina e cammina con loro. “Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo”.
Non erano gli occhi del corpo, ma gli occhi interiori: gli “occhi del cuore”,
impediti per l’incredulità, così dichiara S. Gregorio Magno (hom. 23). Gesù non
apre loro subito gli occhi, come fa al cieco nato, ma, riepilogando le
testimonianze delle Scritture su di lui, fa ardere i loro cuori. La fede è un
camminare con il Signore, che si associa come pellegrino a noi
pellegrini in terra, mediante la sua parola e i suoi sacramenti; ed è un
camminare verso il Signore che si rivelerà pienamente al tramonto
della nostra vita. Mediante la lettura credente, la Parola di Dio diventa
Parola viva, diventa “pedagogia divina”, che porta il cristiano alla conoscenza
delle vie del Signore, spesso segnate da fallimenti, dalla sofferenza, da ciò
che umanamente può sembrare una “passione inutile”, insensato. La parola, il “logos”
di Dio “riscalda” il cuore del credente e lo fa ardere della nostalgia di Dio.
“Resta con noi, perché si fa sera, e il giorno ormai è al tramonto”: è questo
cuore ardente di “sete di Dio”, che prima ancora di identificare pienamente
Gesù Risorto, avverte la sua misteriosa vicinanza.
Ma è tuttavia solo nel momento della “frazione del
pane” - segno eucaristico – che i discepoli lo riconoscono. Per i Padri della
Chiesa si esprime in questo passo la dinamica della fede, ossia come il
credente giunge dall'atto di fede alla conoscenza di Cristo: L'ascolto della
Parola di Dio fa ardere d'amore di Dio
il cuore dei due discepoli. Ma è il momento dello “spezzare il pane”, mentre si
nutrono di Cristo nel pane eucaristico, quando riconoscono il Signore. Certo, è
una conoscenza, che mantiene sempre il suo carattere trascendentale,
“inafferrabile”. L'evangelista lo sottolinea: “Ma Egli sparì dalla loro vista”.
Ancora Papa Ratzinger, commentando questa pericope lucana, descrive questo
riconoscere Cristo nel mistero eucaristico: “Il Signore sta a tavola con i suoi
come prima, con la preghiera di benedizione e lo spezzare il pane. Poi sparisce
davanti alla loro vista esterna, e proprio in questo scomparire si apre la
vista interiore: lo riconoscono. È un vero incontro conviviale e tuttavia è
nuovo. Nello spezzare il pane Egli si manifesta, ma solo nello sparire diventa
veramente riconoscibile” (Gesù di Nazaret, ibid. p. 299).
La preghiera colletta della III domenica di Pasqua (A)
riassume molto bene questa grazia pasquale: il dono dello Spirito di Cristo che
scaturisce dalla Parola e dall'Eucaristia e trasforma il credente in un
autentico cristiano, testimone coraggioso di Cristo. Domandiamo a Dio questo
grazia per la Chiesa, per i cristiani di tutto il mondo: “O Dio... donaci il
tuo Spirito, perché nella celebrazione del mistero eucaristico riconosciamo il
Cristo crocifisso e risorto, che apre il nostro cuore all'intelligenza delle
Scritture, e si rivela a noi nell'atto di spezzare il pane”.
P. joseph Heimpel, ocd